Salvatore Adamo, ricordi in bemolle

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In occasione della pubblicazione del primo grande romanzo del poeta e cantautore Salvatore Adamo, La notte… l’attesa, pubblichiamo l’articolo di Luciano Del Sette apparso su Alias – il manifesto.

 

Oltre novanta milioni di dischi venduti, ventinove album pubblicati, centinaia di concerti nei cinque continenti. E il romanzo “La notte…l’attesa”.

Ascolta i nostri cuor/ Ascolta come cantano/ Si sono ritrovati/ Di tanta gioia piangono/ Mi avevi detto addio/ Cre­devo di morire/ Ma ho pre­gato dio/ E sei ancora mia/ Sei qui con me/ Per amarmi ancora/ Sei qui come allora/ Per restar con me». Marzo 1964, sabato pome­rig­gio in una città ita­liana. I gio­vani che bal­lano abbar­bi­cati nel semi­buio delle feste a casa di amici, fer­mano effu­sioni e passi lenti di danza sen­tendo quella strana voce rim­bal­zare dal man­gia­di­schi. Un mese prima, a San­remo, pur senza vin­cere, aveva trion­fato Bobby Solo, tim­bro bari­to­nale stile Elvis de noan­tri per Una lacrima sul viso. Quella strana voce, al con­tra­rio, è roca, ha qual­cosa di fem­mi­nile, un vago accento stra­niero. Qual­cuno fa spu­tare il 45 giri al man­gia­di­schi. L’etichetta del vinile dichiara Sei qui con me aperta paren­tesi Sans toi, ma ’mie, di Sal­va­tore Adamo, tipico nome da ter­rone. Le cop­pie si rial­lac­ciano, le luci tor­nano a calare, meglio Non ho l’età, canta la sedi­cenne Gigliola Cin­quetti, prima clas­si­fi­cata al festi­val. Chi disprezza com­prerà, recita la sag­gezza popo­lare. Vale anche a pro­po­sito del ter­rone Adamo. Un anno dopo, in Ita­lia come in molti paesi non solo euro­pei, le sue can­zoni ini­ziano a sca­lare i ver­tici delle clas­si­fi­che, i juxe box dei bar le dif­fon­dono sovrap­po­nendo con effetto caco­fo­nico le note ai cam­pa­nelli dei flip­per.
È pas­sato mezzo secolo da allora, e Sal­va­tore Adamo non ha mai smesso il ruolo di pro­ta­go­ni­sta sulla scena canora inter­na­zio­nale. Per farlo uscire, ma prov­vi­so­ria­mente, ci sono voluti due gravi pro­blemi di salute, nell’84 e nel 2004. Oggi, il ragazzo ven­tenne di Sans toi, ma ’mie ha due pri­ma­vere in più dei set­tanta, capelli grigi, viso ben model­lato dallo scor­rere del tempo. Ricorda Cateano Veloso, e non è tanto que­stione di chioma, ma del sor­riso gen­tile che svela una gran voglia di con­ti­nuare a pen­sare e a com­porre. Parla come canta, Adamo. Con pia­ce­vole voce roca. Parla per rac­con­tare lui bam­bino, i migranti, gli inizi di car­riera, il lungo cam­mino arti­stico. Parla senza mai elo­giarsi, senza mai lan­ciare uno sguardo allo spec­chio della cele­brità, senza mai indul­gere nell’uso del pro­nome io. Eppure qual­che diritto a farlo ce l’avrebbe: oltre novanta milioni di dischi ven­duti sul globo, ven­ti­nove album pub­bli­cati, un numero ster­mi­nato di 45 giri, cen­ti­naia di con­certi nei cin­que con­ti­nenti. Ma Adamo Sal­va­tore ha con­ser­vato la sua intel­li­gente sem­pli­cità, e quasi ti disarma men­tre, rispon­dendo a una domanda sul suo romanzo ‘La notte… l’attesa’, appena uscito (vedi box in que­ste pagine), esprime un rim­pianto, nep­pure troppo pic­colo «La prima parte del romanzo, l’infanzia, è più o meno auto­bio­gra­fica. Dopo è la fan­ta­sia a pren­dere il soprav­vento, come avviene nelle mie can­zoni, dove è pre­sente anche un certo humour. In Ita­lia sono cono­sciuto sol­tanto per le can­zoni d’amore. Fa ecce­zione Inch’Allah, un testo impe­gnato che da voi ha avuto molto suc­cesso. Al con­tra­rio, ho scritto tanti brani in cui parlo di pro­blemi. Non poli­tici, per­ché il mio impe­gno è più uma­ni­stico, ma sociali. Alcuni, poi hanno un umo­ri­smo un po’ sur­rea­li­sta. Ecco: spero che il romanzo serva a far sco­prire agli ita­liani que­sti aspetti sco­no­sciuti del mio repertorio».

Sal­va­tore sbarca in Bel­gio da Comiso, Sici­lia, nel 1947, insieme alla mamma Con­cetta Gir­lando e al padre Anto­nio. Ha appena quat­tro anni. Per ora è figlio unico, altri sei si aggiun­ge­ranno. Gli Adamo stanno per entrare a far parte del popolo dei migranti desti­nati a lavo­rare nelle miniere intorno a Mons, capo­luogo della regione del Bori­nage. Andranno ad abi­tare a Ghin e poi a Jemap­pes. Sal­va­tore riporta alla memo­ria il viag­gio «Prima di tutto la tra­ver­sata dello Stretto di Mes­sina. Viag­gia­vamo su un tra­ghetto che a me sem­brava una nave splen­dida, piena di luci. Il Rex di Fel­lini in Amar­cord. Quando, anni e anni dopo, sono tor­nato in Sici­lia, mi sono reso conto che il tra­ghetto era invece molto pic­colo. E dun­que che biso­gna met­tere sem­pre un bemolle per abbas­sare la tona­lità dei ricordi della vita. Mio padre e mia madre mi tene­vano per mano, uno la destra, l’altra la sini­stra. Il mio mondo era tutto lì, non impor­tava se fos­simo in Sici­lia o in Bel­gio. Con­ta­vano la tene­rezza e l’amore». Adamo cre­sce, e con lui la con­sa­pe­vo­lezza del lungo e dolo­roso passo com­piuto dai geni­tori «Erano molto gio­vani, papà ven­ti­sette anni, mamma uno in meno. Ave­vano lasciato il sole per la neb­bia, la neve, il vento freddo. Abi­ta­vamo in una casa di legno, mio padre aveva accet­tato tutto que­sto in cam­bio di una nuova dignità, della pos­si­bi­lità di dar da man­giare e da vivere alla fami­glia. Cosa che a quei tempi la Sici­lia non era in grado di garan­tire. La gente del nostro quar­tiere, ope­rai e mina­tori, pro­ve­niva soprat­tutto dall’Italia. In netta mino­ranza da Polo­nia, Alge­ria, Marocco. Jemap­pes era con­ti­gua alla miniera. Sen­ti­vamo spesso suo­nare una cam­pana, annun­ciava un inci­dente sul lavoro. Subito ci radu­na­vamo, aspet­tando di sapere quante fos­sero e che nome aves­sero le vit­time. Da que­sto ho impa­rato cosa voglia dire essere soli­dale. Da que­sto e dagli inse­gna­menti di mio padre: rispetto degli altri e delle dif­fe­renze, com­pren­sione, aiuto reci­proco. Sono valori che devo a lui e alla vita. Binari dai quali non uscirò mai». Anto­nio ha in testa una cosa ben chiara: il futuro di suo figlio non sarà la miniera. Qual­siasi altro mestiere, ma non l’oscurità delle gal­le­rie, il rischio mor­tale di un incen­dio o di un’esplosione, la salute che si pro­sciuga sca­vando senza tre­gua. Il destino, però, sta mischiando altre carte per Sal­va­tore, com­plice invo­lon­ta­ria una pas­sione che Anto­nio col­tiva da sem­pre. E il destino ha una data pre­cisa: 14 feb­braio 1960

«La musica era molto pre­sente in casa nostra gra­zie a mio padre, fana­tico della lirica e della can­zone napo­le­tana. La musica era come l’aria che si respi­rava. Io can­tavo, certo. Lo facevo per me, senza pen­sare che potesse essere un mestiere. Un giorno, avevo quat­tor­dici anni, torna dalla Sici­lia uno zio e mi porta una chi­tarra, regalo di mio nonno materno. Non capii il per­ché. Non avevo mai dimo­strato par­ti­co­lari qua­lità o desi­deri canori. Me lo ha spie­gato solo due anni fa una zia di Marina di Ragusa, poco prima di morire. Mia madre mi aveva sor­preso più volte men­tre bal­lavo davanti a uno spec­chio, imi­tando Elvis Pre­sley. Mandò una let­tera al nonno rac­con­tan­do­glielo, e così arrivò la chi­tarra. Presi poche lezioni, poi con­ti­nuai da auto­di­datta. Scri­vevo poe­sie in fran­cese, e su quei testi nac­quero le mie prime can­zoni, le facevo ascol­tare agli amici. Nel 1960 Radio Lus­sem­burgo lan­ciò un con­corso musi­cale radio­fo­nico. La troupe era a Mons. Spinto dagli amici, mi pre­sen­tai alla pre­se­le­zione. La giu­ria mi escluse. Uno dei giu­rati, però, inter­venne, soste­nendo che era stato un errore eli­mi­narmi. Fui ammesso alla serata finale, il 14 feb­braio. Vinsi per accla­ma­zione di pub­blico. Mio padre non sapeva nulla di tutto que­sto. Se non voleva che andassi in miniera, certo non poteva cre­dere che mi sarei gua­da­gnato da vivere can­tando. Due set­ti­mane dopo la serata andò in onda, gliela feci ascol­tare e per lui fu un’autentica sor­presa». Sarà pro­prio Anto­nio a soste­nere Sal­va­tore quando il primo 45 giri passa inos­ser­vato. Insieme vanno a Parigi e incon­trano impre­sari di tea­tro e disco­gra­fici. Altri quat­tro vinili a vuoto, poi il suc­cesso cla­mo­roso di Sans toi ma ’mie, ai ver­tici delle clas­si­fi­che per diverse set­ti­mane. Ini­zia un periodo d’oro, desti­nato a pro­se­guire fino ad oggi e oltre. Segnale della cre­scente popo­la­rità di Adamo i vari flirt che gli ven­gono attri­buiti, uno su tutti quello con Paola, prin­ci­pessa di Liegi e futura regina del Bel­gio, che lui omag­gia con la can­zonePaola dolce Paola. Ricorda, diver­tito, Sal­va­tore «Fu un gior­na­li­sta ita­liano a inven­tarsi tutto. Io, Paola dolce Paola non l’avevo scritta, e la prin­ci­pessa non la cono­scevo. Qual­che tempo dopo, incon­tran­dola durante un’occasione uffi­ciale, le chiesi il per­messo di dedi­carle un mio brano. Lei rispose «Se sarà bello come Sans toi ma ’mie, per­ché no? ». Anche in Ita­lia i pet­te­go­lezzi imper­ver­sano, al punto che il set­ti­ma­nale Grand Hotel dedica tre coper­tine a pre­sunti drammi amo­rosi in casa Adamo. ‘Se papà fosse ancora vivo… Vogliono rovi­narmi’, ‘Adamo ai ferri corti con la suo­cera’, ‘Esclu­sivo. Sulla Costa Azzurra accanto a una splen­dida bionda… Adamo divor­zia?’. La favola dell’artista di umili ori­gini che è riu­scito a riscat­tarsi, chiama sovente in causa un pas­sato di ex mina­tore. Non è così, ma basta a fare noti­zia e a susci­tare pro­fi­cua commozione.

Dalla popo­la­rità al culto di se stesso il passo può essere breve e rischioso «A me piace essere popo­lare nel senso posi­tivo del ter­mine. Mi piace stare tra la gente, strin­gere le mani. Non dimen­tico da dove vengo. Ho impa­rato l’italiano da solo, senza mai stu­diarlo». Amico di George Bras­sens, ammi­ra­tore di Jac­ques Pré­vert e di Jac­ques Brel, il can­tau­tore della dol­cezza diTombe la neigeLa nuitUne larme aux nua­ges, miete i primi allori in un con­te­sto di musi­ci­sti impre­gnati di poli­tica, che attri­bui­scono molta impor­tanza a quanto affer­mano nei testi. Viene da pen­sare che Sal­va­tore si sen­tisse fuori luogo. Lui smen­ti­sce «Come ho detto in pre­ce­denza, le can­zoni d’amore e di iro­nia hanno avuto e con­ti­nuano ad avere un ruolo fon­da­men­tale nel mio reper­to­rio. Ma ho scritto Inch’Allah nel ’67, appello alla pace tra Israele e Pale­stina; Manuel, per un amico incar­ce­rato dal regime fran­chi­sta; Mon paysLes heu­res bleues e Que vou­lez vous que je vous chante?, tra­dotta in ita­liano da Her­bert Pagani, pen­sando ai migranti». Nella disco­gra­fia si incon­trano Ber­lin ce jour la, per cele­brare la caduta del Muro; Enfants, denun­cia dell’abisso che separa Primo e Terzo Mondo; On se bat tou­jours quel­que part, pro­fe­zia in musica della guerra glo­bale; La pau­vreté, vio­lenza ‘bianca’ da cui non ci si può difen­dere. Adamo, lei che oggi ha i capelli grigi, con­serva ancora delle spe­ranze? «Durante un viag­gio in Alba­nia, tempo fa, mi capitò di sen­tire un gruppo di bam­bini can­tare un brano dol­cis­simo. Chiesi loro il signi­fi­cato delle parole. Mi rispo­sero che era un canto mili­tare, in onore dei sol­dati. Erano bam­bini, capi­sce? Spero che un giorno vin­ce­ranno il rispetto degli altri e delle dif­fe­renze, la com­pren­sione, l’aiuto reci­proco, come mi ha inse­gnato mio padre». Quel padre per cui Sal­va­tore scrisse, nel 1994, Paris 60, ricordo dei viaggi in cerca di un con­tratto, sbar­chi da un treno invece che da un tra­ghetto. Figli di migranti, anche se ti chiami Sal­va­tore Adamo, si resta dentro.

Il romanzo

Non c’è data a pre­ce­dere o a chiu­dere la breve let­tera di Dino Buz­zati ad Adamo, che apre le pagine di La notte… l’attesa, pub­bli­cato in Ita­lia per Fazi Edi­tore (pp. 288, € 17,50), in libre­ria dal 12 feb­braio. Buz­zati rivolge a Sal­va­tore parole di affetto e di stima “… si dà il caso che da parec­chio tempo io ho un disco suo (grande), che ho ascol­tato decine di volte, e ascolto ancora con grande pia­cere e com­mo­zione. Per la musica, la voce, l’umanità. E io non sono affatto uno spe­cia­li­sta di can­zoni, anzi”. Durante una tra­smis­sione radio­fo­nica, Adamo aveva dichia­rato che gli sarebbe pia­ciuto musi­care un testo di Buz­zati. E lo scrit­tore gli risponde man­dan­do­gli un libro dal quale, dice, forse potrebbe arri­vare qual­che spunto “Sarei pro­prio con­tento di col­la­bo­rare a una sua can­zone”. La musica, la voce, l’umanità. Anche il ‘pro­fano’ Buz­zati rav­visa in que­sti tre ele­menti i tratti distin­tivi della poe­tica dello chan­son­nier. Li ritro­viamo nelle vicende del romanzo che ha per pro­ta­go­ni­sta il gio­vane Julien, figlio di emi­grati, in cerca di lavoro. Lo ottiene presso il nego­zio di pompe fune­bri di Fer­nand Legay. Il tri­ste com­pito di bec­chino stride con la pas­sione di Julien per la pit­tura, la musica e Char­lie, enig­ma­tica ragazza, spa­rita improv­vi­sa­mente senza lasciar trac­cia. Da que­sta sorta di ante­fatto, il rac­conto si dipana nella piog­gia e nel gri­gio del Bel­gio e sotto il cielo azzurro forte della Sici­lia; mette in fila atmo­sfere nar­ra­tive cupe accanto ad altre che indu­cono al sor­riso; fa entrare e uscire figure impro­ba­bili, deci­sa­mente estra­nee all’idea di nor­ma­lità. Adamo sa met­tere nero su bianco il giu­sto dosag­gio tra vicende auto­bio­gra­fi­che, soprat­tutto quelle della sua infan­zia, e inven­zione let­te­ra­ria; tra malin­co­nie che rifug­gono dal facile sen­ti­men­ta­li­smo e iro­nia sem­pre colma di indul­genza. La prosa è riflesso dell’autore, di quella sua vena sur­reale cui fa rife­ri­mento nell’intervista per Alias. L’efficace sem­pli­cità delle parole pos­siede il dono di coin­vol­gere il let­tore, di farlo entrare in ogni angolo di una sto­ria dal sapore deci­sa­mente inso­lito. Pagina 13 «‘Acci­denti!’, bron­tolò Fer­nand Legay ren­dendo l’anima. ‘Mi è sfug­gita!’. Effet­ti­va­mente era troppo tardi, essa aveva ormai rag­giunto quel che alcuni chia­mano la coscienza cosmica di cui sarebbe un’infinita par­ti­cella. La corda aveva com­piuto la sua fun­zione stran­go­la­to­ria, la lin­gua di Fer­nand pen­deva oscena fuori della bocca e, fra le varie rea­zioni rela­tive a un’impiccagione, si era mani­fe­stata, a guisa di santo via­tico, l’ultima ere­zione, cara a Bras­sens.»

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