Scoprire il mondo barattando trecce

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Il tempo è invisibile ma tenace. Si porta via persone, mestieri e perfino luoghi. E, con loro, sentimenti e memorie. Tutto è destinato a scorrere fino a scomparire. Forse per lasciare posto al nuovo, chissà. Il compito che mi ero prefissato, fin dagli esordi di scrittore, era fare in modo che alcune di queste cose destinate alla dimenticanza potessero essere fissate sulla carta per essere narrate e, in tal modo, rimanere un po’ più a lungo nella memoria.

Così è stato anche per L’inventario delle nuvole, in cui viene descritto uno scenario aspro e defilato, quello della cuneese Val Maira, nel Sud del Piemonte, in cui vive la famiglia Cordero, diventata ricca con un commercio particolare e con un’intraprendenza a volte generosa solo in apparenza. Perché gli affari sono affari, specie in una terra molto povera agli inizi del secolo scorso, in quello che lo scrittore Nuto Revelli aveva definito “il mondo dei vinti”. Un mondo impregnato di fatica, di miseria, di emarginazione, in cui è difficile anche la sola sopravvivenza. Gli uomini, specie nei lunghi mesi invernali, vanno a cercare fortuna e sostentamento altrove, le donne e i bambini rimangono soli, nelle precarie case disseminate sulle montagne, ad affrontare il gelo e la solitudine. Una “ricchezza” però ce l’hanno: i loro capelli. E sono questi che i Cordero raccolgono e commerciano.

Nell’anno d’inizio della prima guerra mondiale è Giacomo Cordero a doversi occupare della raccolta, della mietitura, quasi i capelli fossero frumento, perché Girolamo, il nonno, il severo capofamiglia, ha un affare altrettanto redditizio a cui pensare: rifornire l’esercito di legname, minerali, tessuti e merci varie. Giacomo è un adolescente che ha avuto il privilegio di poter studiare, è colto e ha modi affabili, vorrebbe e potrebbe fare ben altro che andare a blandire le donne sole nelle borgate sperdute sui fianchi delle montagne per tagliare loro i pels, i capelli, barattandoli con scialli, calze spesse, berretti e panni ruvidi necessari per provare a superare l’inverno. Ma l’autoritario nonno glielo impone e Giacomo è costretto ad avviarsi per i sentieri autunnali, prima che cada la neve, a svolgere l’avido mestiere di caviè, o pellassier, per dirla in lingua occitana. L’adolescente scopre così una condizione di vita e una natura sconosciute, magiche, dure e a volte violente, dove la solitudine e l’indigenza possono anche annientare le persone.

I pels raccolti e poi “lavorati”, ovvero puliti, suddivisi per lunghezza, lucentezza e colore, diventano una merce preziosa, che a primavera, liberati i sentieri dalla neve, il giovane Cordero, percorrendo itinerari avventurosi e incontrando personaggi affascinanti, andrà a vendere oltre confine, negli atelier dove si fabbricano parrucche, molto richieste allora da nobili, prelati, magistrati, ufficiali, docenti, funzionari e borghesi d’alto bordo. Questi viaggi e questi incontri gli permetteranno di scoprire quel che c’è al di là delle montagne, di guardare le cose con i propri occhi e di tornare nella sua valle con l’intento di migliorare, anche dopo aver affrontato situazioni impreviste, la vita delle persone. Non sfruttandole ma coinvolgendole, dispensando loro compassione, generosità e gentilezza. Solo così il mondo, ristretto in una valle o vasto fin oltre l’orizzonte, può cambiare.

A Elva, paese della Val Maira con meno di 90 residenti suddivisi in ben 28 frazioni, c’è un museo davvero unico, ricavato nell’antica Casa della Meridiana: il Museo dei Pellassiers, che conserva attrezzi, documenti, fotografie relative al mestiere di raccoglitore di capelli e alla vita difficile, in una valle ancora oggi segreta, di cui Giacomo Cordero è stato l’incantato narratore.

 

Franco Faggiani

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