Velia Februari ci racconta la sua esperienza con la traduzione del romanzo di Margaret Storm Jameson Amore a prima vista.
Vorrei proseguire il racconto della traduzione del secondo capitolo della trilogia Lo specchio nel buio di Margaret Storm Jameson, intitolato Amore a prima vista, parlando della relazione fra intertestualità e traduzione.
Non esiste un testo letterario che non sia in rapporto con il vasto “giacimento” della lingua, della civiltà e della cultura a cui appartiene. Questo rapporto si manifesta soprattutto nella presenza di citazioni e rimandi intertestuali ad altre opere letterarie che vanno a formare una rete costituita da molteplici maglie: la biblioteca personale dell’autore, il contesto culturale, storico, sociale, geografico… Il concetto di intertestualità, inteso come interazione tra testi, e quello di traduzione, concepita come ri-creazione dell’opera in un’altra lingua (e di conseguenza ri-collocazione in un diverso “giacimento”), si intersecano, sia nella pratica sia nella teoria.
L’intertestualità pone il traduttore di fronte a molte problematiche, la più scontata delle quali è l’individuazione dei rimandi e delle citazioni, che non sempre sono segnalati nel testo. Può capitare che le parole tratte da un’opera siano virgolettate, oppure in corsivo, e allora il compito del traduttore è semplicemente quello di individuare la fonte e verificare se vi siano versioni accreditate nella propria lingua. In Amore a prima vista ci sono diverse citazioni esplicite, da Chaucer, ad esempio, da Donne e da Milton.
Altrettanto spesso, tuttavia, il rimando è molto meno perspicuo. In tal caso sta alla sensibilità del traduttore cogliere lo scarto linguistico e intuire che l’autore sta riportando parole altrui. Anche in Amore a prima vista ci sono citazioni di questo tipo; una delle più indicative è la seguente:
Le grandi dimore russavano nel sonno. Da una di esse – era la residenza cittadina di George Ling – un maggiordomo grasso conduceva al guinzaglio un cagnetto altrettanto grasso, tutto preso dai suoi bisogni. «Le glorie della nostra nascita e del nostro rango», commentò Hervey. Nicholas scoppiò a ridere, ragion per cui lei pensò di aver detto bene.
Hervey cita qui il carme funebre dell’opera La contesa di Aiace e Ulisse per l’armatura di Ulisse di James Shirley (1658), a sua volta ispirata alle Metamorfosi di Ovidio. Tale carme viene citato persino da L.M. Alcott in Piccole donne. Se in traduzione si fosse perduto questo riferimento, una delle maglie della rete intertestuale si sarebbe strappata e il rimando sarebbe quindi caduto nel vuoto.
C’è un’altra citazione interessante in Amore a prima vista che, attraverso la menzione del primo verso di una celebre filastrocca inglese: “Hark, hark! the dogs do bark, / Beggars are coming to town. / Some in rags, some in jags, / And some in velvet gowns”, stabilisce un legame con La tempesta di Shakespeare, che contiene un verso molto simile: “Hark, hark! the watchdogs bark” (atto I, scena 2). È importante notare che lo stesso verso apparve nel 1914 su una cartina-fumetto all’interno di una serie intitolata “Serio-comique map” dell’Europa in guerra.
L’ultima citazione su cui vorrei dilungarmi è stata davvero difficile da individuare, e intenzionalmente non è stata segnalata neppure nella versione italiana. In una delle sue ultime riflessioni, Hervey afferma:
C’è ancora tempo. Un anno o l’altro imparerò a non avere paura, e non attraverso la viltà farmi tutto a tutti.
Il riferimento implicito stavolta è biblico; in particolare le parole sono tratte da Corinzi 9:22, e il senso è sostanzialmente l’opposto.
Mi sono fatto debole con i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto a tutti, per poterne salvare in qualche modo alcuni.
Nella ri-collocazione di un romanzo in una lingua diversa, la perdita è necessaria e connaturata alla natura stessa del processo traduttivo. Ciononostante il traduttore deve operare sul testo con l’auspicio che l’adattamento linguistico dei riferimenti intertestuali possa contribuire al processo di ri-generazione e ri-scoperta del senso di un’opera.
Velia Februari