In occasione dell’uscita di Capelli, lacrime e zanzare, Enrica Budetta racconta la sua esperienza con la traduzione del romanzo di Namwali Serpell.
La traduzione di Capelli, lacrime e zanzare di Namwali Serpell è stata probabilmente la più complessa dal punto di vista tecnico e certamente la più coinvolgente da quello emotivo che io abbia mai affrontato. Si tratta di un romanzo monumentale che racconta la storia di tre famiglie, le vite dei cui membri si intrecciano sulle rive del fiume Zambezi, in un territorio che corrisponde all’odierno Zambia e che faceva parte dell’impero britannico fino a quando non fu proclamata l’indipendenza nel 1964. La narrazione abbraccia un lungo arco temporale che va dai primi del Novecento fino al futuro prossimo interrompendosi nel 2024 e mescola episodi storici e personaggi realmente esistiti (alla cui veridicità talvolta si fa fatica a credere nonostante sia ampiamente documentata: è il caso del programma spaziale zambiano messo in piedi negli anni sessanta dal rivoluzionario Ba Nkoloso, che aveva come scopo quello di far sbarcare un astronauta zambiano sulla Luna prima degli americani) ad altri di fantasia, tanto che non lo si può incasellare in un genere letterario preciso. In parte romanzo storico con spunti di critica storica e sociale di grande rilievo rispetto al passato coloniale dello Zambia, alla lotta per l’indipendenza e alla sua realtà politica attuale, in parte saga familiare con una forte componente di realismo magico, sul finale vira decisamente verso il genere distopico e fantascientifico. Un altro elemento importante sono gli arguti commenti che inframmezzano la narrazione e che sono affidati a una sorta di coro greco onnisciente costituito dalle zanzare eponime.
Credo che questo parziale resoconto del contenuto del libro possa dare almeno un’idea delle complessità che ho dovuto affrontare e a cui accennavo all’inizio. Alla pluralità di generi corrisponde infatti una pluralità di registri e alla presenza di così tanti personaggi diversi per epoca, estrazione sociale e provenienza geografica, una miriade di voci. Le tre famiglie protagoniste di Capelli, lacrime e zanzare sono infatti multiculturali e plurilingui: alcuni personaggi sono nativi dello Zambia e usano anche alcune delle lingue indigene che vi si parlano, come il bemba e il nyanja, mentre altri provengono da paesi diversi, come l’Italia, l’India e l’Inghilterra. Questa congerie di lingue e di accenti è una caratteristica fondamentale dell’originale: il ricorso a parole o espressioni ricavate da lingue diverse dall’inglese, come quelle indigene appunto, ma anche dall’italiano e dal telugu, è continuo, ed è inoltre evidente il lavoro di fino condotto dall’autrice sulle diverse varietà dell’inglese, britannico, americano e soprattutto zambiano o zinglish, di cui vengono riprodotti l’accento e le peculiarità grammaticali e sintattiche. Come traduttrice il mio principale intento è stato quello di non appiattire un aspetto così centrale della scrittura della mia autrice e di cercare di evitare che, nel passaggio all’italiano, se ne perdesse il valore culturale, ma anche l’essenza giocosa, sottolineata dalla stessa Serpell in un’intervista: “Le varietà di inglese che ho a disposizione sono il mio parco giochi”. Posso solo sperare di essere riuscita a fare ciò che mi ero proposta.
Naturalmente a un traduttore non si chiede solo di dominare una lingua (o una pluralità di “lingue”, come in questo caso), “ma tutto ciò che sta dietro una lingua, vale a dire un’intera cultura, un intero mondo, un intero modo di vedere il mondo. E di saper annettere imperialisticamente questo mondo a un altro del tutto diverso, trasferendo ogni sfumatura, registro, accento, allusione, tonalità entro i nuovi confini” (Fruttero & Lucentini, I ferri del mestiere, Einaudi, 2003). E mentre rifletto sull’ironia dell’uso di una metafora imperialistica – o colonialistica – applicata a un libro che, tra le altre cose, di imperialismo e colonialismo tratta, penso ai miei sforzi per, non dico dominare, ma almeno familiarizzare con la cultura zambiana e poterla veicolare ai lettori italiani. È stato un compito arduo, per il quale la rete mi è stata di aiuto solo fino a un certo punto, visto che, sempre nelle parole della Serpell: “Non esiste una documentazione ufficiale di molti dei prodotti culturali e delle idee zambiane”. Per colmare questo vuoto ho potuto però fare affidamento sulle spiegazioni della stessa autrice, che mi sono arrivate tramite la traduttrice dell’edizione olandese del libro, Linda Broeder, che ha avuto la fortuna di lavorare per qualche giorno fianco a fianco con lei presso il Banff International Literary Translation Centre in Canada e che è stata così generosa da condividere con me la sua ricca messe di appunti.
E veniamo alla parte emotiva: questo libro, che parla più di ogni altra cosa, forse, di legami familiari e in particolar modo di madri e figlie, io ho iniziato a tradurlo quando ero incinta della mia. Ho proseguito durante i suoi primi mesi di vita, con la sua testa che spuntava dalla fascia come quelle dei neonati di Capelli, lacrime e zanzare dal papu delle loro madri. E ho concluso a ridosso del suo primo compleanno, con i suoi primi passi traballanti che seguivano il ritmo delle mie riletture del testo. In tutto questo nel mondo infuriava la pandemia, che riecheggiava a sua volta in modo inquietante nell’ultima parte del romanzo, al centro della quale ci sono il dilagare nello Zambia dell’epidemia di AIDS (chiamato semplicemente il “Virus”) e le ricerche per trovare un vaccino efficace per combatterlo. Una sezione del libro che ha accenti quasi profetici, considerando che l’edizione originale è stata pubblicata nel marzo del 2019.
La traduzione di Capelli, lacrime e zanzare è stata insomma una sfida in un momento pieno di sfide, una gioia in mezzo a quella più grande di tutta la vita e un appiglio in tempi incerti, dolorosi e terrificanti: ce n’è davvero abbastanza per non dimenticarlo mai.
Enrica Budetta