Tradurre «C’era due volte» di Franck Thilliez

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Franck Thilliez

In occasione dell’uscita di C’era due volte, Federica Angelini racconta la sua esperienza con la traduzione del nuovo romanzo di Franck Thilliez.

 

Il consiglio naturalmente è di cominciare da Il manoscritto. Non perché questo nuovo romanzo non possa essere letto da solo con sommo godimento, ma perché i due libri insieme costituiscono un gioco letterario che sarebbe un vero peccato perdere. C’era due volte di Franck Thilliez è infatti un libro che ha dentro un libro che aveva dentro un libro e dove lo spaesamento e l’orizzonte tra realtà e fiction è la sostanza di un altro thriller ad altissima tensione.

Tradurlo è stato divertente, appassionante, intrigante e sfidante come e forse più di quanto già non lo sia stato tradurre Il manoscritto.

Siamo tornati sulle Alpi, là o nei pressi, dove tutto era iniziato. Di nuovo siamo alle prese con un rapimento, con un’amnesia, con una ricerca, con una storia da ricostruire tra indizi e colpi di scena, in compagnia di padri, madri, figli. Famiglie devastate, solitudini, panorami ostici, bellezze stordenti.

Di nuovo troviamo una la lingua che parla di memoria e ricordi, identità, stanchezze esistenziali. Poi la scoperta: quello che pensavamo realtà è forse fiction. O viceversa. Il gioco di parole, il calembour, torna protagonista senza mai fare ombra a una trama da togliere il fiato, ma anzi ne diventa in qualche modo l’ordito. Tornano in scena i palindromi, ossessione linguistica che sta a dire altro, e crea un gioco di specchi tra romanzi, personaggi, tra lo scrittore e il lettore.

L’anagramma contiene in sé una realtà da scoprire, mistero nel mistero. Tradurre anagrammi è di per sé una sfida impervia, molto più di un semplice rompicapo. Vanno ricostruiti nomi e suoni, va resa una credibilità fonetica e culturale, si è costretti a interrogarsi su dilemmi linguistici che da sempre accompagnano chi ha la fortuna di esercitare questo mestiere.

Difficile spiegare senza rivelare o rovinare sorprese, come certe scelte stilistiche siano dettate da vincoli rigidissimi costruiti da Thilliez, che hanno a che fare con il gusto della parola e del gioco linguistico, ma anche con la trama. Lasciare tracce visibili, senza farle emergere prima che sia il momento giusto è il gioco di equilibrio di cui Thilliez è maestro e che in questo C’era due volte diventa perfino più stringente e vincolante che ne Il manoscritto. Cercare di ricostruire questa sfida al lettore è stata una delle prove cruciali della traduzione del libro.

Perché come accade nei grandi romanzi, la trama è talmente potente e i personaggi talmente ben tratteggiati che il calembour sarebbe perfino potuto non esserci a impreziosire un libro comunque così ben congegnato. Ancora una volta Thilliez ci regala un viaggio nella mente, nella psiche più profonda, nelle paure e negli incubi mettendo in scena una galleria di fragilità, manie, slanci autentici che basterebbero da soli a farne una lettura appassionante. Attraverso gli strumenti del thriller e della suspense e insieme del giallo di investigazione, ancora una volta Thilliez non si limita a raccontarci l’orrore, ma arriva a mostrarci anche come questo possa devastare vite comuni, ci racconta effetti collaterali e personaggi secondari che con poche battute, qualche gesto, prendono corpo, si fanno reali e tridimensionali.

I dialoghi sono sempre serrati e si muovono in due direzioni: far progredire la trama e tratteggiare i personaggi, i quali anche quando sono spinti da motivazioni personali condivisibili non sono mai del tutto bianchi o del tutto neri. Se il male è male, il bene è sempre sfumato in Thilliez, prende vie contorte, usa metodi non convenzionali, per così dire, e finisce per interrogare il lettore, mentre lo tiene attaccato alla pagina con i continui colpi di scena, pezzi di un puzzle che sembrano non poter trovare un posto coerente nel disegno e che invece alla fine andranno tutti al loro posto.

E ancora una volta, lo scrittore francese mette in questo mix l’elemento della scrittura stessa, il suo ruolo, la potenza e la forza dell’arte senza mai diventare elitario o didascalico, non teme di citare i mostri sacri dell’arte e del genere per sfidare il lettore su ogni piano possibile: logico, culturale, psicologico. Il suo è un intrattenimento autentico, che assorbe fino in fondo e ci riempie di meraviglia.

 

Federica Angelini

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