Tradurre «Crescita selvaggia» di Sheng Keyi

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Keyi

Il traduttore Federico Picerni racconta la sua esperienza con la traduzione di Crescita selvaggia, il nuovo romanzo di Sheng Keyi.

 

Tradurre è un’esperienza bellissima. È divertente, anche quando costringe a fare le notti, e il caffè o il tè – rigorosamente verde, per immergerci nei sapori che più avvicinano al contesto della lingua oggetto della traduzione, nel mio caso il cinese – diventano i migliori amici di chi si cimenta nell’impresa. Dal mio punto di vista, tradurre significa mettersi alla prova, sfidare i limiti imposti dagli strumenti interpretativi offerti dalla propria lingua madre, fare gli equilibristi sul sottile filo di lana che separa il rigoroso – e doveroso – rispetto dello stile dell’autrice e una resa che risulti scorrevole anche nella lingua d’arrivo. Tuttavia, oltre a costituire questa avventura straordinaria, tradurre significa anche offrire una lettura.

Per molti versi, anche la traduzione di Crescita selvaggia di Sheng Keyi è prima di tutto una lettura della complessa trama intessuta da questa autrice, che si sta affermando sempre più sulla scena letteraria cinese. Non è sempre facile proporre una traduzione in grado di esprimere al meglio l’intensità dei sentimenti senza perdere i colori e le particolarità di uno stile molto ricercato e costruito. Sheng Keyi esprime appieno il rapporto quasi simbiotico tra due concetti chiave del pensiero letterario e filosofico cinese: qing 情, il sentimento ma anche la tradizione lirica, e jing 境, l’ambiente. Il suo è un linguaggio coloratissimo, che salta da un registro all’altro per prenderli in giro, arricchito di espressioni idiomatiche e proverbiali che fanno riferimento soprattutto alla terra, il cui rapporto con i – e le! – protagonisti, intenso e travolgente, è parte di ciò che rende la loro crescita “selvaggia”. Una parte significativa è rivestita dai dialetti: in diversi momenti l’autrice usa espressioni dialettali dello Hunan, la provincia d’origine sua e dei protagonisti (del resto è un romanzo con diversi occhiolini autobiografici), che poi spiega fra parentesi, come se stesse compiendo una ricerca antropologica: in traduzione si è deciso di mantenere questa forma, che, pur apparendo straniante nel contesto di un’opera di narrativa, restituisce però la doppia dimensione, lirica e sociale, dell’autrice.

Chiaramente anche la traduzione delle espressioni dialettali è tutt’altro che facile: rispetto però ad altre legittime scelte, quali per esempio impiegare dialetti italiani (ma poi, quali?) o addirittura slang (e con che criterio?), per Crescita selvaggia si è preferito optare per una traduzione il più possibile diretta dei caratteri costituenti l’espressione dialettale, grazie peraltro al fatto che l’autrice poco dopo aggiungeva comunque una spiegazione, utile tanto al lettore cinese quanto a quello italiano. Per fare un esempio: 调摆 (调 trasferire, spostare, ma anche sistemare, armonizzare + 摆 sistemazione, disposizione) è stato reso come “farci cambiare di posto”, corredato dalla solita parentesi: “(dialetto: istruirci, sistemarci)”. Trattandosi di persone anziane rispetto alle quali le generazioni più giovani cominciano ad alzare la voce, pare sensato che ci sia un “cambio di posto”. Naturalmente è una traduzione personale e tutt’altro che univoca, che si presterebbe a molte altre opzioni – proprio ora mentre scrivo me ne vengono in mente almeno altre due.

Spostandoci sul piano del contenuto, la narrazione segue le vicende della famiglia Li “a grappolo”, scendendo cioè dalla comune origine e poi diramandosi su più direzioni: una scelta resa anche dai continui slittamenti narrativi, salti in avanti e indietro che rendono la trama non lineare, ma al contempo molto coerente, ora anticipando certi avvenimenti, ora lasciandoli in sospeso, in attesa che un altro personaggio ci racconti com’è andata a finire, magari qualche capitolo più avanti. Il romanzo è denso di avvenimenti storici dagli anni ’80 a oggi, alcuni dei quali espressi non in maniera esplicita, ma attraverso la forza più sottile del non detto. Ciò è vero soprattutto per il massacro di piazza Tian’anmen del 4 giugno 1989, mai apertamente citato, ma evocato attraverso la combinazione di riferimenti impliciti e atmosfere cupe create da immagini e metafore angosciose. In alcuni casi di questo tipo la difficoltà maggiore è stata data dal fatto che il cinese moderno, in quanto lingua non flessiva, non ha tempi verbali (ma neanche casi, genere, numero…), e a volte questa ambiguità è stata sapientemente usata da Sheng Keyi per offuscare le descrizioni di certi momenti storici, rendendole più ambigue. Per l’italiano la scelta migliore sarebbe l’imperfetto, più sfumato rispetto al passato remoto, ma non è sempre adatta.

E comunque, gli spunti di riflessione che Crescita selvaggia e Sheng Keyi stessa offrono proprio grazie a queste ambiguità e a questi interstizi narrativi sono, a mio parere, uno degli aspetti più affascinanti di questa opera. Ben venga, allora, non svelarli del tutto…

 

Federico Picerni

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