Velia Februari, traduttrice di La grande fortuna, racconta lo splendido romanzo di Olivia Manning e la sua vita avventurosa.
Tradurre La grande fortuna di Olivia Manning è stato, in poche parole, una grande fortuna! Perché mi ha dato modo di conoscere a fondo un’autrice di cui sinora si è parlato troppo poco, e non soltanto qui in Italia.
La biografia di Manning è avventurosa quanto un romanzo, degna di essere definita un’odissea: nata e deceduta in Inghilterra, nei suoi 72 anni di vita abitò in Romania, in Grecia, in Egitto e in Palestina. Visse all’estero gli anni terribili della seconda guerra mondiale scrivendo poesie, romanzi, saggi, opere teatrali: una produzione letteraria ricca e variegata nella quale spiccano le due trilogie che insieme prendono il nome di Fortunes of War. La grande fortuna è il primo di questa serie, e il lettore noterà senz’altro che parte della trama del romanzo corrisponde alla biografia della sua autrice.
Manning è riuscita a ricreare in questo romanzo la vita di quell’epoca particolare, di quel luogo particolare, con un nitore sorprendente, un’attenzione minuziosa ai dettagli, ricordando o ricreando, ampliando lo sguardo e posandolo, anche solo per brevi istanti, sugli esseri umani che ruotano intorno alla protagonista, Harriet. Questa meticolosità già traspare nella scena iniziale, in cui Harriet e Guy, novelli sposi e pressoché sconosciuti l’uno all’altra, stanno viaggiando in treno alla volta di Bucarest: ci sembra quasi di essere lì, seduti nello scompartimento insieme a loro, notiamo i piccoli dettagli che contraddistinguono gli altri passeggeri, ci affacciamo al finestrino, cogliamo gli odori, i rumori. “Adesso può succedere di tutto”, pensa Harriet, e subito percepiamo la sensazione di precarietà, di incertezza, che permea tutta la storia.
La guerra è appena iniziata e incombe sull’esistenza di ciascuno come un’ombra minacciosa la cui presenza è palpabile. Questo, tuttavia, non impedisce ai personaggi di concentrarsi sui piccoli problemi di ogni giorno: l’arredamento della nuova casa, le gelosie tra giovani sposi, gli incontri con personaggi a dir poco bizzarri, l’organizzazione di uno spettacolo teatrale.
Una parentesi speciale va dedicata alla figura di Yakimov, principe decaduto, e alle sue rocambolesche avventure. Una sottile ironia soffonde la narrazione nelle parti a lui dedicate e, nel tradurre, la difficoltà è stata coglierla e quindi restituirla. Yakimov è essenzialmente un povero diavolo con un debole per il gioco d’azzardo e per l’alcol, un uomo che vive di espedienti, apparentemente incapace di togliersi d’impiccio con le proprie forze. Inetto alla vita, Yaki suscita pietà nel lettore e, al contempo, una bonaria ilarità.
Un altro aspetto che vale la pena di sottolineare è che il romanzo, ambientato a Bucarest, è infarcito di termini e di espressioni in lingua rumena; pertanto si è reso necessario chiedere la consulenza – anche a ore improbabili – di una cara amica madrelingua, Dana Popa, che qui ringrazio per il preziosissimo aiuto.
Per concludere, che senso ha tradurre, pubblicare o leggere La grande fortuna nel 2024? Credo che la risposta sia quantomeno banale. Per riscoprire un’autrice e un’opera sottovalutate da troppo tempo? Sì, questo è il primo motivo. Il secondo, però, è forse ancora più importante e ci riguarda tutti. La nostra epoca e l’epoca rappresentata da Manning hanno troppe analogie che non possono essere ignorate. Il Doomsday Clock, un orologio metaforico inventato da un comitato di scienziati nel 1947 per indicare l’imminenza di un ipotetico “punto di non ritorno” in cui l’umanità non potrà più porre rimedio alle minacce da lei stessa create, da oltre un anno segna 90 secondi, il minimo storico. Per questo tradurre, pubblicare e leggere Manning ha ancora senso, perché ci riporta all’essenza ultima del nostro essere qui e ora:
“La vita è una grande fortuna. Dobbiamo difenderla a ogni costo”.
Velia Februari