Tradurre Machado de Assis, oggi

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Machado de Assis

Daniele Petruccioli, traduttore di Memorie Postume di Brás Cubas, ci racconta la sua esperienza di traduzione con il romanzo di Machado de Assis.

 

Machado de Assis è uno dei grandi scrittori dell’Ottocento – un classico alla pari con Balzac, Stendhal, Dickens, Dostoevskij… Eppure è così poco, così mal conosciuto da noi.

Forse perché era brasiliano? O perché era povero, malato, autodidatta, mulatto? Non credo che sia niente di tutto ciò. Più probabilmente, si deve alla discontinuità delle sue traduzioni.

A parte la meritoria opera di Fazi e pochissimi altri, infatti, che hanno contribuito a mantenere in catalogo i capolavori di questo geniale, ironicissimo narratore, Machado de Assis è clamorosamente assente dagli scaffali delle nostre librerie. Per leggerlo, bisogna andare in biblioteca. E cosa si trova in biblioteca, se non roba barbosa che ti costringono a studiare?

Invece Machado de Assis è uno degli scrittori più brillanti, ironici, ridanciani e spiritosi degli ultimi due secoli. Certo, in lui non manca l’amarezza – anzi è molto presente, come in tutti i grandi scrittori che vogliono e sanno dipingere la vita per intero. Ma la prima caratteristica delle sue opere migliori è sempre una sorta di sorriso sornione, di saggezza ironica, di presa in giro. Leggere Machado è trovarsi sempre spiazzati e divertiti, come se qualcuno ci togliesse il pavimento da sotto i piedi mentre ci fa il solletico.

Questo è subito evidentissimo nelle Memorie Postume di Brás Cubas, che fin dal primo capitolo ci presenta addirittura «non propriamente un autore defunto ma un defunto che fa l’autore», cioè una specie di scrittore zombie, a vederla con i nostri occhi amanti di George Romero.

Questo accostamento con il regista americano della Notte dei morti viventi sembrerà paradossale, invece è al centro della decisione di un editore intelligente (in questo caso Fazi) non solo di ripubblicare ma anche di far ritradurre i classici – e i grandi romanzi in generale. Machado, quando scriveva, usava uno stile alto, colto, a volte poetico, ma non si peritava di prenderlo in giro, o di contaminarlo, con espressioni colloquiali al limite della gergalità. Citava grandi scrittori d’oltreoceano che lo avevano immediatamente preceduto come Stendhal e Chateaubriand ma anche i ristoranti migliori e i vicoli più malfamati della Rio de Janeiro della sua epoca, la grande Storia europea, dalla Rivoluzione francese a Bismarck e Cavour, non meno delle questioni socialmente e politicamente più scottanti del Brasile a lui contemporaneo come l’abolizione della schiavitù o la lotta tra Impero e Repubblica.

Ritradurre, allora, significa forse non solo (anzi, per niente) dare una “nuova veste linguistica” a un testo, ma soprattutto saper rendere le sfumature di senso (l’ironia, la comicità, la nostalgia, lo scetticismo) attraverso le lenti della nostra contemporaneità, oltre che della sua.

Come si fa?

Naturalmente una ricetta univoca non c’è, ma posso provare a dirvi come ho fatto io.

Intanto, ho usato appieno il mezzo principe della nostra epoca: la rete. Non solo quanto a ricerca di parole, linguaggi, riferimenti, ma anche per le immagini: cartine topografiche, cartoline, foto d’epoca. Grazie alla rete ho potuto non soltanto leggere descrizioni dell’antica Rio, ma a volte vederne le piazze, i giardini, seguire le mappe dei vicoli del centro per com’erano allora, all’epoca di Brás Cubas (metà Ottocento) e di quando Machado scriveva (fine secolo), rendendomi conto così di come cambiava in quegli anni la capitale dell’Impero brasiliano e di come questo cambiamento – attraverso gli occhi del suo protagonista – veniva giudicato dal nostro grande romanziere.

Ma non basta. La rete oggi è anche un sistema di reti, di conoscenze, di contatti e amicizie. Perciò un traduttore dal portoghese come me, con poche semplici e-mail, ha potuto contattare gli scrittori viventi che traduce e chieder loro di metterlo in contatto con i più grandi studiosi contemporanei di Machado, così da risolvere dubbi linguistici, letterari, culturali.

Insomma, grazie alla rete – e alle reti che produce – credo di aver potuto lavorare a questa traduzione con molti meno dubbi di chi mi ha preceduto. Certo, leggere un romanzo è prima di tutto un piacere, quindi insieme alla redazione abbiamo cercato di ridurre le note, pure indispensabili, ai soli aspetti storico-culturali del Brasile. Ma io mi sono documentato su tutto, perciò se aveste altri dubbi chiedete qui sotto nei commenti: non mancherò di rispondere.

La cosa più difficile, però, nel tradurre, secondo me non è capire, e nemmeno far capire: è ricreare. Ricreare uno stile altissimo che prende in giro se stesso, un romanticismo spogliato di ogni idealità, un linguaggio forbito pieno di modi di dire popolari. Far sentire insomma al lettore italiano quello che Machado voleva far sentire al suo lettore, senza però far finta di essere a Milano o a Roma nel Duemila anziché nella Rio de Janeiro dell’Ottocento. È questo, per me, il vero compito del traduttore. Se ci sono riuscito o meno, sta a voi giudicare.

 

Daniele Petruccioli

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