Elisa Ronchi, traduttrice di Portami a casa, racconta le particolarità linguistiche e tematiche del nuovo romanzo di Sebastian Fitzek.
Una delle prime parole del romanzo Portami a casa di Sebastian Fitzek è “Verletzungen” che, come in italiano, può avere molti significati: ferite, lesioni, violazioni, ma anche offese, danni. Dalla sfera fisica a quella emozionale: un tradimento dell’intimo. Comunque sia, un “trauma” (ed è così che ho scelto di tradurla).
“Trauma” è, in effetti, parola che sembra condensare l’esperienza del romanzo, assieme forse ad “allucinazione”. Il lettore non si spaventi: è tutto funzionale a quanto è giusto attendersi da un thriller, ossia una fitta trama di colpi di scena, giochi d’ombre, percezioni altalenanti tra verità dell’istinto e pure paranoie; il tutto narrato in uno stile galoppante, sempre dentro e fuori al flusso di coscienza dei due protagonisti. Come trasporre in lingua italiana queste peculiarità senza perdere l’autenticità espressiva dell’originale ha rappresentato, per me, il solito vecchio dilemma del traduttore.
Più in particolare, Fitzek ama proprio girare attorno al… particolare, che nel thriller è frammento significativo, ma mai concludente, dell’intreccio, e quindi della tensione che muove le pagine. Eppure non tutti i dettagli hanno lo stesso peso: alcuni sono cruciali per la trama, altri più marginali, altri ancora paiono inseriti qua e là per confondere, deviare l’attenzione, illudere il lettore d’aver compreso ciò che sta accadendo, aprire strade narrative che poi s’interrompono, bruscamente, qualche pagina più in là.
Rispetto al tedesco, l’italiano è lingua meno precisa nel suo potere descrittivo della realtà fisica e “oggettuale”, ma forse più in tono con le ambiguità della sfera emozionale. Soppesare i diversi dettagli per capire, di volta in volta, se e quando concederli, ha rappresentato forse la vera sfida nella traduzione dell’opera. Questo perché, in particolare nel thriller, il traduttore (che naturalmente conosce la trama, e dunque il valore di quanto esplicitato dal narratore, e di quanto invece sottinteso) deve anche ricordarsi, a tratti, di sospendere conoscenza e giudizio per trovare le formule giuste a mantenere la carica emotiva, il filo teso dell’attenzione, l’energia spasmodica propria del genere. Formule che, date le difformità sintattiche tra il tedesco (ordinato, fisso, preciso, tagliente) e l’italiano, possono influenzare molto la connotazione emotiva del narrato. Spesso, ad esempio, ciò che in tedesco suona riuscito nella sua qualità sentimentale, in italiano può rivelarsi pacchiano, pretenzioso. Al contrario, espressioni che in tedesco quasi confinano con il kitsch, in italiano hanno modo d’aprirsi a sfumature di senso capaci di infilarsi più sottilmente nel cuore del lettore.
Si è trattato, dunque, di trovare l’italiano “giusto” per entrare nel dettaglio senza svelarlo davvero, mantenendo sempre viva l’onda allucinata della trama, assieme alla voce delle coscienze dei due protagonisti che, nella lunga notte del romanzo, si confrontano, s’incontrano, si scontrano, s’ingannano e si auto-ingannano, fino al drammatico epilogo.
Elisa Ronchi