Tradurre «Sorelle» di Daisy Johnson

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Johnson

In occasione dell’uscita di Sorelle, il traduttore Stefano Tummolini presenta il nuovo romanzo di Daisy Johnson.

 

Luglio e Settembre sono due sorelle inseparabili, quasi gemelle, nate ad appena dieci mesi di distanza l’una dall’altra. All’inizio della storia le troviamo in fuga da Oxford con la madre Sheela, una disegnatrice di fiabe per bambini in preda alla depressione. Tra le campagne e i canali nei dintorni di Oxford, ai margini del mondo civilizzato, abitavano anche le protagoniste di Nel profondo, romanzo d’esordio di Daisy Johnson: una madre e una figlia disfunzionali, fisicamente “ancorate” a una casa galleggiante, che parlavano una lingua tutta loro. Sorelle invece si apre – apparentemente – con il racconto di un trasloco. Dalla voce di Luglio, in prima persona, apprendiamo che le tre si stanno trasferendo nello Yorkshire – dove Johnson aveva ambientato i suoi primi racconti. Scrivo “apparentemente” perché al centro del romanzo c’è un mistero che poco a poco comincia a infiltrarsi nella lingua della ragazzina – fatta di rimandi intimi, quotidiani, accoglienti. Apparentemente accoglienti, per l’appunto.

L’unica certezza è che le tre stanno fuggendo da una catastrofe avvenuta pochi mesi prima a scuola, e che il rapporto tra Luglio e Settembre è tanto viscerale quanto morboso.

Quando una di noi parla, sentiamo tutte e due le parole muoversi sulla lingua. Quando una di noi mangia, sentiamo tutte e due il cibo che ci scivola in gola. Nessuna di noi due si stupirebbe se, aprendoci la pancia, scoprissero che abbiamo degli organi in comune, che i polmoni di una respirano anche per l’altra, che un cuore solo batte due volte, all’impazzata.

Eppure le due sorelle sono diversissime. Luglio è una ragazzina ingenua e remissiva. Settembre invece è crudele e manipolatrice, e tiene in pugno la sorella “minore”. Organizza le sue giornate dall’inizio alla fine. Pretende che festeggi il compleanno nello stesso giorno del suo. Le impone un gioco ironico e perverso, in cui è costretta a fare tutto ciò che le chiede:

Di giorno le cose che dovevo fare erano facili; Settembre dice fai la capriola. Settembre dice incrocia gli occhi. Fai un giro su te stessa, hai perso una vita. Via via che finiva la giornata i compiti diventavano sempre più difficili: Settembre dice tagliati le unghie e mettile nel latte. Tagliati tutti i capelli. Settembre dice resta sdraiata un’ora sotto al letto. Corri in strada. Settembre dice metti tutti i vestiti nel secchio e rimani in piedi davanti alla finestra. Infilati quest’ago nel dito.

Pur temendo Settembre, Luglio ne ammira la forza e stravede per lei. Sa di essere la più debole e le chiede aiuto e protezione. A scuola le due sono isolate, ma unite contro tutti. E la loro diversità, inevitabilmente, innesca la catastrofe. Di quei terribili fatti, ogni tanto, riaffiora qualche lampo dai racconti di Luglio: un amore non corrisposto per un compagno di scuola, un episodio di bullismo, un capanno accanto a dei campi da tennis abbandonati, sferzati dalla pioggia battente…

La ricostruzione di un evento traumatico, centrale anche nel primo romanzo della Johnson, avviene qui in modo più semplice e chiaro – ma non per questo meno sconvolgente. E anche stavolta, la casa rappresenta un rifugio ambiguo contro la violenza del mondo. Al barcone che ospitava le protagoniste di Nel profondo, assediato da un mostro acquatico, si sostituisce una vecchia casa “spiaggiata” lungo le brughiere, popolata di ombre e ricordi. Un breve, impersonale interludio – unica eccezione alla voce narrante di Luglio, insieme a alcune pagine in terza persona che suggeriscono la prospettiva della madre – ce ne riassume la storia, da prima che fosse edificata a quando Sheela vi si è trasferita con il padre delle due bambine. Luglio invece la descrive così:

La Casa Accoglienza ha i muri portanti. Ecco cosa portano: l’infinita tristezza di mamma, gli scatti d’ira di Settembre, la mia muta incapacità di fare tutto quello che gli altri mi chiedono di fare, le stagioni, la morte dei piccoli animali nella macchia qui intorno, ogni parola d’amore o di rabbia che ci diciamo l’un l’altra. 

La casa, per Johnson, ha sempre una duplice valenza. Da un lato significa sicurezza, appartenenza, identità. Dall’altro è un luogo di violenza, straniamento, sopraffazione. Quest’ambiguità si riflette anche nella lingua di Luglio. Parole e oggetti quotidiani – l’ultimo biscotto del pacco, la tenda improvvisata in soggiorno, il divano da cui guardare la tv abbracciate, il binocolo con cui spiare il mondo – si ripetono in modo ossessivo, fino a risultare alienanti. Calore e protezione hanno un prezzo altissimo, che è quello dell’identità.

Settembre mi chiude le labbra. Capisco, per la prima volta, la promessa che le ho fatto, e il suo significato preciso: se dovesse restarne una sola, saresti tu.

Con un imprevedibile colpo di scena, Johnson capovolge il quotidiano nella sua stessa ombra, trasformando un racconto naturalista in una fiaba gotica che riassume le contraddizioni dell’adolescenza. E come nei ricordi che serbiamo di quegli anni inquieti l’effetto è quello di un sogno  – o di un incubo – a occhi aperti, in cui si mescolano entusiasmo e angoscia, gioia e disperazione, inganno e verità.

 

Stefano Tummolini

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