In occasione dell’uscita di Fratelli di Sangue di Ernst Haffner, abbiamo tradotto l’articolo del New York Times, che negli Stati Uniti ha scatenato un passaparola che ha portato al successo del romanzo.
Quando i nazisti, nel 1933, bruciarono in tutta la Germania i libri non corrispondenti allo “spirito tedesco”, il romanzo di un certo Ernst Haffner finì in fumo insieme ai lavori di Thomas Mann, Robert Musil e Sigmund Freud.
Jugend auf der Landstrasse Berlin («Gioventù sulla strada di Berlino») fu pubblicato l’anno prima ed il suo sguardo spietato su una banda di giovani squattrinati di Berlino venne elogiato dalla critica. «Raramente ho letto una descrizione di questo periodo così appassionante e coinvolgente», scrisse il giornalista e critico Siegfried Kracauer sulla «Frankfurter Allgemeine Zeitung». «Se mai dovesse diventare un film, il pubblico potrebbe apprezzare una profonda descrizione oggettiva che non ha nulla a che vedere con i soliti film sulla malavita».
Non diventò mai un film. Dopo il 1933, il libro ed il suo autore scomparirono nell’oblio, e vi rimasero fino a quando un piccolo editore tedesco, MetroLit, ripubblicò il romanzo nel 2013, con il titolo Blutsbrüder. Fece scalpore alla fiera del libro di Francoforte, e fu accolto dalla stampa tedesca con recensioni entusiaste. Per i lettori tedeschi fu come salire su una macchina del tempo per assistere con i propri occhi agli ultimi giorni della Repubblica di Weimar.
Resta quindi un mistero perché questo romanzo sia rimasto nascosto per tutto questo tempo. «Neanche gli studiosi della Repubblica di Weimar conoscevano questo libro», ha detto Erhard Schütz, professore alla Humboltd University di Berlino e autore di Narratori della Repubblica di Weimar. «Io stesso, negli anni Ottanta, ho studiato e scritto sul problema della gioventù disperata di Weimar, ma non avevo mai sentito parlare di Haffner o del suo libro».
Non esistono foto di Ernst Haffner. Ci rimangono solo dei piccoli frammenti biografici. Kracauer, nella sua recensione, lo descrive come «un giornalista che ha a lungo frequentato l’area tra Alexanderplatz e la stazione Berlin Ostbahnhof» – in altre parole, i quartieri poveri e proletari di Berlino est.
Qualcuno ipotizza che Haffner sia stato un assistente sociale. I registri ufficiali della città lo segnalano a Berlino tra il 1925 e il 1933, e sappiamo che nel 1938 venne convocato dal Reichskulturkammer, istituzione culturale centrale del Terzo Reich.
Questo è tutto. In un articolo sul romanzo, il quotidiano «Bild am Sonntag» ha chiesto ai lettori di inviare qualsiasi informazione avessero sull’autore. Nessuno ha risposto.
Alla fine degli anni Settanta, il romanzo attirò l’attenzione di Rolf Lindner, un sociologo impegnato nello studio delle gang giovanili di Berlino. «Il libro di Haffner è senza dubbio il miglior testo della letteratura contemporanea sul tema della disoccupazione, della delinquenza e dell’angoscia che contraddistinguono gli ultimi anni di Weimar», disse.
Lindner iniziò a lavorare a una trasposizione televisiva del romanzo, ma il tempismo non fu dei migliori, in quanto si trovò in concorrenza con l’adattamento di Rainer Werner Fassbinder del romanzo «Berlin Alexanderplatz» di Alfred Döblin, che affronta gli stessi temi.
Il progetto fu così abbandonato, ma Lindner lasciò una copia del romanzo al produttore Helmut Wietz, che, anni dopo, ne parlò all’editore di MetroLit, Peter Graf. «Rimasi affascinato dalla sua franchezza e assenza di retorica. Segue la tradizione della Neue Sachlichkeit» – o Nuova Oggettività – «ed è un’eccezionale documento storico.»
Haffner racconta di adolescenti relegati ai margini della società, una banda di otto anime perdute capeggiate dal ventunenne Jonny. I fratelli di sangue, giorno dopo giorno, le provano tutte per racimolare pochi spicci in modo da permettersi una salsiccia, una zuppa, qualche sigaretta, una birra e un letto per la notte.
A volte rubano, altre offrono i propri corpi. Haffner, con l’occhio del documentarista ed una passione per i più piccoli dettagli, descrive i lugubri uffici d’assistenza sociale, gli squallidi ostelli, le prigioni, gli istituti di rieducazione e le sale pubbliche riscaldate in cui centinaia di persone ogni giorno si rifugiavano dal gelo per qualche ora. «Sì, fa caldo qui. Così caldo che c’è un puzzo infernale! Le esalazioni di centinaia di corpi non lavati, di abiti luridi e cenciosi e nuvole di tabacco di pessima qualità ribollono e friggono in quel calore».
Quando la banda passa ai borseggiamenti seriali, iniziano finalmente a guadagnare i primi soldi. Passano le serate in locali e bettole in cui scorrono fiumi di alcol, e a fine serata rimangono anche pochi spiccioli da investire su qualche prostituta.
«È uno spaccato dell’inquietudine della vita di strada senza precedenti», ha scritto David Meeres, che ha da poco discusso una tesi sulle bande di strada di Berlino all’Università di Limerick in Irlanda. «È chiaro che l’autore conosceva alla perfezione l’argomento».
Lindner affermò che il romanzo è un gioco di prestigio, che Haffner non era un assistente sociale ma un giornalista che approfondiva le sue osservazioni con materiali tratti da studi sociologici sulla criminalità giovanile, come «Gioventù disperata» di Martin Lampel e «Strade infinite» di Justus Ehrhardt.
«Come giornalista, conosceva alla perfezione la letteratura e il dibattito sul problema della gioventù alla deriva», disse Lindner. «Nel libro, troverete elementi dell’indagine di Lempel, così come tracce di «Berlin Alexanderplatz» di Döblin e, a mio parere, anche del film «M – Il mostro di Düsseldorf» di Fritz Lang.
Anche secondo Meeres gli studi di Lampel influenzarono Haffner. Il suo libro, pubblicato nel 1928, fu rappresentato a teatro e al cinema con notevole successo.
Perché i nazisti abbiano proibito il libro non è così chiaro. Nel romanzo è volontariamente assente ogni forma di ideologia o digressione politica. L’editore Cassirer era ebreo, però.
«La sola rappresentazione di un contesto così osceno e immorale, l’assenza di qualsiasi riferimento nazionalistico, poteva essere abbastanza per bruciarlo» ha detto Eric Weitz, autore di «La Germania di Weimar: Promessa e Tragedia».
D’altra parte, però, Haffner non assume neanche una posizione di estrema sinistra, che avrebbe dato al libro una seconda chance dopo la guerra, secondo Weitz. «Non era un comunista, da quanto ne so, e se lo fosse stato, il suo libro sarebbe stato ripubblicato nella Germania est. Forse proprio questa sua difficile collocazione politica contribuì a farlo cadere nel dimenticatoio».