In occasione dell’uscita di Foschia di Anna Luisa Pignatelli, pubblichiamo una riflessione sul romanzo di Alessia Ragno.
La mia vita s’è svolta nella solitudine, che m’avviluppa come una densa foschia anche quando mi trovo sul palcoscenico – sono un’attrice di teatro –, e quando sto con mia figlia.
Inizia così Foschia di Anna Luisa Pignatelli, un incipit granitico, senza scampo, che apre un romanzo di formazione oscuro, un viaggio nel privato di una famiglia in cui l’ordine delle cose viene rovesciato da egoismo e incapacità. Marta è la protagonista che, ormai adulta, racconta in un lungo flashback i danni di una famiglia altamente disfunzionale e il lungo lavoro per dimenticare e far prevalere il proprio istinto di sopravvivenza. La storia di una vita nella foschia più fitta.
Anna Luisa Pignatelli torna al romanzo scegliendo ancora la Toscana come unica ambientazione possibile per la storia di Marta. L’altro luogo è la foschia, reale, ma soprattutto metaforica, simbolo di una oscurità dell’animo che Marta porterà con sé fino alla fine, nonostante tutto, nonostante la sua resistenza. Perno di tutto questo male i due genitori, Teresa e Lapo, ma soprattutto il padre: un uomo sfuggente, pieno di sé, egoista e arrivista, di profonda cultura e conoscenza. Teresa, la madre, il contraltare spirituale della famiglia, è stritolata anche lei nel profondo dal dominio di questo compagno anaffettivo e crudele che insegue solo i suoi obiettivi. La famiglia per lui è un “incidente di percorso”, nelle parole della stessa autrice.
Il romanzo diventa, allora, la testimonianza di come le incapacità dei genitori si ripercuotano sulla crescita di un figlio e di quanto siamo influenzati, come esseri umani, dalla loro psicologia. Questo padre che “trasuda cattivo umore” dispone, nelle sue mani, di vita e morte di questa famiglia, ignorando le richieste di aiuto di Teresa, chiusa in stanza a cantare nenie calmanti per ritornare in sé, ma avviata verso un declino inesorabile di perdita del suo io. Marta non comprende, è una bambina, ma il momento della verità arriva per tutti, quel punto di non ritorno in cui si riescono ad analizzare, con un minimo distacco, i propri rapporti personali. Quando Marta annulla la componente emotiva si ritrova davanti all’essenza perversa del padre, alla sua indole meschina alla quale non c’è rimedio. E la realizzazione che ne consegue è durissima: l’amore di una figlia non è abbastanza per aggiustare un padre.
Non c’è scampo dalla ostinata volontà di dominio delle emozioni e della vita di questo padre, egocentrico e vanesio, assorbito dall’arte che studia e che riconosce come unico bene supremo il prestigio. Marta cresce e diventa donna nella mancanza di affetto, di comprensione e confronto, prima nella Lupaia, cupa e spirituale come la madre, e poi a Torre del Salto. Antonio, suo fratello, è inconsistente e distante, per cui la proiezione mentale dei rapporti e la conquista della maturità e della sua identità di donna, diventa un affare solo interiore, totalmente proiettato su sé stessa. Marta è sola nella sua crescita, divorata dai demoni dell’indifferenza e incapacità altrui. Foschia, allora, è in realtà una storia duplice: una ragazzina che vive nel mito del padre e una donna, la stessa protagonista ormai cresciuta, che demolisce quel mito pezzo per pezzo, a mani nude, con la ferocia della delusione e della paura per il futuro.
Anna Luisa Pignatelli dipinge con la sua penna sicura ed elegante il quadro preciso dell’altissimo potere distruttivo dei rapporti familiari, del dolore infinito di una psiche lasciata a macerare nella mancanza di amore. Foschia racconta, inoltre, con discrezione e tragico realismo gli effetti catastrofici del senso di colpa e della responsabilità inculcati da una coppia di genitori incrinati. Marta lotta terribilmente per far tacere il suo senso di inadeguatezza, il bisogno quasi fisico del padre nervoso e incapace di ogni gesto benevolo. E quando diventa adulta porta con sé la paura di essere come loro, quei genitori schiacciati dai loro stessi difetti. Il grande regalo di Anna Luisa Pignatelli, però, emerge nelle ultimissime pagine, in cui dimostra con semplicità disarmante che il dolore può davvero diventare meno importante e che anche i danni di una vita possono passare in secondo piano, per un prezioso e lunghissimo momento. In fondo è anche questo il significato di conforto.
Alessia Ragno