Nel suo ultimo libro Dörte Hansen torna a raccontarci di una piccola comunità, e in particolare di una famiglia, ai margini del continente europeo, riconfermando le sue grandi doti di narratrice della provincia tedesca. La vicenda di Al mare si inserisce in un contesto ancor più estremo di quello del romanzo precedente: se in la campagna frisona, desolata e battuta dal vento, sembrava guardare con indifferenza all’«inezia umana», ora la natura è apertamente ostile e minacciosa, capace di evocare una dimensione mitica e sublime. Il vento continua a farla da padrone – e si sente! – ma stavolta reca in sé la salinità del mare, che corrode e cura al tempo stesso.
Siamo su un’isola del Mare del Nord, «da qualche parte nello Jutland, nella Frisia o nella Zelanda». Un’ambientazione dichiaratamente fittizia, dunque, ma non per questo meno realistica. Con la sua prosa coinvolgente e la disinvoltura di una insider, l’autrice ci scorta attraverso il variegato microcosmo dell’isola, assumendo di volta in volta prospettive diverse e ricordandoci che in ogni storia, collettiva o individuale che sia, convivono più narrazioni, talvolta in conflitto tra loro.
Nel capitolo centrale del romanzo un capodoglio spiaggiato mette in subbuglio la comunità e richiama frotte di curiosi dalla terraferma. «Si potrebbe credere», scrive Hansen, «che gli abitanti delle isole del Mare del Nord sappiano cosa fare con una balena morta. Che nelle loro case o nei capannoni del porto, nelle soffitte e nei bauli polverosi, tra arpioni arrugginiti e vecchie lenze, conservino anche le apposite lame, alle quali devono dare giusto un’affilata prima di accingersi a scarnare con tagli sapienti un mammifero marino di trenta tonnellate». Ma gli isolani, che a differenza dei loro antenati hanno scarsa dimestichezza con i giganti del mare, sono a dir poco sconcertati. Volendo ricorrere a un’analogia un po’ stiracchiata, si potrebbe credere che una traduttrice non proprio alle prime armi sappia cosa fare con un romanzo ambientato su un’isola del Mare del Nord, che negli anni abbia affinato gli strumenti del mestiere e possa quindi accingersi spensieratamente all’impresa.
«Su certe isole i secoli volano», prosegue Hansen. «Si rischia di perdere la cognizione del tempo dinnanzi a case con i tetti di giunchi, sui cui frontoni campeggiano ancora le iniziali dei cacciatori di balene. E così si dimentica che l’epoca delle baleniere è superata da secoli, anche se i discendenti campano ancora di quella eredità. Gli abitanti delle isole non sono più costretti a patire il freddo, e neanche a mettersi in mare. Non hanno più bisogno di saper squartare una balena. Hanno tutto il diritto di spaventarsi, come chiunque altro, se una mattina d’inverno, poco dopo l’alba, scorgono un capodoglio sulla battigia.» È questo il paradosso (identitario, culturale, esistenziale) con cui gli isolani, storicamente dediti alla pesca e alla navigazione ma ormai votati al turismo, sono costretti a fare i conti. Il paradosso della traduzione – un altro problema di adattamento, se vogliamo – risiede invece nel proposito di “dire le stesse cose” in un’altra lingua. Ammesso che in italiano esistano dei termini specifici per designare le «apposite lame» impiegate dai cacciatori di balene, io non sono riuscita a scovarli neanche tra le pagine dei “nostri” Moby Dick.
Da sempre interessata a indagare il rapporto tra percorsi di vita e territorio, Hansen ci presenta un paesaggio al cui cospetto l’italiano vacilla: la conformazione delle coste – tra bassifondi fangosi, paludi salmastre e terrapieni per contenere le maree – è quanto di più diverso si possa immaginare dai soleggiati litorali del Mediterraneo. Queste peculiarità geografiche hanno inoltre contribuito a plasmare una tradizione marittima e balneare che trova pochi riscontri in altre culture. Tradurre un libro come Al mare richiede insomma un delicato esercizio di equilibrismo, volto a preservare tanto l’accessibilità del testo originale quanto il carattere unico di quel genius loci che ne anima le pagine.
A partire dal titolo, il mare è protagonista, non solo a livello tematico e semantico ma anche dal punto di vista formale. Un moto ondoso sembra scandire il ritmo della narrazione, conferendole un andamento disteso e regolare. L’intera costruzione del testo è subordinata a questo respiro, tanto che il discorso diretto è pressoché assente; non a caso l’autrice ha descritto il romanzo come “un’ode al mare”. Nel novembre del 2022, in un caffè di Berlino, Dörte Hansen mi chiese di leggerle l’incipit della traduzione per valutarne il sound. Allora si disse entusiasta. Mi auguro che i suoi lettori italiani possano dire altrettanto!
Teresa Ciuffoletti