In occasione dell’uscita de Il tempo della speranza, Viola Savaglio racconta la sua esperienza con la traduzione del volume conclusivo della trilogia delle sorelle del Ku’damm di Brigitte Riebe.
Fino al giorno in cui sono stata contattata per tradurre a quattro mani l’ultimo capitolo della trilogia delle sorelle del Ku’damm, avevo solo sentito parlare di Brigitte Riebe, ripromettendomi sempre di leggere quanto prima i suoi libri (Una vita da ricostruire, Giorni felici). In quel momento non ho potuto più aspettare e mi sono immersa in quella lettura che, senza che me ne potessi accorgere, mi ha trascinata con tutte le scarpe nel mondo delle sorelle Thalheim. Prima Rike, poi Silvie e, infine, la mia prediletta Florentine mi hanno portato indietro nella storia, al termine della Seconda Guerra Mondiale, facendo ripercorrere a me, e di sicuro al futuro lettore, tutti gli avvenimenti più importanti del secondo dopoguerra. La penna di Brigitte Riebe fa calare le sue protagoniste nella storia, la storia con la S maiuscola. Pian piano, proprio grazie alle tre sorelle e a tutti i personaggi che gravitano intorno a loro e alla famosa famiglia Thalheim, l’autrice ci porta dalla ricostruzione di Berlino, che nel primo libro vediamo ancora ricoperta di macerie, fino alla costruzione del Muro, passando attraverso il cosiddetto Wirtschaftswunder, il ‘miracolo economico’ degli anni Cinquanta.
Anche in quest’ultimo capitolo Berlino torna al centro di tutte le storie, quelle vere e quelle inventate, che questa volta coinvolgono in prima persona la sorella più piccola, Florentine. Presentando al lettore il personaggio della piccola Flori, così come viene chiamata in famiglia, Riebe non potrebbe essere più chirurgica e al tempo stesso più suggestiva nella sua narrazione. Non mi riferisco solo alle minuziose descrizioni che l’autrice fa dell’aspetto fisico di Flori, appena tornata da Parigi in condizioni a dir poco scandalose per il buon nome dei Thalheim. Mi riferisco anche e soprattutto alla descrizione del mondo interiore della giovane donna che, seppur tornata in famiglia, cerca a tutti i costi di trovare una sua dimensione, indipendentemente dalle storie ricche di intrighi e colpi di scena che non mancano mai in famiglia. Una ragazza come tante altre, verrebbe da dire, che anche oggi, anche nella nostra epoca, cercherebbe di affrancarsi dallo stereotipo della figlia che deve seguire a tutti i costi le orme del padre, una figlia che vuole inseguire i propri sogni senza per forza doversi sentire una fallita, l’ultima ruota del carro. Una storia ambientata nel secondo dopoguerra che per alcuni aspetti potremmo vivere ai giorni nostri.
Ciò che sicuramente ci riporta nel giusto periodo storico è il legame che il racconto delle vicissitudini di questa famiglia ha con tutti gli avvenimenti di quel periodo, un legame indissolubile che, tra descrizioni, stati d’animo e personaggi storici, crea un’affascinante alternanza tra la storia del romanzo e quella realmente accaduta in Germania, e non solo, tra il 1958 e il 1963. I personaggi sono lo specchio, a tratti spietato, della dicotomia di un paese che si ritrova diviso a metà tra un passato che qualcuno vorrebbe lasciarsi alle spalle e un futuro ancora da costruire, dove non tutto è bianco o nero. Un Paese diviso ulteriormente a metà a causa di divisioni ideologiche e politiche che per anni avrebbero portato un unico popolo, un’unica nazione, a guardare i propri connazionali con diffidenza e sospetto. Anche qui la capacità descrittiva di Brigitte Riebe lascia a bocca aperta: ogni dettaglio storico, ogni scena che riguarda la ricostruzione di Berlino è a dir poco precisa. Sembra di trovarsi lì, nel quartiere di Charlottenburg, quando l’autrice ci parla dei progetti per ricostruire la Kaiser-Wilhelm-Gedächtniskirche (la Chiesa commemorativa dell’Imperatore Guglielmo), gravemente danneggiata in un bombardamento nel 1943. E allo stesso modo il racconto della costruzione del Muro di Berlino lascia senza parole, con una tensione emotiva alle stelle espressa così bene nei personaggi, in particolare quello della protagonista Flori. Un legame con la storia espresso anche attraverso i continui riferimenti alle opere del poeta Paul Celan, a cui mi sono sentita particolarmente vicina, visto che era anche un traduttore.
Tradurre Il tempo della speranza è stato un’altalena di emozioni, una scoperta di personaggi contraddittori, ma al tempo stesso del tutto normali e nei quali chiunque potrebbe facilmente immedesimarsi; un confronto con la storia, quella che si studia sui libri di scuola, ma stavolta con un coinvolgimento che difficilmente ho provato fra i banchi. È stato anche una sfida con me stessa, e una sfida con le capacità descrittive dell’autrice, a partire dalla descrizione iniziale del prologo fino alle descrizioni architettoniche. Uno stile davvero unico e accattivante, una ricchezza di particolari che inevitabilmente ha richiesto una profonda ricerca e continui ripensamenti per cercare di trasmettere nella traduzione gli stessi effetti e le stesse sfumature del testo originale. Questo è stato per me tradurre Brigitte Riebe: tradurre un testo cercando di arrivare il prima possibile alla pagina successiva per vedere se quello che ti aspetti sta davvero per accadere.
Viola Savaglio