Giulia Gresti, traduttrice insieme a Monica Pareschi de La casa dalla porta dorata, presenta il secondo volume, dopo Le lupe di Pompei, dell’appassionante trilogia di Elodie Harper.
La casa dalla porta dorata è il secondo capitolo della trilogia di Elodie Harper, in cui si racconta la vita aspra delle donne in una Pompei antica alle soglie dell’eruzione del Vesuvio. Amara, già protagonista tra le “lupe” del romanzo precedente, affronta qui la seconda fase della sua rivolta. Schiava liberata, non più costretta a prostituirsi per conto di Felicio, Amara è ora la concubina di un uomo ricco e futuro politico, Rufo. Nella casa che dona il titolo al romanzo, conduce un’esistenza nuova, protetta, apparentemente felice; eppure non si dà pace. Il lutto per la sua più cara amica, Didone, agisce da propulsore per una nuova lotta: liberare le altre lupe e compagne di un tempo dalla schiavitù, donare anche a loro una seconda possibilità.
Ed ecco che nella casa arrivano a intrecciarsi, un filo per volta, le due esistenze contrastanti di Amara, in un gioco sempre più pericolosamente instabile. La porta dorata diventa soglia fisica e metaforica tra la nuova vita nella dimora di Rufo e la vita precedente di Amara e delle sue compagne, che esiste ancora, là fuori, e non ha smesso di minacciarle.
L’inizio lento, quasi statico, ben rappresenta la quotidianità di Amara nella sua veste di liberta e concubina, ma non è che la quiete prima della tempesta: in questo romanzo la protagonista dovrà fare i conti con l’amore – quello vero, scomodo, fatto di sentimenti disinteressati – e con il tradimento; dovrà sopportare il ricatto e la minaccia di una seconda schiavitù, di una nuova miseria; dovrà affrontare non solo la lotta per la libertà e i diritti delle donne sue pari, ma anche e soprattutto un nuovo ruolo, per cui forse non è pronta: quello di madre.
Con questo secondo capitolo della saga, Harper ci dona una prospettiva ulteriore sulla difficoltà dell’essere donna in una società costrittiva e maschilista come quella antica (e forse non solo). Ma allo stesso tempo apre uno spiraglio sulle abitudini e i rituali che queste donne condividevano tra loro, lontane dal controllo maschile, costruendo reti di solidarietà e supporto in grado di aggirare – o addirittura infrangere – i rigidissimi dogmi sociali dell’epoca. Una fotografia antica ma dai colori molto vivi, un quadro storico imbevuto di contemporaneità, che vuole di certo restituire dignità alla causa femminile nella Storia, ma anche far riflettere sulla difficoltà dell’emancipazione. Non esistono infatti eroine candide per Harper: a guidare la lotta di Amara sono l’intelligenza, la capacità di negoziazione e, soprattutto, la volontà di sacrificare quasi tutto pur di andare avanti, un passo alla volta, nel faticoso processo di affrancamento dal dominio maschile. Non solo per sé, ma anche per la figlia appena nata.
Tradurre un romanzo di questo genere rappresenta una sfida interessante sul piano del linguaggio storico, al quale la narrativa italiana è senz’altro affezionata. La scrittura prettamente contemporanea di Harper è stata affrontata con un occhio di riguardo al lettore, che si aspetta una contestualizzazione storica anche nella lingua e non soltanto sul piano dell’intreccio, senza però snaturare la voce volutamente moderna e scevra di arcaismi dell’autrice. Ci è parso che l’intento di Harper fosse quello di mantenere chi legge su un piano quasi atemporale, continuamente teso fra il presente e il passato, così da attualizzare al massimo l’esperienza narrativa. Ecco allora giustificati i dialoghi brillanti, punteggiati di espressioni contemporanee, e le descrizioni vivide, quasi cinematografiche, di personaggi e ambienti.
Immergersi nella traduzione della Pompei di Harper significa abbandonare l’immagine “scolastica” dell’età antica, spesso cristallizzata e rarefatta, e concedersi l’elasticità mentale di attualizzarla, restituendo al lettore l’idea che la Storia è universale, presente, viva. L’autrice si colloca infatti nella sempre più sentita corrente letteraria che si fa carico di riprendere le fila della mitologia e della storia antica dal punto di vista delle donne, spostando il fuoco dell’attenzione sulla drammatica assenza di una voce femminile nel racconto dell’antichità. Un processo difficile, sul filo del rasoio, che rischia di creare dissenso sul piano filologico, e che pure dona energia nuova a una letteratura da tempo relegata ai banchi di scuola, invitando un pubblico diverso – lettrici e lettori adulti – ad affacciarsi alle grandi questioni etiche e sociali che, ora più che mai, animano il nostro presente.
È in quest’ottica che offriamo il secondo volume della trilogia di Elodie Harper sia a chi proviene dalla lettura de Le lupe di Pompei, sia a coloro che si accostano per la prima volta alla voce di questa scrittrice e alle avventure delle sue donne di carta e d’inchiostro.
Giulia Gresti