Per quel poco che so, scrivere un romanzo vuol dire vivere a lungo dentro una storia. Quando abbiamo licenziato l’ultima bozza mi sono resa conto che il romanzo era finito e mi sono sentita sollevata. Credevo che la storia avesse smesso di pulsare, che potevo concentrarmi su altro, e invece i personaggi di Volo di paglia se la ridono e hanno ancora tanto da dire. Non so se essere contenta o disperarmi: se da una parte certe storie non hanno mai fine, dall’altra ho sempre la sensazione che non esista un solo modo per raccontarle.
Qui su Stoner vi presento due dei personaggi che mi sono più cari: Luca e Lidia. Siamo a Verdeto, nel fienile della Valle, l’estate è appena finita e tutto deve ancora succedere.
«Tra quanto parti?».
Lidia guardò il suo Flick Flack col cinturino rosso.
«Un’ora».
Luca non disse nulla. Stava seduto sulla paglia in un angolo del fienile, la schiena contro il muro.
«Tu la scuola quando la inizi?» gli chiese Lidia.
«Non mi ricordo».
«Come non ti ricordi?».
«Non mi importa».
«La mia inizia il sette settembre».
Restarono in silenzio. Luca prese a giocare coi lacci delle sue Adidas bianche.
Lidia si coricò a pancia in su e si premette un dito sotto la punta del naso.
«La smetti di fare così?», le disse Luca dopo un po’, serio.
«No».
«Tanto non ti viene il naso all’insù».
«Vedrai tra un anno».
Era tutt’estate che Lidia cercava di portarsi in su la punta del naso come quello della bambina nella pubblicità del tamagotchi. Doveva solo ricordarsi di restare in quella posizione almeno un minuto tutti i giorni.
«Perché tra un anno? Non torni a Pasqua?».
«Sì, gliel’ho già detto coi miei».
«Pasqua è tra otto mesi, non un anno».
Lidia si alzò in piedi e sbuffò.
«L’ultimo giorno sei sempre insopportabile».
Camminò fino al bordo del fienile. Guardò in basso, la paglia che avevano ammucchiato poco prima.
«Secondo te ne abbiamo messa abbastanza?», chiese.
Luca non le rispose.
Lidia si mise le mani a megafono attorno alla bocca:
«Voglio che torni simpatico», gridò, prima di buttarsi di sotto. Atterrò su un fianco, lo stomaco le rimbalzò in gola: non si sarebbe abituata mai a quei voli.
Si girò e rimase immobile nella paglia, lo sguardo verso l’alto, attenta a respirare pianissimo. Avrebbe voluto dire pure alle cicale di stare zitte: con quel chiasso era impossibile sentire i passi di Luca.
Faceva ancora un caldo atroce, anche se era il primo settembre e l’estate per lei era finita insieme ai suoi giochi nella valigia già chiusa e caricata in macchina. Si sentiva tutta la maglietta appiccicata addosso.
Stava per rinunciare quando la testa bionda di Luca sbucò dal fienile. La frangia gli cadeva davanti.
Lidia scoppiò a ridere.
«Sei una cretina». Rideva anche lui. «Adesso mi lancio e ti schiaccio».
Lidia si alzò e corse fino alla scala di legno che portava di sopra.
«Sei tornato simpatico?».
«Io sono sempre simpatico».
«Vediamo il tuo di volo di paglia».
«Sicuramente sarà più bello del tuo».
«Lidiaaaaaaaaaaaa!».
Un grido dalla corte della Valle.
Lidia sbuffò.
«Che vuole adesso questa?».
Si avvicinò insieme a Luca al bordo del fienile: Annachiara stava là sotto con la testa arruffata verso di loro.
«Che c’è?».
«Dobbiamo andare», disse Annachiara.
«Non è vero, mancano ancora quaranta minuti».
«La mamma ha detto di venirti a chiamare che è tutto pronto».
«È una delle tue balle, si vede lontano un miglio».
Annachiara pestò i piedi per terra.
«No, no, no!».
«Dimostracelo», disse Luca.
«E come?».
«Facendo una prova. Se la superi vuol dire che dici la verità, se no vuol dire che sei una bugiarda».
«Che prova devo fare?».
Luca piantò i suoi occhi azzurri in quelli di Lidia: gli brillavano, come ogni volta che c’era da inventarsi qualcosa.
«Che cosa le facciamo fare?», chiese Lidia.
«Ce l’ho», disse Luca, come se l’avesse già in mente da prima. Poi, rivolto ad Annachiara:
«Devi aprire la porta della Valle».
Un paio di secondi di silenzio prima che Annachiara iniziasse a frignare.
«Ma noi là non ci possiamo entrare!».
«Devi solo aprire la porta».
«Sei sicuro?», chiese Lidia a Luca sottovoce.
Non l’avevano mai aperta la porta della Valle. Solo una volta Lidia, per una prova di coraggio, era arrivata in cima alla gradinata di pietra, aveva toccato la maniglia arrugginita che assomigliava a una pianta carnivora ed era schizzata via. L’Ombra poteva svegliarsi da un momento all’altro.
«Non lo faccio, non lo faccio, non lo faccio!».
«Allora resterai per sempre una bugiarda», disse Luca.
«Ma c’è l’Ombra!».
«Se corri fortissimo l’Ombra neanche se ne accorge».
Annachiara guardò verso l’ingresso della Valle.
«Se lo faccio?».
«Se lo fai vuol dire che non sei una bugiarda e a Pasqua ti facciamo giocare con noi», disse Lidia.
Luca la fulminò con lo sguardo, Lidia scrollò le spalle.
«Tanto da qui a Pasqua se lo dimentica», sussurrò.
Annachiara parve rifletterci su. Poi si mosse lentamente tra le erbacce della corte, fino alla scalinata di pietra.
Luca e Lidia si sporsero dal fienile.
«Lo sta facendo davvero?», chiese Lidia.
«Così sembra».
Annachiara salì sul primo gradino, poi si voltò e lanciò uno sguardo disperato ai due.
«Aspetta che scendiamo anche noi!», urlò Lidia.
La raggiunsero ai piedi della scalinata. Le finestre morte della casa li guardavano con le tende spezzate che cadevano giù dritte: l’aria era ferma.
«Dài, su!».
Annachiara arrivò in cima: era minuscola davanti alla porta verde della Valle. La vernice scrostata sembrava sul punto di nevicarle addosso.
«Aprila!», sussurrò Lidia.
Annachiara girò la maniglia con entrambe le mani e spinse: un rumore che assomigliava al lamento di una vecchia in fin di vita.
E in quel momento Luca iniziò a gridare: «C’è l’Ombra! C’è l’Ombra! Scappaaa!».
Annachiara urlò, la faccia contratta dal terrore più puro, si precipitò giù dalla scala e corse via piangendo.
«Siete degli imbecilli brutti!», gridò voltandosi indietro, prima di sparire dietro la curva del cespuglio di corniolo.
Luca scoppiò a ridere. Si teneva la pancia con le mani e non la finiva più.
Lidia si sentiva il cuore pulsare nelle orecchie.
«Ma sei scemo?».
«Hai preso paura anche tu?».
«No, però ora quella andrà a dirlo alla mamma».
«Hai preso paura anche tu! Sei una cagasotto!».
«Ma taci».
«Lidia cagasotto! Lidia cagasotto!».
«Se non la pianti ti riempio di botte».
«Se non sei una cagasotto vai a chiudere la porta».
«Vacci da solo a chiudere la tua stupida porta!», sbraitò. «Mi hai rotto! Ciao!».
Partì infuriata sulla Stradina, calciando via i sassi che le capitavano a tiro.
Il padre era già in macchina, leggeva il «Corriere della Sera» sul volante. Annachiara stava impalata davanti alla colonna del falco di pietra, non sembrava arrabbiata.
«Che fai?», le chiese Lidia, per essere gentile.
«Sto dicendo al falco di proteggere la nostra casa durante l’inverno».
«Lidia! Eccoti!», la madre uscì con le ultime borse. «Dove diavolo eri finita?».
«Avevi detto che partivamo alle quattro».
«Sono le quattro».
«No, sono le tre e cinquantasei».
«Saltate in macchina, chiudo la casa e ci siamo».
«Hai chiuso la porta della Valle?» chiese Annachiara a Lidia, senza guardarla in faccia.
«Sì», disse lei.
«Bene, così l’Ombra non può uscire e venire a prenderci».
Il padre girò la chiave e mise in moto.
«Salite, streghe!».
Salirono tutti.
«Sono sicura di aver dimenticato qualcosa», disse la madre, affannata, mentre si allacciava la cintura.
La Multipla uscì dal cancello.
«Ciao falco di pietra. Ciao cancello magico», disse Annachiara.
«C’è Luca», disse il padre, guardando nello specchietto retrovisore.
Lidia si voltò: Luca era immobile sulla Stradina, le mani in tasca e i capelli sugli occhi. Lidia sorrise e lo salutò aggrappandosi al sedile. Non riusciva a rimanere arrabbiata con lui per più di cinque minuti.
«Ci vediamo a Pasqua», sussurrò, tra le righe nere del vetro del portabagagli.
Laura Fusconi, autrice di Volo di paglia