Maria Silvia Avanzato
In morte di una cicala
Un noir raffinato, costruito in modo originale, per una storia d’atmosfera dal ritmo trascinante fino alla decisiva, inaspettata risoluzione finale.
Azzurra ha il cuore spezzato e nulla da perdere. Sono gli anni Ottanta, la scuola è finita e l’aria di città è diventata irrespirabile. Desiderosa di tranquillità, la ragazza decide di ritirarsi in un piccolo paese con pochi, schivi abitanti, Cima d’Argile, prendendo in affitto la dépendance della villa di Ilda, una donna anziana e dimenticata da tutti, con un glorioso passato da attrice e un presente di solitudine e deliri. Nel borgo cupo e perennemente battuto dalla pioggia, Azzurra cerca Barbara, amica dei tempi della scuola, fuggita per inseguire il sogno della musica e poi scomparsa senza dare più notizie. Tutti, in paese, sostengono che Barbara sia morta, ma le stranezze e le voci che ha lasciato dietro di sé disegnano una scia che Azzurra non può e non vuole ignorare. La stessa Ilda, fra le nostalgie del grammofono e le finestre sempre socchiuse, ha qualcosa da nascondere.
Sullo sfondo di una provincia umida e abbandonata, in balia dei capricci del fiume, dove i misteri riposano fra le diroccate pietre tombali del vecchio cimitero, ha inizio un percorso verso un passato oscuro, in cui i pericoli sono in agguato e i peggiori incubi diventano realtà.
Maria Silvia Avanzato, nata a Bologna nel 1985, ha vinto numerosi concorsi letterari con racconti e romanzi scritti dall’età di cinque anni. Scrive articoli per il web, soggetti teatrali e testi musicali. Le piace oscillare fra ironia e noir e convive con un editor inflessibile dai ferrei giudizi: sua nonna. Nel 2013, per Fazi editore, ha pubblicato Crune d’aghi per cammelli.
«Bella penna femminile, intelligente, sottile e vivace. Libro commovente, consigliassimo».
Valeria Parrella, Grazia
«Un dominio non comune delle tecniche narrative. Una delle voci più promettenti della nuova narrativa italiana».
Guido caserza Il Mattino
«Un romanzo nerissimo. L’autrice è brava e ha talento».
Fabrizio d’Esposito, Il Fatto Quotidiano