Durante le guerre il bilancio vita/morte diventa essenziale: quanti morti al fronte? Quanti nati potranno prenderne il posto? Quante generazioni verranno falciate? Come ricomincerà il paese una volta terminato il conflitto?
I primi cinquant’anni del XX secolo hanno passato un colpo di spugna su generazioni di giovani in tutto il mondo. Figlie di una nuova era, il primo romanzo della trilogia a firma di Carmen Korn, oltre a essere una splendida finestra sulla Germania nell’arco temporale 1919-1948, sottende, in tutta la narrazione, la tematica della natalità. Tutti i protagonisti, nati intorno al 1900, fanno parte della generazione che ha patito entrambe le Guerre Mondiali: le donne, prima come figlie e sorelle, poi come spose e madri, in un conflitto o nell’altro si sono viste privare di qualcuno. Nessuna di loro è uscita indenne. Con un piatto della bilancia così violentemente inclinato verso la morte, ciò che dona equilibrio alle loro vite e alla narrazione è il costante rapporto con la natalità. Tutti i personaggi hanno uno strettissimo rapporto con le nascite. Henny, Käthe, Ida e Lina, il quartetto di donne seguito con più attenzione durante il romanzo, sono l’esempio migliore.
Henny e Käthe, amiche e colleghe, sono due infermiere che studiano per diventare ostetriche ed entrano a lavorare alla Finkenau, una delle cliniche più rinomate di Amburgo e della regione. Aiutano altre donne a dare la vita, ma il loro rapporto con la maternità è ambivalente. Henny, nonostante il suo buonsenso e la sua formazione, ha ben poca dimestichezza con i metodi contraccettivi e resta incinta giovanissima. Pur avendo cercato di restare lontana dalla maternità, anche per via del rapporto con la madre, se ne trova invischiata con Lud che desidera una famiglia numerosa. La maternità si lega, con un’attualità che trascende i decenni, anche alla questione del lavoro: in un mondo post-Grande Guerra in cui le donne iniziano a prendere il posto degli uomini nelle attività lavorative, la maternità viene vista come un ostacolo. “Noi donne dobbiamo avere scelta, ma dobbiamo avere anche la possibilità di fare tutte e due le cose” dice Henny, un messaggio che a un secolo di distanza dovrebbe risuonare con sempre maggiore forza e convinzione. A seguito di questo “sbaglio”, pur diventando una mamma attenta e premurosa con la figlia Marike, impara e prendere precauzioni senza confessarlo al marito. E se la scelta di non avere altri figli con Lud è giusta e intoccabile, lei stessa sente quanto sia sbagliato il sotterfugio.
Käthe è madre delle sue convinzioni. Accesa sostenitrice del comunismo, anche in reazione alla sempre crescente ascesa di Adolf Hitler, è contraria al matrimonio e alla maternità, considerate convenzioni piccolo borghesi. Pur essendo innamorata del compagno, Rudi, acconsente a sposarlo più per necessità che per reale convinzione. Ciò su cui non cede è la maternità. Consumatrice senza falsi pudori di preservativi è, agli occhi di Henny, una donna che incarna il “nuovo potere” che le donne hanno, cioè scegliere se fare ciò per cui la natura le ha biologicamente programmate: portare avanti la specie. È solo dopo molti anni che Käthe confessa di essersi fatta rovinare da una mammana in giovanissima età ribaltando così quello che si credeva di lei. Forse non avrebbe voluto avere figli in ogni caso, ma la sua scelta le è stata portata via.
Lina è la sorella di Lud e cognata di Henny e incarna la perfezione ariana: bionda, con gli occhi violetti e di razza pura. Il Reich avrebbe bisogno di donne come lei per generare nuovi e forti figli della nazione per ingrossare le file dell’esercito, ma Lina, con buona pace del Führer, non è interessata agli uomini. Dopo una giovanile passione per il suo professore di arte, morto sulla Somme, e una fugace avventura con un medico della clinica, Lina capisce che gli uomini non fanno per lei e inizia una relazione con la frizzante Louise, attrice, figlia di coppia mista. È affettuosa con la nipote, è insegnante e circondata tutto il giorno da bambini, ma la strada della maternità le è preclusa. Senza grossi rimpianti, va aggiunto, perché l’amore per la sua compagna è totalizzante. Viene quasi da sorridere con soddisfazione nel vedere la ribellione di una figlia del Terzo Reich al ruolo che Hitler ha pensato per lei, quello di moglie e madre: lei non solo gli nega una progenie pura, ma frequenta anche una donna con sangue ebraico. Non c’è scherno maggiore contro questa dittatura.
Ida è figlia unica e viziata della ricca borghesia. Il padre è commerciante di caucciù, più bravo a spendere soldi che nel farli fruttare: ha tenuto lei e la madre nella bambagia pur con ingenti debiti. Per poterli ripagare ha come unico modo quello di far contrarre alla figlia un matrimonio economicamente vantaggioso. Ida viene quindi data in sposa a Friedrich Campmann, dirigente di banca e, in seguito, sostenitore del nazismo. Lei non lo ama, lo trova noioso, ma è troppo abituata al suo stile di vita e quindi preferisce il matrimonio combinato alla passione per Tian, uomo d’affari cinese. Accetta convinta che presto avrà un figlio a riempirle la vita. Questo però non accade e lei se ne dispera, almeno fino a che il marito, quasi en passant, non le rivela di essere sterile a causa degli orecchioni infantili. Le tace la verità così a lungo da pensare che lei ha tutte le ragioni per odiarlo, e proprio in virtù di questo senso di colpa, non porrà grossi ostacoli nella frequentazione di Ida con Tian, dal quale poi avrà una figlia in barba alla purezza della razza.
Anche tutti gli altri personaggi, minori e di contorno, si raffrontano in qualche modo con il tema della maternità. Anna, la madre di Käthe, si è vista portare via i figli maschi da un’epidemia di difterite che invece ha risparmiato la figlia. Grit, colei che ha cresciuto Rudi, non ne è la madre biologica e custodisce il segreto di altri. Mia, domestica di Ida, ragazza leggera, è vorace anche in amore e quando resta incinta ha l’imbarazzo della scelta tra quattro candidati per definire la paternità. Elisabeth, ebrea, moglie di Theo Unger medico della clinica, non può avere figli e oscilla tra il desiderio di adottarli e continuare la sua vita di giornalista senza il peso di un bambino. Else, la madre di Henny, definita “spietata nella sua generosità”, è opprimente e autorevole e riversa la sua solitudine sulla figlia.
Questa generazione “dannata” che ha dovuto affrontare due guerre senza possibilità di scampo, cerca, inconsciamente o meno, un controllo su ciò che può decidere le sorti di una nazione: la natalità. Questo perché le donne, da sempre termometro più sensibile dei cambi societari, iniziano a realizzare che possono decidere se essere madri, lavorare o fare entrambe le cose. Un diritto inalienabile che dovrebbe risuonare come un mantra, allora come oggi, per le donne di ogni latitudine.
Giulia Pretta