Lirio Abbate - Peter Gomez
I complici
Tutti gli uomini di Bernardo Provenzano da Corleone al Parlamento
Il segretario nazionale dei giovani dell’UDEUR, il nipote dell’ex vicesindaco comunista di Villabate e l’ultimo erede di una famiglia per anni socia del ministro per gli affari Regionali, Enrico La Loggia: a guardarli mentre camminano assieme per le strade del centro di Palermo, sembrano tre ragazzi appena usciti da un convegno sul futuro della Seconda Repubblica. Ma sono tre picciotti. Tre picciotti di Bernardo Provenzano.
Da uno dei maggiori giornalisti d’inchiesta italiani e da un grande esperto di cose siciliane, un libro ricco di materiale inedito (intercettazioni di telefonate tra i figli di Provenzano, documenti tratti da inchieste giudiziarie sui favoreggiatori) su Provenzano, la nuova mafia e i suoi rapporti con la politica. La biografia dell’ultimo capo dei capi letta attraverso le sue alleanze politiche ed economiche: dall’accordo con il Partito Socialista del 1987 fino alla stagione delle bombe di mafia del 1992-93; dall’arresto di Totò Riina fino al patto stretto, secondo i magistrati di Palermo, con i vertici di Forza Italia e dell’Udc siciliana. Un libro esplosivo che ricostruisce, con documenti e testimonianze inedite, la ragnatela di rapporti che hanno permesso a Provenzano di restare libero per quarantatre anni. Un viaggio nella Mafia spa, un’organizzazione criminale che in Sicilia controlla buona parte degli appalti pubblici, lavora con molte cooperative rosse e imprese di dimensione internazionale, ha uomini infiltrati nelle banche, nelle istituzioni economiche, come la Confindustria, e in quelle culturali, come l’università. Quattordici anni dopo gli omicidi di Falcone e Borsellino, l’opera di Peter Gomez e Lirio Abbate racconta come tutto in Sicilia sia tornato come prima, con decine di deputati regionali eletti a Palazzo dei Normanni nonostante i loro evidenti legami con Cosa Nostra, con una serie di parlamentari nazionali arrivati a Roma dopo aver contrattato l’appoggio degli uomini d’onore. Una lenta e inarrestabile riconquista del potere resa possibile dal silenzio delle istituzioni e dei media. In questo quadro l’arresto di Provenzano, più che il segnale della riscossa, diventa solo una tappa nella metamorfosi definitiva verso la mafia del terzo millennio: quella che alla lupara preferisce il doppiopetto. I complici ha ricevuto il Premio “Enzo Biagi” per il giornalismo 2008, per la sezione “impegno per la legalità”.
– 19/07/2009
Vacanze con le pagine tra le dita
– 15/10/2008
Pif: “Mafia e politica, farò nomi e cognomi”
– 15/10/2008
Tra l’ironico e l’impegnato, viaggio della ex Iena nella vita quotidiana di Cosa Nostra
– 15/08/2008
Il glamour pubblico di un mondo avvolto nella tela della mafia
– 24/05/2008
Giù le mani da Renato Schifani
– 14/05/2008
Non è giornalismo d’informazione, ma di opinione e tende a confondere
– 01/04/2008
Quel cretino di Garibaldi
– 12/05/2008
I soci imbarazzanti del giovane Renato
– 13/05/2008
Povera informazione nell’Italia bipartisan
– 13/05/2008
La lezione del caso Schifani
– 12/05/2008
Ma Travaglio rilancia e attacca anche Alfano e Dell’Utri
– 12/05/2008
Il caso Travaglio
Ci risiamo. Immemore già di quanto gli successe anni fa, in occasione di un’intervista fatta ad un programma di Daniele Luttazzi, il giornalista diffamatore Marco Travaglio ci è ricascato. Ha avuto da ridire sulla nomina di Renato Schifani alla seconda carica dello Stato.
E il suo ridire lo ha fondato sull’inchiesta fatta da Lirio Abbate e Peter Gomez e sfociata in uno dei migliori reportage mai usciti sulla “zona grigia” che ha protetto per decenni l’organizzazione mafiosa siciliana: “I complici” (Fazi editore, 2007).Subito si è sollevato un coro di indignazione, proveniente da sinistra, destra e centro, centro-destra, centro-sinistra, centro-centro. Subito si è gridato contro l’assenza di contraddittorio, contro l’uso distorto del servizio pubblico, reso imbelle da un grumo di diffamatori di professione. Il diffamato Presidente del Senato, poi, ha presentato la più classica delle risposte che in questi casi un manuale non scritto impone di dare: quella dietrologica. “Si riportano vecchi fatti, già chiariti ma, in realtà, dietro tutto ciò si nasconde la volontà di qualcuno di sabotare il clima di collaborazione fra le forze politiche, voluto con forza anche dalla Presidenza della Repubblica”.L’altro elemento classico della vicenda – come pure avvenne in occasione della citata intervista a Daniele Luttazzi – risiede nella totale assenza dalla concione di una facile e diremmo naturale domanda: ma quello che ha detto Travaglio non sarà mica vero? Vediamo almeno di cosa si tratta. Nel libro che abbiamo citato, Abbate e Gomez riportano varie vicende di personaggi, molti dei quali attualmente in Parlamento, che svolsero la loro professione di consulenti e amministratori in stretto connubio con esponenti della Cosa nostra siciliana e, in particolare, di colonnelli del latitante Bernardo Provenzano (arrestato l’11 aprile 2006). Di Renato Schifani, si racconta, con grande equilibrio (i giornalisti precisano più volte che l’attuale seconda carica dello Stato non è mai stato oggetto di procedimenti penali e nemmeno sfiorato da alcuna inchiesta) la sua vicinanza professionale ad esponenti mafiosi. Nino Mandalà, boss assoluto di Villabate, Comune il cui consiglio comunale è stato sciolto più volte per inquinamenti mafiosi e il cui figlio, Nicola, accompagnò personalmente Bernardo Provenzano in Francia per l’operazione alla prostata, fondò nel 1979 con Enrico La Loggia, Renato Schifani, l’ingegnere Benny D’Agostino (condannato per concorso esterno in associazione mafiosa) e Giuseppe Lombardo, già amministratore di società degli esattori Ignazio e Nino Salvo (il primo ucciso dai corleonesi nel 1992), arrestati da Giovanni Falcone perché esponenti di rilievo della famiglia mafiosa di Salemi, la “Sicilia Brokers”, di cui lo stesso Schifani risultò amministratore per circa un anno. Secondo Francesco Campanella, braccio destro ora “pentito” di Nino Mandalà, “costui mi disse che aveva fatto una riunione con Schifani e con La Loggia ed aveva trovato un accordo per il quale i due segnalavano il progettista del piano regolatore, incassando anche una parcella di un certo rilievo” (dichiarazione processuale). Poi, il duo Schifani-La Loggia sembra progressivamente allontanarsi da queste frequentazioni, a ragione dei progressi compiuti negli ambienti politici romani. Ma, di fronte agli inquirenti, un imbarazzato La Loggia dovrà spiegare (e non sempre ci riuscirà) i suoi rapporti con Mandalà e il fatto che, forse, aveva segnalato allo stesso boss di Villabate il collega Schifani come miglior candidato per una consulenza in materia urbanistica al comune di Villabate che effettivamente l’attuale seconda carica dello Stato acquisì. Un piccole particolare: i fatti raccontati da Lirio Abbate e Peter Gomez non sono stati oggetto di citazione in giudizio per il reato di diffamazione. Ma è successo di peggio: Lirio Abbate (redattore dell’Ansa di Palermo) vive sotto protezione, perché Cosa nostra gliel’ha giurata. Ed ancora: tutti, a cominciare dal Presidente Napolitano, gli hanno manifestato la loro solidarietà. Ma allora ci chiediamo: di che cosa si accusa Travaglio se si è limitato a riportare in televisione quanto denunciato da un giornalista considerato unanimemente un eroe dell’informazione antimafia? |
– 01/05/2008
Scusate il disturbo
– 22/04/2008
Saggistica
– 09/04/2008
Classifica vendite
– 01/04/2008
Tutte storie sbagliate
– 31/03/2008
“Le alleanze di Provenzano”
– 11/03/2008
Classifica saggistica
– 09/03/2008
Antonio Pagliaro: “Cosa Nostra? E’ la prima azienda italiana”
– 03/03/2008
I complici di Provenzano
– 25/02/2008
Appello : caro Veltroni, questi lasciamoli a casa!
Appello : caro Veltroni , questi lasciamoli a casa !
riceviamo e pubblichiamo
Caro Veltroni, cari dirigenti che vi preparate a stilare gli elenchi di chi, secondo voi, merita di essere proposto come rappresentante dei vostri elettori. E di chi, con una sapiente strategia, verrà inserito nei “punti giusti” per garantirne l’elezione.
Siamo di nuovo costretti ad affidarci alle vostre decisioni, perché non ci è data nessuna possibilità di scelta. Possiamo però chiedervi un atto di rispetto nei confronti di chi ancora una volta vi darà la sua fiducia: lasciate a casa quei candidati che non la meritano.
E non solo i candidati condannati, indagati, sospettati di aver compiuto atti illeciti. Anche quelli che hanno dimostrato un inquietante disprezzo per quei valori su cui si fondano la nostra storia comune e l’unica prospettiva possibile di un mondo più giusto.
Parliamo di quelli che incontrano e baciano boss mafiosi per parlare di appalti
Vladimiro detto Mirello Crisafulli Deputato Del Partito Democratico – L’ulivo Componente della Commissione Bilancio Tesoro e Programmazione e della Commissione per la Vigilanza sulla Cassa Depositi e Prestiti (“I complici – Tutti gli uomini di Bernardo Provenzano da Corleone al Parlamento”, Fazi Editore, di Peter Gomez e Lirio Abbate, “Onorevoli Wanted” di Peter Gomez e Marco Travaglio pag. 411>413)
Parliamo di quelli che hanno lasciato sprofondare una città nell’immondizia
Antonio Bassolino Partito Democratico – Presidente della Regione Campania (Articolo Peter Gomez da “L’Espresso”).
Parliamo di quelli che, accusati di finanziamento illecito al partito, spacciano prescrizioni per assoluzioni
Cesare De Piccoli Deputato del Partito Democratico – L’ulivo Viceministro dei Trasporti (Onorevoli Wanted” di Peter Gomez e Marco Travaglio pag.408>410)
Parliamo di quelli che si dimenticano di costituirsi parte civile contro chi ha piazzato mezzo chilo di tritolo tentando di far fuori un assessore della loro giunta. Che dichiarano di “disprezzare profondamente i pentiti” che svelano i mandanti del fallito attentato. Che vengono bersagliati da avvisi di garanzia. E che continuano a nascondersi dietro la giunta per le autorizzazioni a procedere
Vincenzo De Luca Sindaco di Salerno Deputato del Partito Democratico-L’ulivo Componente della Commissione Agricoltura (“Onorevoli Wanted” di Peter Gomez e Marco Travaglio pag. 414>425 )
Parliamo di quelli che sono stati assolti solo grazie alla nuova legge sul “giusto processo” perchè l’ imprenditore che aveva confessato la consegna di una mazzetta durante le indagini preliminari, non si è presentato in aula. Con il risultato che, per lo stesso fatto, il corruttore è stato condannato e il corotto assolto.
Luigi Cocilovo Deputato del Parlamento Europeo Gruppo dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa – Membro dell’Ufficio di presidenza e della Commissione per l’occupazione e gli affari sociali” (Onorevoli Wanted” di Peter Gomez e Marco Travaglio pag. 442>446)
E soprattutto parliamo di tutti quelli che hanno fatto della politica un’attività commerciale in cui si scambiano soldi, appalti, cariche, incarichi, tavoli “a latere”, favori, promozioni, privilegi, posti di lavoro.
Vogliamo essere rappresentati da persone che usano il potere del loro mandato esclusivamente per portare avanti gli impegni presi con i cittadini. E’ un nostro diritto.
– 05/11/2007
Vivir en la lista negra de la mafia
VARIOS PERIODISTAS ITALIANOS VIVEN BAJO AMENAZAS DE LA MAFIA
El periodista italiano Lirio Abbate (Foto: REUTERS)
ROMA.- Lirio Abbate se destaca entre los periodistas italianos por un hecho poco grato: desde hace seis meses tiene escolta policial personal debido a su trabajo como corresponsal en Sicilia de la agencia estatal de noticias Ansa y del perisdico La Stampa.
Cuando los investigadores escucharon en comunicaciones telefónicas la discusión entre criminales sobre cómo silenciar a Abbate, de 37 años, en venganza por sus informes y un libro que trata sobre las actividades ilegales de la mafia, la policía decidió darle al periodista y su esposa una escolta de la fuerza.
En septiembre, dos hombres fueron sorprendidos mientras intentaban colocar una bomba bajo el automóvil del reportero en Palermo.
Unos días atrás, escuchas telefónicas de un padrino mafioso encarcelado revelaron nuevas conversaciones sobre el modo de silenciar a los molestos periodistas sicilianos, en particular a la corresponsalía de Ansa en Palermo.
Abbate, padre de dos niños, decidió permanecer en Sicilia, su lugar de nacimiento, pese a figurar en un lugar destacado en la lista de sentenciados de la mafia.
“Si me iba después de que pusieron la bomba bajo mi automóvil, hubiera dado un mal ejemplo a otros sicilianos”, dijo el periodista durante una visita a Roma, con su escolta policial. “De esta manera estoy mostrando que no tengo miedo, que el Estado me protege y que seguiré haciendo lo mismo”, añadió.
Al menos una docena de periodistas en Italia viven amenazados por el crimen organizado en Sicilia, en Nápoles, donde prevalece la Camorra, y en Calabria, hogar de la poderosa ‘Ndrangheta’.
El escritor napolitano Roberto Saviano, autor del bestseller ‘Gomorra’ sobre la Camorra, también tiene un guardaespaldas armado que contrató tras recibir amenazas de muerte.
Abbate sabe que tiene razones para sentir miedo. “Ocho periodistas fueron asesinados en Sicilia desde la década de 1970. Cuando la mafia tiene problemas con los reporteros, los mata“, comentó. “Pero ahora la policía en Sicilia es mucho mas efectiva de lo que solía ser”, añadió.
El periodista hizo enojar a la mafia cuando publicó un libro este año llamado ‘Los Cómplices’, sobre los vínculos entre políticos y “el capo de los capos” Bernardo Provenzano, encarcelado en 2006 tras 43 años de evadir a la justicia.
Abbate cree que actualmente la mafia gana más “sembrando miedo e intimidación” que asesinándolo.
“Si hubiera una masacre en Sicilia, el lugar se llenaría de investigadores y de medios de comunicación. Y a la mafia le gusta mantener sus cosas en silencio, así pueden seguir con sus negocios“, comentó el periodista. “Los negocios estan muy bien en este momento”, añadió.
– 01/02/2008
Tutti i soci del boss
– 21/02/2008
Peter Gomez a Taviano
– 01/12/2007
VOCI ANTIMAFIA: INCONTRIAMO PETER GOMEZ
Attratti dalle sue coraggiose pubblicazioni (*), alcune frutto di lavoro a quattro mani, con giornalisti del calibro di Marco Travaglio e Lirio Abbate (quest’ultimo grande esperto di cose siciliane, redattore dell’Ansa e collaboratore de La stampa), la Redazione de la Voce di Robin Hood ha deciso di incontrare Peter Gomez, per parlare del suo ultimo libro “I complici”, edito da Fazi, dove ci narra di tutti gli uomini di Bernardo Provenzano disseminati da Corleone sino alla cupola del Parlamento.Con dati e riferimenti alla mano vengono illuminati gli aspetti borderline della galassia di professionisti che consentono da alcuni decenni la sopravvivenza di Cosa Nostra, attraverso un trasversalismo paramafioso che ha abbracciato destra e sinistra. La mafia del terzo millennio ha capito che per sopravvivere doveva cambiare pelle. Oggi accompagna alla lupara il doppiopetto, affilia i laureati, stila business plan per farsi finanziare dalla Comunità Europea. Il libro coglie nel segno e la conferma purtroppo non deriva solo dal successo editoriale del libro, ma dalle ripetute minacce di morte a Lirio Abbate, al quale da più di un mese è stata affidata la scorta.
Come è nata l’idea di un libro come “I complici”? Da un ragionamento deduttivo su come una latitanza possa durare quarantatre anni o dall’aggregazione di trafiletti di cronaca giudiziaria passati sotto oblio?
L’idea del libro è nata da 15 anni di conoscenze e di riflessioni supportati dalla esperienza. L’idea che io e Lirio Abbate ci siamo fatti è che la latitanza di Bernardo Provenzano non possa essere stata possibile solo per i rapporti politici ma anche per ragioni di carattere storico. Fino al 1992, anno delle stragi di Falcone e Borsellino nessuno ha cercato i latitanti. Provenzano per primo ha elaborato la teoria della sommersione e della mediazione politica. La sua idea era quella di essere quanto più possibile invisibili e, di fatto, da questo è nato un punto di equilibrio. Sotto un certo punto di vista ha fatto un favore allo Stato Il ruolo di Provenzano è stato quello di gestire oggettivamente Cosa nostra dagli anni sessanta fino al suo arresto.
Come hanno reagito le persone che avete incontrato in Sicilia? Pudore, sollievo o paura di affrontare una questione tabù come la mafia?
Su questo c’è da dire che l’approccio scelto con la gente comune non è di tipo diretto. Si basa sul giornalismo investigativo. È impossibile pensare di andare da qualcuno e dire: “Piacere, sono un giornalista che si occupa di mafia”: la risposta sarebbe l’omertà. Fonti giudiziarie ma anche le cosiddette “fonti dei cattivi”. Non si fanno i nomi, per indicare qualcuno si parla di “quello”, e tutti sanno comunque di chi si sta parlando. Tutti ne conoscono l’esistenza fin da piccoli, si dice ma non se ne parla.
La mafia nelle persone è aumentata o diminuita?
Dal punto di vista sociologico è aumentata la “mafiosità” e l’area grigia che gravita intorno ad essa, sono cambiati i rapporti di forza, c’è stata una caduta verticale degli omicidi. Sostanzialmente la mafia ha capito che si possono fare soldi anche in maniera legale, ma sa che la sua forza rimane sempre e comunque la violenza e che alla minaccia non possono non seguire i fatti: il rischio è quello di perdere la credibilità. Il suo potere consiste nel consenso sociale e nella capacità di distribuire reddito. Rimane il fatto che è molto difficile parlare apertamente di certi fenomeni.
Ci sono i limiti che non si possono oltrepassare? Ci sono settori particolarmente “intoccabili”, zoccoli duri dentro zoccoli duri?
Mi viene in mente il settore sanità. Esso riguarda il 70 % della spesa pubblica . Tengo a sottolineare, però, che le nomine dei primari ospedalieri possono avere una logica clientelare anche al Nord. Essa esiste in tutta Italia, l’unica differenza è che al Sud chi aiuta la nomina porta con sé anche una pistola.
Oggi non si spara più e la mafia è un camaleonte lontano dalle cronache di prima pagina. Eppure secondo le ultime ricerche Eurispes il fatturato di Cosa Nostra ammonta a quasi 13 miliardi di Euro. L’estrinsecazione della violenza sembra inversamente proporzionale all’accumulazione di capitale. Sono cambiati i metodi? Siamo in presenza di una mafia di seconda generazione?
Più che di seconda io parlerei di terza generazione. Il prisma ottico che noi abbiamo adottato è stato quello della politica, ma naturalmente un fenomeno come Cosa nostra meriterebbe di essere scandagliato anche in altri imprescindibili aspetti.
Abbiamo usato il prisma della politica perché la politica garantisce i voti “sicuri”. La mafia SPA sa fare benissimo i suoi conti, sa su chi si può o non si può contare, sa persino utilizzare i meccanismi elettorali per ottenere seggi sicuri e creare liste civiche per non rischiare la vanificazione della preferenza accordata. C’è da dire che molto spesso il politico oltre ad avere paura fisica ha paura dell’eredità del passato, ha paura che qualcuno possa ricordargli i suoi trascorsi.
Dalle pagine del libro pare emergere una mafia trasversale in cui non c’è destra e sinistra. Si arriva a ricoprire un incarico politico e poi non si può dire di no, ad appalti, nomine, assunzioni o prima si da la propria disponibilità e poi si può ricoprire l’incarico? Si fa politica in quanto Cosa Nostra o nonostante Cosa Nostra?
Credo siano presenti entrambi gli elementi nella stessa percentuale. Sostanzialmente il punto è che talvolta l’apporto mafioso si limita all’incipit, e poi conosce un meccanismo di autoalimentazione. Sono finiti i tempi in cui il candidato faceva lo struscio nel paese a braccetto con il boss: oggi basta la parola, ” è ccu chiddu” per cristallizzare uno status e godere di un prestigio indiretto. Nei pizzini di Matteo Messina Denaro si fa esplicito riferimento a un contatti a tu per tu con i politici, a un vero e proprio peso specifico.
Certo l’ultima legge elettorale, per quanto liberticida, non solo ha rappresentato un’occasione mancata ma ha persino aggravato la percezione del segnale di vitalità della mafia. Le nomine non hanno depurato i partiti dagli elementi ambigui e anzi la loro riconferma ne ha rafforzato il prestigio. Si poteva quantomeno fare saltare un turno a soggetti dall’incerta levatura morale ma così non è stato. La mafia vive di segnali e il segnale è stato di conferma.
Quando si scopre che alcuni candidati o nominati nelle liste elettorali sono in odore di mafia, le segreterie dei partiti, novelli Ponzi Pilato, dicono di non sapere e che è impossibile esercitare un controllo capillare sul partito. La Commissione Antimafia ha elaborato un codice di autoregolamentazione che i partiti possono facoltativamente adottare per scongiurare simili rischi. È un’operazione di marketing politico o stiamo per assistere a una piccola rivoluzione?
Il codice rappresenta indubbiamente un piccolo passo verso la chiarezza e l’assunzione di responsabilità naturalmente, bisognerà andare oltre le parole e vedere i fatti e le sanzioni adottate.
Tra circa due mesi verranno dai prefetti tutte le segnalazioni ricevute e tutte le anomalie riscontrate durante le elezioni amministrative. L’escamotage utilizzato è quello di candidare parenti e amici e non persone direttamente coinvolte in inchieste giudiziarie.
Io credo che la vera sanzione sia la pubblicizzazione delle candidature sospette ma bisogna vedere cosa farà la stampa nazionale. Il meccanismo virtuoso sarebbe quello di rendere pubblica la candidature e produrre scandalo. L’autoriforma dei partiti difficilmente potrà nascere da sé stessa, avrà comunque bisogno di una spinta propulsiva esterna e questa spinta nasce dall’informazione. E quando parlo di informazione mi riferisco alla stampa nazionale. Un giornale come il Giornale di Sicilia si è dimostrato pronto a fare tutto questo ma necessita di una cassa di risonanza nazionale.
In questi ultimi anni hanno cominciato a prendere piede i movimenti antimafia, esperimenti come le cooperative di Libera e i ragazzi di AddioPizzo. Tutte esperienze parallele se non addirittura estranee alla politica. L’antimafia si fa fuori dai partiti e si regge sul lavoro di pochi e per lo più volontari. Il suo essere estranea alle Istituzioni è il suo punto di forza o la sua debolezza?
È un punto di forza rispetto alla politica: essere estranei ad essa significa non essere ricattabili. È un punto di debolezza perchè fino a quando non diventerà una vera e propria “lobby”, in grado di avere un consenso popolare anche dentro l’urna elettorale, non sarà tra gli attori sociali del vero cambiamento.
Essere un cronista giudiziario rappresenta un osservatorio privilegiato dei mutamenti e delle applicazioni giurisprudenziali. Dopo il bagno catartico di Mani Pulite, alcune sentenze hanno utilizzato sofisticati meccanismi processuali per manipolare istituti giuridici come il concorso esterno in associazione mafiosa o il favoreggiamento vanificando lo sforzo di Pubblici Ministeri e forze di polizia . Fino a che punto il garantismo processuale può tramutarsi in svuotamento delle regole?
In Italia l’art. 3 Costituzione è lettera morta, il principio di eguaglianza è soppiantato da una discriminazione a base censitaria. Se hai un bravo avvocato avrai tutte la garanzie previste dall’ordinamento, se non te lo puoi permettere il discorso cambia . Se poi consideriamo che in Commissione Giustizia siedono avvocati e che dietro i loro provvedimenti ci sono fattispecie di reato che coinvolgono il loro clienti il gioco è fatto. Anche qui si tratta di conflitto di interessi: se la tua indennità mensile è di 18.000 Euro non dovresti continuare a fare il tuo lavoro. Se poi si analizza il dato per cui molti avvocati sono ex presidenti di Camere Penali che hanno avuto e hanno tra loro clienti illustri mafiosi si capiscono bene le forzature su alcuni provvedimenti. Che possono anche essere figli del ricatto: “chiddi,” quando, in quanto clienti, ti vengono legittimamente a trovare al tuo studio legale, sotto la camicia hanno la pistola.
Verità processuali e verità storiche. Talvolta, nei Tribunali, elementi di fatto, seppur storicamente accertati non sono stati poi configurati come reato in sentenza. Il fatto c’è ma non è qualificato come reato. La prescrizione viene mediaticamente trasfigurata in assoluzione, l’art. 530 c.p.p. ha preso il posto della vecchia insufficienza di prove , eppure il fatto è fatto ed è stato provato. Come, da quando e con quale ragionamento si è passati a equiparare la verità storica alla verità processuale?
Qui bisogna distinguere un piano processuale e un piano di organizzazione dell’informazione.
Se andare a pranzo o a cena con un mafioso non è di per sé un reato, come è stato sovente stabilito dai giudici di questo paese è pur vero che la gente dovrebbe sapere quali sono le frequentazioni di un candidato o di un politico per elaborare una propria valutazione etica.
Sul piano della pubblicizzazione del fatto, anche quando processualmente provato viene fuori tutta l’anomalia italiana. Gli editori di carta stampata e televisione, pubblica e privata, sono anche imprenditori o amici. Le relazioni amicali, i network, sono quelli che ti fanno fare carriera e allora si capisce che fare il contropelo o il cane da guardia a quello che ti ha aiutato a fare carriera o che hai visto a pranzo il giorno prima diventa quantomeno un boomerang. Indro Montanelli diceva che la corruzione per un giornalista comincia con un piatto di pastasciutta.
In america i giornalisti delle testate indipendenti sostengono che per fare bene questo lavoro non si possono avere amici.
Io aggiungo che anche i procuratori antimafia, per essere totalmente liberi di fare le loro indagini e trarre le dovute conseguenze dovrebbero venire da fuori. Vicini di casa, compagni di scuola, amici di famiglia: bisogna avere un senso etico della professione per non farsi condizionare e andare oltre il piano delle relazioni conosciute, e non è semplice.
Qualcuno ha detto: mente borghese, lupara proletaria. Oggi, in Italia, l’apparato normativo offre strumenti sufficienti per intercettare e colpire la galassia di professionisti che dando linfa e offrendo le loro competenze alla mafia ne consentono la sopravvivenza?
L’ordinamento di per sé si, ma è anche vero che quello che accade per Cosa Nostra non accade per i colletti bianchi. A parità di imputazione la soglia probatoria e di punibilità per un colletto bianco è molto più alta che per un “mafioso militare”. I boss da dentro il carcere sono molto risentiti, se ci si pensa bene avviene una vera e propria disparità di trattamento. Certo, non ci si può aspettare che tutti i giudici siano eroi, ma è innegabile che il metro di giudizio utilizzato sia diverso a seconda che imputato sia un mafioso militare o un mafioso- imprenditore-professionista.
Lei ritiene che la mafia non sia ancora stata sconfitta per negligenza, incompetenza o assenza di volontà politica?
Credo che sia una sintesi tra assenza di volontà, negligenza e sottovalutazione fenomeno e dell’apparato reticolare che lo alimenta. La mafia si è fatta conoscere sparando, poi ha tentato di comandare sulla politica, si è fatta essa stessa partito, adesso ha capito che per andare avanti si deve studiare e laureare. Ha messo i suoi figli e i suoi cugini nelle redazioni dei giornali, nell’ordine degli avvocati, nelle P.A., nei partiti e, si sa, il sangue è sangue e non si può tradire.
(*) CENNI SU PETER GOMEZ
Cronista giudiziario de L’Espresso, collaboratore di MicroMega, ha lavorato a Il Giornale ai tempi di Indro Montanelli e a La Voce.
Prolifica e conosciuta al grande pubblico la collaborazione con Marco Travaglio, con il quale ha scritto:
- La repubblica delle banane (Peter Gomez e Marco Travaglio, 2001, Editori Riuniti)
- Mani pulite. La vera storia. Da Mario Chiesa a Silvio Berlusconi (Gianni Barbacetto, Peter Gomez e Marco Travaglio, 2002, Editori Riuniti).
- Lo chiamavano impunità. La vera storia del caso SME e tutto quello che Berlusconi nasconde all’Italia e all’Europa (Marco Travaglio e Peter Gomez, 2003, Editori Riuniti).
- Bravi ragazzi. La requisitoria Boccassini, l’autodifesa di Previti & C. Tutte le carte dei processi Berlusconi-toghe sporche (Marco Travaglio e Peter Gomez, 2003, Editori Riuniti).
- Berlusconi, opuscolo tradotto in quattro lingue e distribuito da Gianni Vattimo a tutti i Parlamentari europei il 2 luglio 2003 [3].
- Regime. Biagi, Santoro, Massimo Fini, Freccero, Luttazzi, Sabina Guzzanti, Paolo Rossi, TG, GR e giornali: storie di censure e bugie nell’Italia di Berlusconi. Postfazione di Beppe Grillo. (Marco Travaglio e Peter Gomez, 2004, BUR Biblioteca Universale Rizzoli).
- L’amico degli amici. Perché Marcello Dell’Utri è stato condannato a nove anni in primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa. La requisitoria dei PM e la memoria della difesa. (Marco Travaglio e Peter Gomez, 2005, BUR Biblioteca Universale Rizzoli). Inciucio. Come la sinistra ha salvato Berlusconi. La grande abbuffata RAI e le nuove censure di regime, da Molière al caso Celentano. L’attacco all’Unità e l’assalto al Corriere. (Peter Gomez e Marco Travaglio, 2005, BUR Biblioteca Universale Rizzoli).
- Le mille balle blu. Detti e contraddetti, bugie e figuracce, promesse e smentite, leggi vergogna e telefonate segrete dell’uomo che da dodici anni prende in giro gli italiani: Napoleone Berlusconi. Vignette di Ellekappa. (Peter Gomez e Marco Travaglio, 2006, BUR Biblioteca Universale Rizzoli, Sito ufficiale).
- Onorevoli Wanted (Peter Gomez e Marco Travaglio, 2006, Editori Riuniti).
- E continuavano a chiamarlo impunità (Peter Gomez e Marco Travaglio, 2007, Editori Riuniti).
– 12/12/2007
Regali per Natale: top 5 libri inchiesta
I complici, di Abbate e Gomez (Fazi). Ecco svelate le storie dei picciotti di Bernardo Provenzano, spietatissimo ex super capo di Cosa Nostra, nella società e nel Parlamento. Gli autori riassumono la storia recente della mafia ai tempi di Provenzano, dall’accordo con il Partito Socialista del 1987 fino alle stragi dinamitarde del 1992-93; dalla cattura (e ri-cattura) di Riina fino agli accordi segreti stretti, secondo i magistrati di Palermo, tra i vertici di Cosa Nostra e i vertici di Forza Italia e dell’Udc siciliana. Un libro inchiesta splendidamente scritto, ancor meglio documentato, che è valso agli autori minacce mafiose pesanti come conferme.
– 04/12/2007
lirio abbate: una questione di onore
Doro0tea.wordpress.com
esperto di mafia, si trova sotto scorta dal mese di maggio per aver subìto minacce a seguito della pubblicazione del suo ultimo libro: i complici. tutti gli uomini di bernardo provenzano da corleone al parlamento.
il primo settembre, a pochi giorni dal suo rientro a palermo, qualcuno ha pensato bene di piazzare un ordigno incendiario sotto la sua auto.
all’indomani dell’attentato, in questi termini si esprime abbate in una intervista rilasciata al collega giuseppe d’avanzo del quotidiano la repubblica: “Lo sai perché non decido di andarmene? Per onore. Sì, per onore! Non per il mostruoso, folle, ridicolo onore di cui si riempiono la bocca mafiosi deboli con i forti e forti con i più deboli, ma per quell’onore che mi chiede di avere rispetto di me stesso, che mi impedisce di inchinarmi alla forza e alla paura, di scendere a patti con ciò che disprezzo. Quell’onore che molti siciliani hanno dimenticato di coltivare”.
un breve intervento audio sulla volontà di non cedere alla mafia e il video della presentazione del libro (16 min ca).
– 24/11/2007
Tras dejar al descubierto en un libro las redes de la Cosa Nostra, al reportero ya le pusieron una bomba en su auto. Los capos del crimen buscan la manera de silenciarlo.
Cómo sobrevivir las 24 horas del día bajo la amenaza constante de la mafia italiana
Lirio Abbate, corresponsal de una agencia de noticias en Sicilia:
– 21/11/2007
Lirio Abbate: “…quell’indispensabile gene di mafiosità per combattere la mafia”
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Editoriale
2. A marzo del 2007 è uscito il libro di Lirio e di Peter Gomez, dell’Espresso, “I complici – Tutti gli uomini di Bernardo Provenzano, da Corleone al Parlamento”, Fazi Editore. E’ una ricognizione ad ampio raggio sulle complicità che hanno protetto per quarant’anni la latitanza del boss Bernardo Provenzano che a fine agosto ha ottenuto il Premio Capalbio. E’ un libro di grande valore e di piacevole lettura che vi consiglio vivamente, perché ricompone il puzzle delle notizie frammentarie emerse da varie indagini di polizia e da alcuni processi giudiziari. Come in un romanzo, emergono collegamenti e rapporti fra personaggi della mafia, della politica siciliana e nazionale e del mondo degli appalti. Emerge in particolare una zona grigia in cui i personaggi – fra i quali spiccano il presidente della Regione Cuffaro, il manager delle cliniche private siciliane Michele Aiello e il boss di Brancaccio Giuseppe Guttadauro – si muovono in modo non sempre trasparente mentre sono scrutati da intercettazioni telefoniche e ambientali. Alla lettura si accompagna bene la visione del dvd con l’inchiesta “La mafia è bianca” di Stefano Maria Bianchi e Alberto Nerazzini (Edizioni Bur 2006, libro + dvd 19,50 Euro)3. A maggio del 2007, la polizia ha intercettato alcuni mafiosi del quartiere Brancaccio che discutono di armi da preparare per farla pagare a Lirio. La polizia lo informa e gli assicura una discreta protezione. La notizia non viene divulgata per facilitare gli accertamenti in corso. Dopo qualche giorno il cronista trova un biglietto minatorio sul vetro della sua macchina e poi in redazione. Le minacce di morte sono ritenute fondate, tanto che il 21 maggio il comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica di Palermo gli assegna una servizio di scorta. La notizia a questo punto viene divulgata. Dopo qualche giorno, per ragioni di prudenza e di opportunità – che anche io ho sollecitato – la Direzione dell’Ansa ha chiamato Lirio a lavorare temporaneamente presso la redazione centrale di Roma, dove è rimasto alle Cronache Italiane fino alla fine di agosto, quando è tornato a Palermo.4. Il 1° settembre 2007, a Palermo, “due sconosciuti hanno cercato di mettere sotto la sua automobile, posteggiata nei pressi dell’ abitazione, in un quartiere popolare del capoluogo siciliano, un ordigno rudimentale costruito con un paio di contenitori di liquido infiammabile e alcuni cavi elettrici. A notarli sono stati gli agenti del “servizio di bonifica” dell’Ufficio scorte di Palermo, che da un paio di mesi proteggono il giornalista: le due persone sono comunque riuscite a far perdere le loro tracce. Per rimuovere l’involucro sono stati chiamati gli artificieri e sono state spostate le altre auto posteggiate nelle vicinanze” (AGI, 4 set 2007 ore 20:47).
5. Mercoledì 5 settembre 2007, in un’intervista a Repubblica (che potete leggere integralmente in allegato), Lirio ha raccontato il suo dramma e ha enunciato la sua ribellione .
<<…In quel che mi accade” sostiene Lirio “mi sento fortunato. Sento accanto a me sento l’amichevole presenza dei miei colleghi di redazione. La direzione dell’Ansa è premurosa. Polizia e magistratura di più non potrebbero fare per rassicurarmi. Ma, se si esclude questo cerchio protettivo, avverto l’indifferenza della città. Un sindacato di giornalisti ha diffuso un comunicato in cui si diceva, più o meno, che – è vero – Lirio Abbate è minacciato, ma è un affare che riguarda soltanto lui perché – tranquilli – i cronisti siciliani non corrono alcun pericolo. Si può? Quest’incomprensione collettiva è un grumo di veleno e di amarezza che aggrava l’angoscia peggio della minaccia di quei vigliacchi e non parlo di me soltanto, parlo delle decine di casi che, come il mio, si consumano ogni giorno in città, nell’indifferenza di una Palermo muta che quotidianamente “prende atto” di negozi bruciati dagli estorsori che non risparmiano i piccoli e piccolissimi esercizi e finanche i distributori di benzina. Una città dove, se ti portano via l’auto o la moto, sai a chi puoi rivolgerti – tutti sanno chi è il mafioso del quartiere – per fartela restituire dietro il pagamento di una cauzione, così la chiamano…>>
<<…È un paradosso. Credi di dover fare in modo accurato il tuo lavoro di cronista per illuminare nell’interesse dell’opinione pubblica, di quella “società civile”, gli angoli bui e sporchi del cortile di casa. Poi scopri che sei un ingenuo. Nessuno vuole guardare da quella parte, in quegli angoli – no – preferiscono voltarsi da un’altra parte anche se stai lì a tirargli la giacchetta. E allora perché lo faccio?, ti chiedi. Perché infliggo a chi mi è caro ansia, paura, apprensione e, Dio non voglia, pericoli? Perché, mi chiedo, non ascolti chi ti dice: ma chi te lo fa fare, vattene da qui, vattene subito, non ti accorgi che non vale la pena?.>>.<<…Lo sai perché non decido di andarmene? Per onore. Sì, per onore! Non per il mostruoso, folle, ridicolo onore di cui si riempiono la bocca mafiosi deboli con i forti e forti con i più deboli, ma per quell’onore che mi chiede di avere rispetto di me stesso, che mi impedisce di inchinarmi alla forza e alla paura, di scendere a patti con ciò che disprezzo. Quell’onore che molti siciliani hanno dimenticato di coltivare…>>
Nell’intervista Lirio parla dell’indifferenza della città, dice che hanno ragione il capo dello Stato e il governo a chiedere che “la società civile” faccia la sua parte contro la mafia. Lui si sente di fare la propria parte facendo il suo mestiere in modo”accurato”, cioè con onestà e coraggio.
6. Sorge una domanda: fra tanti cronisti che a Palermo si occupano delle stesse cose, consultano le stesse fonti, danno più o meno le stese notizie, scrivono libri, perché la mafia ha minacciato proprio Lirio?
Scrive D’Avanzo: “Dice Lirio Abbate che il lavoro di cronista a Palermo o è accurato o non è”; che Lirio è un cronista che “se ne sta per conto suo e segue la sua strada anche se sa bene quale sarebbe il modo più conveniente per starsene in ombra, un po’ in disparte e in pace (…) Se fai il tuo lavoro con prudenza, senza eccessi, con mediocrità, nessuno salterà su contro di te. Però, dice Lirio, che ha una compagna e un bimba di dieci mesi, questo lavoro non è accurato, non è onesto perché non racconta quel che vede e sa”.
Chi ha lavorato a Palermo, in quel campo, lo sa bene: esiste una linea invisibile che traccia il limite della sicurezza. E’ una linea che restringe il campo che l’informazione giornalistica è chiamato a esplorare. Questa discrasia esiste. Non se ne parla. E’ un tabù. Ma ogni cronista deve farci i conti. Come? Di solito, facendo prevalere la prudenza, sopportando problemi di coscienza personale e professionale. Ma non tutti ci riescono. Chi si occupa di questioni così pesanti, e dà una particolare importanza alla funzione sociale del nostro mestiere, alla lunga non ce la fa. Abbandona la prudenza, esce dal gruppo, varca il confine. Si ribella.
E’ successo tante volte. Con il loro coraggio, i cronisti che hanno varcato il confine ci hanno permesso di spostare più avanti la linea invisibile, di conquistare terreno al diritto di informare senza rompere il tabù. Lo hanno fatto correndo rischi altissimi. Alcuni sono stati lasciati soli e ci hanno rimesso la vita. Le storie degli otto cronisti uccisi in Sicilia raccontano tutte questa semplice verità.
7. Ecco perché è importante far sentire a Lirio tutta la nostra solidarietà, in modo concreto e continuativo. Ho apprezzato e condiviso la passeggiata di solidarietà a Palermo. Considero importante la presa di posizione netta dei vertici delle nostre organizzazioni di categoria e anche i numerosi messaggi di solidarietà personale inviati da rappresentanti delle istituzioni e da singoli giornalisti. E’ importante che Lirio e i suoi compagni di lavoro abbiano pubblicamente rinnovato il rapporto di stima reciproca. E’ fondamentale che siano stati messi da parte distinguo e sottigliezze che non possono trovare spazio in una situazione di emergenza. Tutto ciò è positivo, è utile, aiuta. Ma temo che non basti a proteggere Lirio. Dobbiamo sforzarci di trovare delle forme di solidarietà più concrete e continuative. Se vogliamo salvarci la coscienza, e salvare la coscienza della nostra categoria, dobbiamo sviluppare una riflessione aggiornata e approfondita sui rischi e sulle limitazioni a cui è esposto il lavoro del cronista, in particolare nel mondo inesplorato nella cronaca locale.
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Chi minaccia Lirio Abbate?
Xantology.com, blog di Antonio Pagliaro
“I complici” è un libro importante, certamente più importante di “Gomorra”. In Italia, tutti dovrebbero conoscere le storie che racconta.
Libri sulla mafia ne esistono tanti, alcuni sono eccellenti, pieni di storie e documenti. “I complici”, però, è un libro diverso. Diverso perché, finalmente, sposta il fuoco. Non tratta più soltanto della mafia militare, delle sparatorie, delle stragi, del Far West che fu la Sicilia per tanti anni. “I complici” mette al centro della scena la borghesia mafiosa, gli uomini di Provenzano, non quelli che sparano ma quelli che siedono nei parlamenti, nelle commissioni, nei consigli comunali. Lo fa scrivendo nomi e cognomi, riportando sentenze che la stampa ha ignorato, raccontando storie che in tv non passano.
Ne libro c’è Enrico La Loggia che piange quando il boss Mandalà minaccia di rovinarlo, c’è la storia di Schifani, c’è Cuffaro con Campanella, c’è la trascrizione dell’incontro tra Vladimiro Crisafulli, deputato DS, e il boss di Enna Bevilacqua, incontro registrato dai carabinieri. Il mafioso dice al politico: “Spererei che mi facessi contento questo gruppo. Se sono amici miei sono anche amici tuoi”. C’è un capitolo dal titolo “Forza Mafia”.
Ne “I complici”, Provenzano non è più il rozzo ricottaro che l’informazione ormai ridotta a fiction ci ha voluto mostrare. No, qui è un uomo che ha rapporti con politici, amministratori, ministri, un uomo che comanda non soltanto un esercito di feroci contadini.
Lirio Abbate, autore del libro con Peter Gomez, è stato minacciato. Vive sotto scorta e pochi giorni fa i carabinieri hanno trovato un ordigno sotto la sua automobile. Lirio Abbate ha raccontato una mafia diversa: ha messo in scena chi fa di tutto per uscirne, e ridotto a comparse i ricottari e cosa nostra militare.
Provenzano e i suoi soldati sono stati raccontati tante volte, da decine di libri e anche dalla tv. “I complici” racconta altro, è un libro diverso, un libro che sale parecchi gradini. Allora, chi minaccia Lirio Abbate?
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