Will Hutton
Il drago dai piedi d’argilla
La Cina e l'Occidente nel XXI secolo
Traduzione di Franco Motta
Sopra le nostre teste si sta svolgendo il nuovo Grande Gioco. Attori principali: Stati Uniti e Cina, la “vecchia” e la nuova superpotenza. E intanto l’Europa – il più significativo esperimento di governance multilaterale della storia, nonché modello sociale più equo tra le economie di mercato – resta al palo. La tesi innovativa del Drago dai piedi d’argilla è che Pechino debba assolutamente avviarsi verso una “contaminazione democratica”, se intende stabilizzare la sua prodigiosa crescita. Proseguendo sulla strada tracciata finora, invece, si avvierà rapidamente verso lo scoppio della “bolla” e il collasso del sistema produttivo, schiacciato sotto il peso della vertiginosa modernizzazione e delle crescenti richieste di libertà da parte dei suoi abitanti. Ma nella partita gioca un ruolo decisivo anche l’Europa, cui spetta il dovere di recuperare e rilanciare quei valori elaborati dalla cultura occidentale dall’Illuminismo in poi e che gli USA sembrano inesorabilmente avviati ad abbandonare. Nella fase corrente, sostiene l’autore, l’unica via praticabile da parte dell’Europa e dell’Occidente in generale è un'”apertura critica” alla Cina, ma senza sconti sui diritti umani. Will Hutton, uno dei più stimolanti intellettuali progressisti dei nostri tempi, compie una circumnavigazione completa del gigante asiatico, tracciando una mappa dettagliata non solo della sua economia e della sua cultura attuali ma anche della loro storia recente e remota; e, al contempo, affronta i temi fondamentali della contemporaneità: la globalizzazione, l’involuzione dell’economia di mercato, la crisi del progressismo, le difficoltà dell’Europa, le dinamiche che hanno portato gli Stati Uniti a porre un’ipoteca sul loro stesso assetto democratico. Economista unico nel suo genere proprio per la capacità di tenere assieme coordinate distanti e apparentemente eterogenee, Hutton rivela insospettabili nessi: la tradizione dei funzionari dell’antico impero cinese e la classe emergente dei manager comunisti, la Compagnia delle Indie Orientali e la nascita del concetto di impresa in Occidente. Uno sguardo, quello di Hutton, lucido e tutt’altro che rassegnato, lontano dagli “opposti isterismi” dei detrattori a priori e degli entusiasti cantori della mondializzazione.
«Hutton affronta la questione politico-economica più importante del nostro tempo… Un’analisi di ampio respiro, molto corretta, che susciterà una riflessione».
«Financial Times»
«Hutton conosce bene l’economia, e ogni lettore potrà giovarsi di quello che ha da dire su questo tema».
«New York Times»
«C’è molto da imparare dalla lettura del Drago dai piedi d’argilla».
«The Guardian»
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Il drago dai piedi d’argilla
Milano, 18 lug. (Apcom) – “Il prossimo secolo potrà essere il secolo cinese, ma solo se la Cina farà propri in generale il pluralismo economico e politico dell’Occidente, e in particolare le istituzioni che abbiamo ereditato dall’Illuminismo, naturalmente adattate al mondo cinese”. Will Hutton, economista liberal britannico tra i più autorevoli, non si allinea al coro di chi crede che la crescita economica e quindi anche strategica della Cina sia inarrestabile e, nel ponderoso saggio “Il drago dai piedi d’argilla” (Fazi editore), porta molte argomentazioni politiche, culturali e soprattutto economiche a sostegno della sua tesi. “L’attuale modello economico cinese – scrive Hutton – non è sostenibile: e questo avrà conseguenze di importanza primaria sulla capacità del Partito Comunista di portare avanti il Paese sotto forma di Stato autoritario a partito unico”.
Hutton, in qualche modo, ribalta nelle 350 pagine del suo libro, molti dei punti di vista più comuni a proposito della Cina, mostrando come gran parte di quelli che vengono additati a vantaggi (spesso ritenuti sleali in Occidente) del modello economico cinese, siano in realtà i suoi stessi limiti. Lo studioso britannico mostra infatti, per esempio, come il basso costo della manodopera, oltre ad incidere molto poco sul prezzo del prodotto finito, sia spesso associato a una bassa produttività. Oppure mette in evidenza il possibile rischio di crollo delle esportazioni cinesi a fronte di una rivalutazione della moneta di Pechino, richiesta sempre più a gran voce dall’Occidente. O ancora le basi del credito, necessario per sostenere il boom degli ultimi decenni, che affondano nei risparmiatori cinesi: ma molti studi dimostrano che si è giunti oggi al picco di questi accantonamenti e, presto o tardi, comincerà la curva discendente. Altro elemento cruciale è poi rappresentato dal circolo vizioso in cui si trova il Partito Comunista, costretto a mantenere i ritmi vertiginosi di crescita per garantirsi una legittimità erosa da molte parti. In questo contesto, sottolinea Hutton, il rischio di un cambiamento radicale e imprevedibile resta molto alto.
A fronte di tanti allarmismi sulla minaccia cinese, Hutton risponde invece che ci troviamo di fronte a “una civiltà sofisticata, assediata da problemi seri e sempre più profondi, sulla via di una difficile transizione da una società contadina, primitiva, povera, alla modernità. La Cina – aggiunge lo studioso – ci chiede comprensione e impegno, non quell’ostilità e quel sospetto che potrebbero portarci a sconfiggerci con le nostre mani creando per davvero quella stessa crisi di cui abbiamo paura”. Una paura che sembra riflettere per molti versi quella che veniva alimentata dai pessimisti durante il periodo della Guerra fredda, convinti che per il semplice motivo che l’Urss era una dittatura, allora il Cremlino avrebbe potuto conseguire ogni obiettivo, libero com’era dai vincoli imposti invece dalla democrazia occidentale. In realtà poi la storia ha dimostrato che proprio la mancanza di libertà e l’insostenibilità di un modello repressivo hanno contribuito in maniera decisiva all’implosione del sistema sovietico. Lo stesso discorso si può applicare alla Cina, e Hutton sottolinea più volte l’importanza delle istituzioni rappresentative derivate dall’Illuminismo e il loro stretto rapporto con il successo economico in un contesto di libero mercato. E dunque lo studioso punta, come ha fatto il politologo Usa Joseph S. Nye, sul concetto di “soft power”, questa volta declinato in chiave economica.
Se Pechino non troverà una sua via verso un sistema che offra diritti e garanzie ai cittadini c’è il forte rischio che, come è già avvenuto altre volte nella storia della Cina, il mutamento possa essere veicolato solo attraverso un grande choc. Le cui conseguenze non sono prevedibili e potrebbero rappresentare una minaccia per tutti.
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