Dennis Bock
Il giardino di cenere
Traduzione di Alessandra Tubertini
Romanzo d’esordio del canadese Dennis Bock, Il giardino di cenere è stato per lungo tempo il romanzo più venduto in Canada nel 2001. È stato pubblicato in oltre dieci paesi.
Emiko Amai ha sei anni il 6 agosto 1945, quando la bomba atomica sganciata su Hiroshima spazza via la sua famiglia e la lascia orribilmente sfigurata. Per Anton Böll, giovane fisico tedesco fuoriuscito dalla Germania per partecipare alla costruzione della bomba, quel giorno rappresenta il coronamento della sua carriera. E per sua moglie Sophie, ebrea austriaca rifugiatasi in America, segna l’inizio di una frattura irrimediabile nel loro matrimonio.
Tre vite lontane e legate l’una alle altre, apparentemente opposte ma tutte in qualche modo plasmate e deformate da quell’evento, dalla necessità di dimenticare o dall’obbligo interiore di ricordare. Il modo con cui ognuno di loro sceglie di guardare a quel giorno e al proprio ruolo di vittima o di carnefice traccia un nuovo percorso da cui esplorare le ambiguità e le sfaccettature di quel momento storico, di quel ‘male necessario’ che così gravi conseguenze ha avuto sulle vite dei singoli individui.
Il giardino di cenere è un libro di rara intensità emotiva e allo stesso tempo un romanzo dall’andamento narrativo coinvolgente, caratteristiche che ne hanno fatto un bestseller in Canada, dove è stato per mesi il libro più venduto.
– 24/06/2003
Domande senza risposta sulla tragedia di Hiroshima
La tragedia di Hiroshima nel 1945, la tragedia della nascita nel mondo dell’incubo nucleare, merita di essere sempre raccontata e analizzata. Vale la pena segnalare oggi l’uscita in Italia de Il giardino di cenere (Fazi ed.), romanzo di Dennis Bock, già ai vertici delle classifiche canadesi e già tradotto in diverse lingue. Si tratta di un acuto, lancinante grido-denuncia su un “esperimento” di cui ancora molti pagano le conseguenze. Un’indagine sul mistero della scienza, ma soprattutto sul mistero dell’uomo. Ellittico nei suoi continui passaggi da un tempo all’altro, un’età all’altra, il romanzo si compone come un intreccio a tre voci. L’io protagonista – la giapponese Emiko, che vive e racconta la sua storia a 5, a 15, a 40 anni. Anton, lo scienziato Anton Boll, emigrato dalla Germania per meglio portare a termine i suoi esperimenti sulla Bomba H insieme a Enrico Fermi e agli altri “cervelli” in fuga dall’europa dominata dalle armate hitleriane. E Sophie, la moglie di lui. Giovanissima rifugiata salvata da un campo profughi, ma destinata alla malattia. Il 6 Agosto 1945, nella prima “scena” abbagliante del romanzo, Emiko è solo una bambina di 6 anni che gioca con il fratellino sulla riva del fiume. Ma in un lampo infuocato, la sua vita cambia per sempre: persi padre, madre e fratello, Emiko resta orribilmente sfigurata. Un tessuto di cicatrici e piaghe che i vecchi amichetti chiamano “orco”, ma che sopravvive al dolore in solitudine e silenzio, passando da un letto all’altro di un ospedale, sotto gli occhi amorevoli del nonno e gli sguardi invadenti – curiosi, impotenti e respingenti – del “nemico”. Fotografi, giornalisti e medici americani, venuti a constatare e sanare le ferite da loro stessi causate. Proprio come finirà per fare Anton Boll, durante la sua missione a Hiroshima. Due destini – quello di Emiko e quello di Anton – che si incontreranno e si sveleranno infine tanti anni dopo, per ricordare e capire. Diventata documentarista di successo Emiko vuole raccontare i fatti di quello che considera un crimine contro l’umanità e indaga su quello che il vecchio Boll si è spiegato per tutta la vita come un “atto necessario”. Necessario per “salvare l’umanità” e “far finire la guerra”, e tanto più efficace quanto più capace di colpire gli obiettivi civili. Un atto da guardare più che con un senso di colpa, con senso di responsabilità, in un presente di vecchiaia, che ancora si porta dentro profonde conseguenze psicologiche.
Ma fino a che punto è lecito invocare il principio di “utilità” e “necessità” per giustificare quello che rimane un crimine contro l’Uomo? Questa domanda, a quasi sessant’anni dalla bomba di Hiroshima, rimane ancora senza risposta.