David Lodge

Il mestiere di scrivere

COD: a597e50502f5 Categorie: , Tag:

Collana:
Numero collana:
16
Pagine:
262
Codice ISBN:
9788881120796
Prezzo cartaceo:
€ 15,00
Data pubblicazione:
01-06-1998

Traduzione di Alessandra Tubertini

«…Nessuno può giovare alla generazione in cui è nato tanto come colui che le offre, sia nell’arte che nella vita, un dono di certezza».

Il processo creativo della scrittura è il tema centrale attorno al quale ruotano i saggi e gli scritti di questa raccolta, spaziando dall’analisi biografica e letteraria degli autori cari a Lodge (Graham Greene, D.H. Lawrence, James Joyce, Vladimir Nabokov) a riflessioni dedicate a problemi della scrittura contemporanea: lo status estetico e istituzionale dello scrittore, il rapporto tra realtà e finzione nell’opera letteraria, l’utilità-inutilità delle scuole di scrittura creativa, il problema della scrittura come comunicazione.

«C’è tutta la passione per la grande letteratura in questo saggio di affascinante lettura, spiritoso e ricco di osservazioni sottili…».
Paolo Grieco, «il Giornale»

«Un libro nel quale si offrono alcuni consigli e strumenti sull’arte della scrittura… il pregio di Lodge è che non tenta nemmeno di affrontare le teorie estetiche ma va dritto al sodo, essendo convinto che “sia sempre più difficile trovare legami significativi tra la pratica della scrittura e una critica accademica dominata da problemi di teoria”».
Corrado Augias, «il Venerdì di Repubblica»

IL MESTIERE DI SCRIVERE – RECENSIONI

 

Massimo Bacigalupo, L’INDICE DEI LIBRI DEL MESE
– 11/01/1999

 

L’uomo che piace ai professori

La lucidità di David Lodge in dieci saggi

David Lodge è un abile narratore (Scambi, Il professore va al congresso ), sceneggiatore, drammaturgo (The Writing Game, 1990), nonché autore di alcuni importanti libri sulla situazione del romanzo, nati dal suo lavoro come docente all’Università di Birmingham. Uno si chiama Lavorando con lo strutturalismo (1981), e pratica in maniera intelligente ed empirica Bachtin, Jakobson, Genette per leggere Joice, Hamingway, Pynchon… Questo Il mestiere di scrivere, comprende dieci dei diciassette saggi dell’edizione originale, dà la misura della sua lucidità. Tratta di questioni di scrittura e genere, e offre alcuni ritratti istruttivi di scrittori di primo piano: Joice e Greene ( due maestri di Lodge, anch’egli cattolico di formazione), Lawrence, Burgess, Nabokov (di cui questo aprile è caduto il centenario della nascita). Nel capitolo introduttivo, Il romanziere oggi: ancora al crocevia?, Lodge ricorda un suo saggio del 1971 sulle vie che un narratore può praticare: la tanto deprecata ma mai tramontata tradizione realista, il romanzo-verità soprattutto americano (Capote, Malier), l’ “affabulazione” fantastica (Barth, Vonnegut), e il romanzo problematico o metaromanzo (Doris Lessing, Il taccuino d’oro ). Oggi Lodge trova che la situazione non sia mutata: Rushdie è un affabulatore; Wolfe, Chatwin, Theroux e Thomas Keneally, l’autore australiano dell’Arca di Schindler, sono romanzieri-documentaristi; Martin Amis scrive a tratti metaromanzi. Altri scrittori si muovono agilmente fra diversi modelli, confondendo le carte: Julian Barnes, D.M. Thomas, John Fowles, Peter Ackroyd, Antonia Byatt e lo stesso Lodge. Mentre il realismo tradizionale continua vivo e vegeto (Ishiguro, Atwood, Banville, Trevor….). Non si può insomma dire, come certi critici, cosa va e cosa non va, fare una critica prescrittiva, erigendo il proprio gusto e legge, ma occorre descrivere questi fenomeni di un quadro irriducibilmente pluralista. D’altra parte Lodge nota che la critica accademica angloamericana, che nei decenni precedenti seguiva la produzione moderna e dava indicazioni di tendenza, oggi si è quasi completamente volta ad astrarre questioni teoriche, lasciando sì libero il campo a ogni forma e genere, ma anche creando un vuoto di giudizio. In assenza di criteri estetici, e anche della moda critica, l’unico metro rimasto è il successo di vendita: situazione ben diversa da quella delle avanguardie moderniste, dove il successo era piuttosto deprecato. Così negli anni ottanta, in clima neoliberista, l’editoria entra nel giro dei grandi investimenti e nasce, a dire di Lodge, un nuovo fenomeno, il best-seller letterario (Il nome della rosa ), cioè l’opera di uno scrittore di prestigio con diffusione di massa. La recessione degli anni novanta restringe il numero degli autori su cui l’editoria è disposta a investire, ma resta l’approccio globale alla promozione del libro: “Se si è uno scrittore con una certa fama, pubblicare un nuovo romanzo non consiste più nello spedire il manoscritto all’editore e poi aspettare che, più o meno nove mesi dopo, escano le recensioni. Significa delicate trattative sui componenti, probabilmente condotte tramite un agente, e forse un’asta. Una volta firmato il contratto, significa consultazioni con l’editore per studiare i tempi di pubblicazione, la copertina ed altri dettagli di produzione. Vi potranno invitare a discutere coi venditori dell’azienda, o con una convention di librai. Intorno all’uscita vi chiederanno di concedere interviste ai giornali e alla televisione, forse di dare letture in librerie, firmare copie, partecipare a festival letterari…”. E poi ci sono i premi, i diritti cinematografici… Nessuna meraviglia che di recente il vecchio John Updike abbia detto di non farcela più a promuoverei suoi libri come ormai un editore si attende. Osserva Lodge: “ Se l’editore ha investito un grosso anticipo lo scrittore si sentirà moralmente obbligato ad aiutarlo a vendere, oltre che per suo interesse diretto”. Ma anche se questa é la realtà, Lodge, che ha lasciato l’università per la professione di scrittore, non si scandalizza, e suggerisce che le cose non sono poi tanto diverse da quanto accadeva in passato: “E’ sempre stato necessario essere artista mentre scrivi il tuo romanzo, e uomo (o donna) d’affari quando lo pubblichi”. Oggi è solo un pò più complicato e dispersivo. Lodge è un solido teorico con una grande conoscenza dei fenomeni, il che rende i suoi saggi istruttivi tanto per i modelli che offrono quanto per la storia letteraria. Fra i temi generali trattati in questa raccolta è il rapporto tra realtà e finzione narrativa, con spassosi esempi tratti da Il professore va al congresso (Lodge vi descrisse la fondazione rockefeller di Bellagio senza esserci mai stato, ma vi fu ospite proprio nei giorni successivi alla pubblicazione, col timore-desiderio di essere scoperto come romanziere anziché studioso). Altri saggi trattano il “romanzo come comunicazione” (ed egli conclude che forse è più gioco – prodotto – che si vale di codici comunicativi), e le differenze fra romanzo, sceneggiatura e teatro – molto istruttivo quest’ultimo, di nuovo sia per l’impostazione del problema sia per l’esemplificazione: Lodge ha adattato romanzi suoi e di Dickens per la televisione, e parla anche di cose molto pratiche come la lunghezza prefissata di un genere (il film, il dramma), o del fatto che a cinema o teatro lo spettatore, a differenza del lettore, non può sapere in anticipo che l’opera sta per finire: mentre quando leggiamo l’ultima pagina o frase di un libro sappiamo che quella è l’ultima pagina o frase…. L’edizione originale di Il mestiere di scrivere comprendeva un ottimo saggio su un brevissimo lavoro di Pinter (Last to Go, ristampato integralmente) che è un peccato sia stato ora omesso. Lodge offre anche osservazioni sui corsi di scrittura creativa, sostenendone l’utilità come scuola critica e propugnandone l’estensione parziale alle scuole superiori. Naturalmente, “nessun corso potrà insegnare a produrre un testo per la cui lettura altri sacrificheranno volontariamente tempo e forse denaro, per quanto non abbia alcuno scopo o valore unitario”. E ancora: “Anche la critica più sofisticata scalfisce solo la superficie dei processi misteriosi della creatività, e lo stesso vale anche per i migliori corsi di scrittura creativa”. Per quanto scriva libri umoristici, Lodge è un uomo pensoso con una punta di amarezza; certo come scrittore ha un’invidiabile solidità e lucidità di critico teorico-pratico.

 

Paolo Grieco, IL GIORNALE

Un ironico e divertente saggio del romanziere David Lodge sulla nascita delle grandi opere della letteratura contemporanea, dai romanzi alle biografie

Il mesteriaccio dello scrittore? Si può studiare ma non si impara

 

Il 16 giugno del 1982, anno del centenario della nascita di Joyce, una radio di Dublino trasmise per trentasei ore e senza interruzioni, una lettura integrale dell’Ulisse. “Per strada si potevano udire quelle parole immortali provenire dalle finestre aperte, dalle autoradio e dalle radioline dei passanti e al ritorno in albergo, dopo una conferenza o un seminario, se accendevi la radio quella voce era ancora lì a tenerti compagnia…”. C’è tutta la passione per la grande letteratura nel ricordo dell’episodio raccontato da David Lodge ne Il mestiere di scrivere (Fazi editore), saggio di affascinante lettura, spiritoso e ricco di osservazioni sottili. Lodge – autore inglese di romanzi umoristici noti anche alo pubblico italiano (E’ crollato il British Museum, Il professore va al Congresso) – se la prende con la pretesa di insegnare a scrivere proclamata dai corsi di scrittura creativa, tenuti nelle università angloamericane. Si può certamente, sostiene Lodge, aiutare l’aspirante scrittore ad acquistare una tecnica descrittiva, a ottenere una maggiore padronanza lessicale, a comprendere gli aspetti stilistici che presentano i diversi generi narrativi (romanzo, sceneggiatura, testo teatrale, televisione), ma non a comporre un vero romanzo, vale a dire un romanzo duraturo nel tempo. Il processo di rielaborazione della propria vita che lo scrittore trasfonde nei suoi romanzi – sia pure attraverso la fantasia e l’immaginazione – sta alla base dell’opera letteraria e Lodge trae spunto dalle vicende umane di Graham Greene, D.H. Lawrence, Joyce, Anthony Burgess e Nabokov, per sottolineare questa simbiosi fra esistenza e creatività. Le biografie sono divenute del resto un genere letterario a parte perché al giorno d’oggi pongono l’accento sulla vita sessuale del protagonista. “Nei secoli scorsi era il romanzo il genere letterario a cui i lettori si rivolgevano per la sessualità. La biografia si limitava alla vita pubblica del protagonista, o per quanto potesse spingersi nel privato, non apriva mai la porta della camera da letto”. Nell’esaminare la biografia di Graham Greene di Norman Sherry e quella “cattiva” di Michael Shelden, ma non meno pregevole, l’autore, che non aveva conosciuto lo scrittore cattolico, conferma la veridicità degli aspetti caratteriali e umoriali di Greene, un uomo che amava nascondere la propria esistenza (la sua autobiografia, dove prevale la tendenza a mascherarsi, è la prova migliore), che possedeva ili tipico modo di fare della spia (“professione” esercitata durante la guerra) che viveva la propria religiosità come un continuo conflitto, una tensione in cui il peccato rivestiva una parte predominante. Le stravaganze della vita di Greene, della vita di Greene, le relazioni con donne sposate, con prostitute, i tradimenti, l’ambiguità dimostrata nel rapporto con l’amico Tim Philby, anche dopo la fuga a Mosca in seguito alla scoperta del doppio gioco a favore dei sovietici, non impediscono a Lodge di considerarlo uno dei grandi scrittori moderni.

 

IL VENERDÌ DI REPUBBLICA
– 08/01/1998

Scrittura creativa

Una per una, le regole di Lodge

 

David Lodge, che conosciamo per i suoi spiritosi racconti, ha messo insieme un libro nel quale offre alcuni consigli e strumenti sull’arte della scrittura. Lo fa a modo suo, in maniera molto empirica, sia quando analizza un testo sia quando cerca di trarre da quell’analisi una regola. I corsi di scrittura creativa, nati in Europa sul modello americano, si sono recentemente moltiplicati. Il pregio di Lodge è che non tenta nemmeno di affrontare le teorie estetiche ma va dritto al sodo essendo convinto che: “sia sempre più difficile trovare legami significativi tra la pratica della scrittura e una critica accademica dominata da problemi di teoria”.

 

Antonio D’Orrico, SETTE – CORRIERE DELLA SERA
– 07/02/1998

Scuole di scrittura

Il Premio Strega? Diamolo a Sofri

 

L’editoria (come i telegiornali e, forse, come la vita) procede per tormentoni. Adesso sono di moda tutti questi manuali su come vivere in armonia con se stessi che vanno sotto l’etichetta New Age. Numerosissimi, anche, i thriller a sfondo sadico con protagonista l’assassino seriale. Abbondano poi i gialli che hanno per protagonisti avvocati. Sono tutte ricadute della fine della guerra fredda, della crisi del marxismo. Non c’è più il Nemico ( da qui la ricerca dell’armonia solitaria), e se c’è è un pazzo maniaco. Non c’è più una Causa ideale e allora via con le cause pratiche e con la mitizzazione del legale… Conseguenza della caduta del Muro è secondo me anche il tormentone delle scuole e dei manuali di scrittura. Sotto c’è il solito discorso: se non posso cambiare il mondo allora me lo scrivo; un mondo mio dove tutto, finalmente, fila secondo i miei voleri. Le scuole di scrittura sono istituzioni assolutamente inutili spesso gestite da persone che non sanno scrivere. I manuali di scrittura, invece, sono in alcuni casi libri in cui narratori di comprovata capacità fanno il punto sul loro mestiere. Tra gli ultimi pubblicati si distingue (e non poteva essere diversamente vista la statura dell’autore) Lettere a un aspirante romanziere di don Mario Vargas Llosa (Dio lo benedica per gli stupendi romanzi che ci ha regalato). Il libro di Vargas Llosa è un testo che potremmo definire di filosofia del romanzo. Per lo scrittore peruviano si può insegnare a leggere e a scrivere bene , cioè in modo corretto, ma naturalmente nessuno può consegnarti la formula della grande narrativa. Anche perché come ricorda Vargas Llosa citando Azorìn: Scrive prosa, il letterato, prosa corretta, prosa rigorosa, e non vale nulla quella prosa senza le spezie della grazia, dell’intenzione felice, dell’ironia, dello sdegno o del sarcasmo. Sono questi i sali della letteratura e se non ce l’hai nessuno può darteli. O, forse, sì, però allora li pagherai molto cari. A questo proposito David Lodge, autore di Il mestiere di scrivere ricorda che James Joyce (il padre della patria letteraria novecentesca) pregava la moglie Nora Barcle di andare a letto «con altri uomini per avere qualcosa di cui scrivere». E Giampaolo Rugarli, nel riedito Manuale del romanziere raccomanda, come esercizio agli aspiranti, la lettura di Domenico Rea per capire che la «creatività» non si trasmette, che è dono elargito non so se da Dio o dal Demonio. Ma una buona scuola di scrittura in Italia c’è, precisamente a Pisa. La frequenta da tanto tempo Adriano Sofri. Lui sapeva già scrivere ( aveva i sali, e anche gli zuccheri). Ma ora, nell’allenamento quotidiano, si è superato. Enzo Siciliano tirati fuori da questa rancorosa caccia allo Strega, giralo a Sofri questo benedetto Premio.

Il mestiere di scrivere - RASSEGNA STAMPA

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