Hans Christian Andersen
Il violinista
A cura di Lucio Angelini
Il romanzo narra la grande storia d’amore tra due bambini che – separati nell’infanzia – continueranno a cercarsi per il resto della loro vita. Andersen definì Il violinista, pubblicato nel 1837, un fiore spirituale sbocciato dalla terribile lotta che si svolgeva nel suo animo per la durezza delle circostanze contro cui la sua natura poetica era costretta a misurarsi. Il romanzo colpì in modo particolare anche il filosofo Sören Kierkegaard.
– 01/06/2005
Il violinista
Andersen è An-dersen.
Quindi non c’è trippa per tutti coloro che credono di trovarsi di fronte ad un lavoro che possa stravolgere la concezione che il mondo ha del maestro di favole come La piccola fiammiferaia o La sirenetta.
Questo per dire che Il violinista, primo ro-manzo dello scrittore danese ad essere pubblicato in Italia e che colpì il conterraneo Kierkegaard, è una bella favola, un favolone per la precisione, che dimostra come Andersen riesca a giocare con la fantasia anche sulla lunga distanza.
Una storia che festeggia il bicentenario dalla nascita di Andersen destinata ai bimbi di tutte le età e che, di sicuro, non deluderà per la sua raffinata semplicità..
– 01/07/2005
Il violinista
Andersen è Andersen.
Quindi non c’è trippa per tutti coloro che credono di trovarsi di fronte ad un lavoro che possa stravolgere la concezione che il mondo ha del maestro di favole come “La piccola fiammiferaia” o “La sirenetta”.
Questo per dire che “Il violinista” è una bella favola, un favolone per la precisione, ed è un testo che dimostra come Andersen riesca a giocare con la fantasia anche sulla lunga distanza.
Un romanzo che è destinato ai bambini di tutte le età e che, di sicuro, non deluderà per la sua raffinata semplicità.
– 07/04/2005
“Il violinista”, romanzo di Andersen scoperto da Kíerkegaard
HANS Christian Andersen nasce il 2 aprile 1805 a Odense, l’antica città dell’isola di Fyn, in Danimarca. Figlio di un ciabattino e una lavandaia, rimane presto orfano di padre e nel 1819 si trasferisce a Copenaghen dove studia danza e canto. Si laureerà in filosofia.
Dopo un lungo viaggio in Italia, Andersen, capisce che la sua vocazione è la scrittura.
II grande favolista che appassionò generazioni di bambini avrebbe avuto il 2 aprile 2005 duecento anni ed in occasione del bicentenario della sua nascita la Fazi Editore ha deciso di riproporre il romanzo “Il violinista”, pubblicato per la prima volta nel 1837 ma ben presto di-menticato.
Poco nota e la carriera di romanziere di Andersen, probabilmente oscurata dal notevole successo che ebbero le sue favole, Tra le più note ricordiamo: “La piccola fiammiferaia”, “II soldatino di piombo”, “La sirenetta”, “Il brutto anatroccolo” ed altre.
La trama del racconto rispecchia l’animo tormentato del suo autore. La storia vede protagoni-sti due bambini, due innamorati costretti alla lontananza ma vicini nella mente e nello spirito.
Christian (il protagonista), si consolerà con la passione per il violino ma non smetterà mai di cercare la sua Noemi.
II romanzo colpi il filosofo Soren Kierkegaard che proprio all’opera “Kum en Spillemand” (“II violinista”) dedicò il suo primo scritto.
I due artisti, che si vedevano accomunati da una profonda solitudine, attraverso la fantasia lottavano contro le loro angosce esistenziali.
Nel “Il violinista” i personaggi raccontati da Andersen assumono quei tratti autobiografici pro-pri delle sue favole. Sfuggenti, vengono, proiettati in un mondo a loro estraneo. La lontananza in realtà funge da ancoraggio; sottoposti a situazioni precarie sono destinati a rincontrarsi, il cordone ombelicale non si spezza mai.
Il tema delle relazioni eterno é una costante negli scritti dell’autore; i personaggi si portano dentro una lacerante ossessione del passato.
In risalto anche la visione che Andersen aveva nei confronti della vita: “II genio e uovo che ha bisogno di calore, ha bisogno di essere fecondalo dalla fortuna, altrimenti resta un guscio sterile”. Tra le righe una visione esistenziale che richiama in causa la necessità di essere baciati dal-la fortuna. II talento da solo non basta; si rimarrà per sempre un “genio incompreso” se la fortuna non busserà alla porta.
Con un linguaggio semplice e scorrevole, che richiama il genere favolistico, Andersen riesce ad adattare i suoi insegnamenti anche agli adulti.
“II violinista” é un romanzo che racchiude l’intera carriera dell’artista. La struttura é ben salda, lineare ma al contempo tormen-tata. Si presenta attraverso i per-sonaggi l’angoscia lacerante di un’infanzia infelice, segnata da un distacco prematuro (la morte del padre) che si porterà in eterno.
Le sue creazioni sono sempre segnate da un dolore; il tema dell’abbandono e dell’impossibilità dell’oblio si rintracciano in ogni parola. Rimane solo una conso-lazione che permette di andare avanti; per Andersen fu la scrittura che gli permise di soffocare quella tremenda solitudine che “riempiva” le sue giornate.
– 12/04/2005
Per la prima volta suona “Il violinista” di Andersen
UN CLASSICO può ancora stupire? In realtà un classico può stupire sempre. La sua vittoria sul tempo non conosce usura. Né tedio. Hans Christian Andersen ne è la prova. La Casa Editrice Fazi ha pubblicato un suo romanzo inedito, “ Il violinista” (pagine 350, euro 15, traduzione di Lucio Anselmini), che insieme a “Peer fortunato”, altro inedito, pubblicato da Iperborea, ha contribuito in Italia alle celebrazioni per il bicentenario dalla nascita di questo straordinario ed eclettico autore.
Nato nel 1805 a Odense e venuto a mancare nel 1875 a Copenaghen, resta una delle personalità più impresse nella memoria di intere generazioni di bambini che si sono immedesimati e commossi con “Le avventure della Sirenetta”, “Il brutto anatroccolo”, “La piccola fiammiferaia”, “Il soldatino di piombo”. Solo per citare alcune tra le fiabe più note.
Ma la sua esistenza, segnata dalla povertà e dal disagio per l’insofferenza nei confronti di un mondo ostile, conobbe il conforto anche della poesia e della narrativa cui dedicò opere inossidabili. Ancora oggi, leggendo “Il violinista” (pubblicato la prima volta nel 1837), conosciamo, nella storia dei due bambini separati dall’infanzia e intenti nel ritrovarsi, il carattere nobile, la mente acuta e l’affascinante temperamento di un Andersen tormentato da ragioni interiori che egli stesso riuscì a esorcizzare soltanto con il dominio di una letteratura alta.
Ma un aspetto da sottolineare è senza dubbio l’incidenza che ebbe la città di Roma sulla carriera dello scrittore. Degli innumerevoli soggiorni nella capitale, il primo, e il più lungo, quello nel 1833-34, è testimoniato dal carteggio con una sua amica, Henriette Wulff. Avvicinatosi alla comunità danese, allora molto attiva a Roma, Andersen frequentò il pittore Albert Küchler che ne immortalò la memoria in un ritratto che ora si trova al museo Odense.. e dalla Danimarca, la Hans Christian Andersen foundation ha organizzato più di cinquecento eventi per il 2005 anno anderseniano, che vantano personalità della cultura, dello sport e dello spettacolo come ambasciatori; Pelè in Brasile, Isabel Allende in Cile, Suzanne Mubarak in Inghilterra, Roger Moore in Inghilterra, Susan Sarandon e Herry Bellafonte negli Stati Uniti, Vincenzo Cerami, Maurizio Costanzo, Giancarlo Fisichellae Paolo Maldini in Italia. Qui, il calendario è davvero ricco di appuntamenti. Mostre, spettacoli teatrali, film, conferenze, seminari e concerti vedranno protagoniste le opere dello scrittore danese a Chiuduno (BG), Bologna, Imola, Firenze, Catania, Napoli, Milano, Torino, Siena, Parma, Venezia. Da non perdere inoltre la ristampa della raccolta “Fiabe e storie” (Donzelli), la nuova traduzione e versione integrale del “Bazar di un poeta” (Giunti), la prima biografia illustrata per ragazzi. “La favolosa vita di H. C. Andersen” (Il Castoro) e il saggio di Carola Scanalino “Andersen a teatro in Italia” (Abramo Editore). Naturalmente è a disposizione per ulteriori informazioni il sito www.hca2005.dk.
Insomma, era un uomo alto 1 metro e 85, portava dal 47 al 50 di scarpe, amava la birra, il vino e il Porto e non sapeva guidare la bicicletta, ma a noi piace ricordarlo nei nostri più appassionati viaggi tra le sue storie, nella nostra capacità di amare l’evasione che, unica, ci aiuta a sopportare un presente, spesso, molto scomodo.
– 10/04/2005
Andersen: il maestro delle favole
Ricorre in questi giorni il bicentenario della nascita di Hans Christian Andersen. Lo scrittore danese nacque nel 1805 a Olandese, cittadina provinciale sull’isola di Flonia, dove trascorse l’infanzia e la prima adolescenza. Di umile estrazione, orfano a undici anni, ebbe la provvidenziale occasione di studiare a Copenaghen grazie alla generosità di alcuni benefattori. Nel 1834 pubblicò il suo primo romanzo, “L’improvvisatore”, riscosse consensi e notorietà e fu a suo agio nella società letteraria del suo tempo. Andersen è il maestro delle favole senza lieto fine, storie tristi, tremende a volte, dai finali inquietanti in cui la speranza della felicità lascia il posto all’amarezza dell’esistenza, alle delusioni della vita. Cresciuto nel clima culturale romantico, educato all’arte ottocentesca della narrazione, non si limitò a innovare il repertorio tradizionale della favola nordica, ma sui canoni codificati innestò suggestioni e sentimenti autobiografici, circostanze quotidiane, triviali. In Danimarca e in tutto il mondo il bicentenario viene celebrato con pubblicazioni, eventi e con ogni sorta di gadget: la Sirenetta, il Brutto Anatroccolo e il Soldatino di Stagno sembrano fatti apposta per il merchandising. In Italia, Iperborea pubblica l’inedito “Peer il fortunato”, Fazi ha dato alle stampe il romanzo “Il violinista”, mentre per giugno è atteso “Il bazar di un poeta”, quaderno di viaggio in uscita per i tipi della Giunti. Il tributo non si esaurisce in libreria: in occasione della fiera del libro per ragazzi di Bologna (13-16 aprile), apre i battenti la mostra “Illustrare Andersen”: illustratori di fama mondiale e giovani emergenti hanno reinterpretato, in chiave tradizionale o attualizzante, i personaggi senza tempo che hanno segnato l’infanzia di innumerevoli generazioni.
– 09/04/2005
Sognava di scrivere romanzi per adulti malinconici e amari
Nell’opera teatrale I serpenti della pioggia Enquist gli fa dire: “Mi conoscono nel mondo per qualcosa che non ha valore”, mentre Kierkegaard dichiarò di lui che non sapeva nemmeno scrivere favole per bambini. Stiamo parlando di Hans Christian Andersen, della cui qualità di autore di fiabe oggi non si dubita (le sue Fiabe e storie sono ora riproposte in una speciale edizione integrale a cura di Bruno Berni da Donzelli, pp. 1032, e54 ndr). Anzi, se ne è talmente certi, da aver messo in ombra il versante di narratore per adulti, su cui invece lo scrittore danese aveva fatto qualche conto. Gli sarebbe piaciuto essere un grande romanziere e un uomo di teatro. Non andò così, e le tracce di quella sua ambizione oggi sono più deboli, ma ci sono e valgono la pena di un’occhiata attenta: per esempio è un divertente osservatore nel Bazar di un poeta, resoconto di un viaggio a Sud – dalla Germania all’Italia fino alla Grecia e alla Turchia – scritto nel 1842, sulla scia di grandi predecessori, primo tra tutti Goethe, che lo aveva affascinato con il suo Viaggio in Italia (il diario italiano esce ora da Robin, pp. 186, e12, ed è annunciato in versione integrale da Giunti, in libreria a giugno, pp. 480, e7,90 ndr).
Fu questo, per Andersen, il secondo di tanti vagabondaggi, e se lo lasciò meno entusiasta della prima volta, lo rese però più riflessivo, ora che era svanito “il profumo della novità”. Ma la sua espressione più compiuta è Il violinista (Fazi, trad. di Lucio Angelini, pp. 350, e15), romanzo in cui la fiaba del Brutto anatroccolo prende un amaro risvolto e ci dice che non basta l’uovo a fare il cigno, se nessuno lo cova con amore. Così il valente Christian, protagonista del Violinista, rimane nell’anonimato di suonatore di paese, lontano dalla scena maggiore, illuso e deluso di un futuro che non si realizza mai.
Scritta nel 1837, quest’opera rappresenta una lettura crepuscolare di un mondo in cui anche i vincitori assaggiano l’amaro delle cose, magari a un passo dalla felicità e respinti però nella zona d’ombra. Ne è il paradigma, in questo senso, la bella Noemi, che verso la vita è imperativa e autoritaria, affronta avventure e disavventure, in netto contrappunto con il debole afflato vitale del violinista, ma è in altro modo incompiuta: due emarginati dalla felicità, il povero cristiano e l’ebrea ricca, due volti diversi della sconfitta. Andersen qui attribuisce tutta l’energia alla donna, da cui traspaiono nel bene e nel male la forza e la luce aggressiva del Mediterraneo che lei porta nei suoi caratteri genetici e nella fisionomia: un omaggio al gentil sesso e insieme anche lo svelarsi della soggezione che lo scrittore sembra aver provato nei riguardi dell’universo femminile, fino al larvato sospetto di una latenza omosessuale. Non è un caso che Noemi risulti più inquietante e seduttiva quando la sorte le impone un travestimento maschile.
C’è un reticolo sottile intorno alla qualità di romanziere di Andersen, la vena di un gioco semiserio in apparenza, quello che chiameremmo una specie di basso profilo, che diventa stilisticamente un modo disinvolto e coinvolto del narrare: le riflessioni più profonde arrivano sommesse e infilate di sbieco in un quadro giocato su tinte acquarello e, diciamolo pure, fiabesche: la festa in casa di Noemi, nello sfarzoso palazzo di Copenaghen, vista e vissuta dalla parte stupefatta, ancora prima che umiliata, del povero violinista, o la magica avventura sui ghiacci dell’Oresund. Insomma, la fiaba è lì, latente nel realismo dei suoi romanzi, ma è una fiaba cruda, esemplificata anche nella ferocia del mondo animale che l’autore osserva con amore e con dolore, ma in cui si combatte senza tregua per la vita: prima di intraprendere la migrazione a Sud, le cicogne eliminano a colpi di becco i soggetti troppo deboli per affrontare il viaggio.
È, questo episodio che chiude il romanzo, la chiave di lettura di un mondo senza reali vincitori. Tra le righe passa un giudizio sconfortante sull’umanità insieme all’arida consapevolezza dell’effimero; la fama di oggi, si domanda il violinista senza fama, cosa sarebbe mai nel lungo trascorrere del tempo? Il dantesco battere di ciglia commisurato con l’eternità. Ma che poca consolazione in questo! che malinconia grigia sulla tomba dell’artista ignorato dal mondo, accanto a cui passa, ignara a sua volta, la bella Noemi! Come la fine del soldatino di stagno, sciolto nel fuoco e buttato via dalla donna di servizio insieme ai lustrini anneriti della ballerina. E così, tra fiaba e realtà non fa poi una gran differenza.
– 31/03/2005
Quei magici racconti sempre sul filo dell’autobiografia
E’ da considerarsi un preziosissimo inedito (data la pessima traduzione che il libro ebbe nella sua unica uscita nel 1879) quello dato alle stampe dall’editore Fazi grazie alla determinazione del traduttore e curatore Lucio Angelini, che ha voluto ostinatamente riportarlo in Italia. Solo un violinista (pp. 363, euro 16,50), è forse quello che tra i sei romanzi scritti da Andersen (o sette se si considera tale Il viaggio), più rispecchia la sua visione della vita e dell’arte. Non a caso il suo protagonista si chiama Christian, Non a caso è nato in una famiglia umile e si dibatte per tutta la sua esistenza tra avversi destini e amori non corrisposti (lo scrittore danese non ebbe mai fortuna né con gli uomini né con le donne di cui si innamorò perdutamente). Non a caso egli sarà destinato a restare, come tanti altri artisti baciati sì dal genio ma non dalla mano fatata delle favorevoli circostanze – il romanzo fu scritto nel 1836 e quindi ben prima che lo scrittore consolidasse il suo successo e la sua fama ? nient’altro che “un violinista ambulante”. Fu poi intorno a questo romanzo che dopo la sua pubblicazione si scatenò la nota querelle tra Andersen e il suo coetaneo Soren Kierkegaard. Il filosofo, il quale prima promise ad Andersen una più accurata e più positiva recensione di quelle ottenute sino ad allora, finì per cambiare idea e per pubblicare un vero e proprio libello contro di lui, intitolato “Dalle carte di uno ancora in vita” (oggi disponibile nelle edizioni Morcelliana, pp. 144, euro 8,26). Andersen, scrisse Kierkegaard, “scocciato e scontento com’è del mondo reale, cerca di avere nell’avvilimento delle sue proprie creature poetiche quasi un risarcimento per il suo”. Giudizio al vetriolo che poi lo scrittore di Odense ricambiò scrivendo la commedia “En Comedie i det Gronne” (1840), nel quale compare un filosofo terribilmente confuso e impacciato. La bellezza di questo romanzo, per quanto alcune critiche non fossero forse del tutto fuori luogo, come mette in risalto lo stesso Lucio Angelini, va colta soprattutto all’interno delle contraintes, delle regole-costrizioni “d’ingaggio”, proprie del periodo del Romantisme. Alle quali le controverse vicende di Christian e Noemi ? stupende le pagine dedicate al loro amore bambino – così come gli squisiti affreschi sul popolo degli tzigani o la drammatica descrizione di quello che realmente fu l’ultimo pogrom contro gli ebrei di Danimarca non potevano certamente sottrarsi.