Antonio Monda
La magnifica illusione
Un viaggio nel cinema americano
Un percorso esaustivo e personale nel cinema USA di oggi e di ieri. Un’imperdibile opera di riferimento per tutti gli amanti della settima arte. A quattro anni dalla prima edizione, torna in libreria, aggiornato e ampliato – il viaggio nel cinema statunitense di Antonio Monda. Centrato sugli ultimi anni ma capace di fulminee incursioni nel passato, questo libro ha una sostanziale ambizione: dimostrare come sia possibile rimanere “autori” e mantenere integra la propria visione, pur in un’industria ineludibilmente regolata dal profitto. La magnifica illusione racconta la nuova appassionante stagione del cinema dì animazione e documentaristico, l’affermazione di film controversi come La Passione di Cristo e Fahrenheit 9/11, le grandi conferme (e delusioni) dei registi emersi negli anni Settanta, ma soprattutto la nascita di un’altra generazione, quella degli autori dei Novanta (Tarantino, Payne, Anderson), che ha già prodotto opere di inedito respiro e inquietante perspicacia.
In questo viaggio personale e volutamente non obiettivo, Monda ha l’ardire di mettersi contro il mainstream critico, esaltando film a suo parere rivoluzionari come A.I. di Steven Spielberg e condannando senza appello operazioni dalla patina autoriale come Era mio padre di Sam Mendes. Ma l’appassionata parzialità è uno dei punti di forza della raccolta, che per ampiezza e completezza rappresenta anche un importante testo di consultazione: una ventata d’aria fresca in un panorama critico italiano ancora segnato da scarso interesse (quando non da una franca ignoranza) per i meccanismi produttivi e di mercato del cinema USA. L’autore conclude il suo itinerario con una ricca serie di interviste, in gran parte inedite, con alcuni dei protagonisti del cinema mondiale (Allen, Altman, Anderson, Cimino, Forman, Lee, Lynch, Mann e molti altri): intervenendo sulla propria opera e sui temi toccati nel libro, ci offrono spunti di riflessione sempre originali, spesso autenticamente imprescindibili.
«Lo invidio perché ha avuto il coraggio di andar dove si svolge l’azione, nel cuore dell’impero. Il valore specifico di questo libro è il fatto di essere di prima mano, di far sentire il polso dell’America».
Tullio Kezich
«Partecipe, coinvolgente, viscerale. Un libro da leggere».
«la Repubblica»
«Queste pagine nascono da una passione viscerale che si nutre di innamoramenti e slanci di disprezzo, di curiosità intellettuale e anche di onesti ripensamenti».
«il Giornale»
– 18/03/2003
Il cinema americano offre ancora sogni
Il cinema americano è ancora la fabbrica dei sogni? Per dirla con Valerio Caprara, critico cinematografico, docente di Storia del cinema all’Istituto universitario “L’Orientale” di Napoli, già direttore artistico degli “Incontri internazionali del cinema” di Sorrento, lo è ancora. Oggi, 19 marzo, alla Feltrinelli, Valerio Caprara e il soprintendente del Teatro San Carlo Gioacchino Lanza Tomasi presenteranno, alle ore 18,30, il volume di Antonio Monda, “La magnifica illusione. Viaggio nel cinema americano” (Fazi editore).
Domanda. Un volume che sposa la sua passione per il cinema americano…
Risposta. Sì, è vero, si tratta di una delle poche volte nelle quali il mio compito è centrato: sono un critico, un americanista e stimo Antonio Monda. Credo che il suo libro, nell’ambito della saggistica, sia importante; si tratta di un volume completo, con una pregnanza testuale, ben fatto, che farò adottare agli studenti. sono in sintonia con l’autore: non basta parlare/criticare il cinema americano, il più grande, pervasivo, amato/odiato in tutto il mondo. La storia delle storie della cinematografia non si può far prescindendo dal cinema americano. Molti suoi oppositori e spregiatori cadono, perché non lo conoscono. Si continua a ripeter una frase priva di senso, “americanata”, per connotare un film privo di spessore; è una banalizzazione, come quando si etichetta il cinema italiano con “spaghetti”.
D. Quale il contenuto del libro?
R. Antonio Monda offre al pubblico anche una strada narrativa per raccontare l’arte americana per eccellenza: il cinema, il romanzo di tutti coloro che, come il grande Sergio Leone, hanno sognato un’altra America. Pur non condividendo il giudizio dell’autore sui film, ne apprezzo la capacità di porre forti tensioni e stimolare la critica, il confronto. Troppo spesso i critici sono “allestitori” di bei menu, non indagano, essendo loro il verbo. Come Monda, ritengo che il protagonista sia il cinema. Il realismo vero è la fantasia: senza il cinema americano saremmo molto più grigi.
D. Esce in questi giorni anche il suo volume sul cinema americano…
R. E’ bello che due testi sul cinema americano escano assieme. Monda ha raccolto prevalentemente articoli di terza pagina ed altri pubblicati da periodici, con tesi più discorsive delle mie. L’autore è un cineasta, è docente all’Università di New York, scrittore, ma non è un critico. Io ho recuperato e pubblicato, in “Sentieri Selvaggi. Il cinema americano dal 1979 al 1999”, le mie recensioni nelle quali emerge il dibattito culturale di quei 20 anni.
D. Il cinema americano è realmente cambiato dopo l’attentato alle Torri Gemelle?
R. Subito dopo l’attacco alle Torri tutti gli autori si sono interrogati: sono nati prodotti di patriottismo d’occasione. Ma il cinema americano è un fiume in piena, ha mille rivoli che scorrono ovunque, e già oggi, come è accaduto per il Vietnam, la Corea, Cuba, si vedono film costruiti su posizioni originali. Passerà del tempo prima di riuscire a commentare i sentimenti, ma il cinema americano ci riuscirà: importante è che non siano gli europei a raccontare l’America, a meno che non si tratti di Sergio Leone.
D. Lo Stato italiano ha perso nel cinema oltre 400 milioni di euro dal ’94 ad oggi…
R. Il problema dei finanziamenti pubblici è un vecchio discorso: si finanziano film raccomandati da politici, in genere di sinistra, film cervellotici, deliri. Per fortuna l’opinione pubblica, i critici, le persone illuminate lo hanno capito e il meccanismo va migliorando; ci sono film che meritano il sostegno, ma in generale è sbagliato il sistema del parere affidato al gusto di una commissione. Il finanziamento dovrebbe essere dato sulla base di progetti, in conto produzione.
D. Come è visto il cinema italiano dalla cinematografia americana?
R. Il problema rimane la lingua: gli americani non guardano i film con i sottotitoli, non usano il doppiaggio e i nostri autori/attori raramente parlano bene inglese. Abbiamo bravi sceneggiatori, belle storie, e sarebbe peccato far credere di avere solo alcuni registi. Dobbiamo promuovere film interessanti che rifiutano a priori il ghetto e comportarci come se volessimo conquistare il mondo.
D. Quali registi napoletani apprezza?
R. Mi piace molto Corsicato – lo sto aspettando. Trovo molto bravi Vincenzo Terracciano, con “Ribelli per caso”, Carlo Luglio con il vitale, imperfetto “Capo Nord”. Mi piacciono gli irregolari, i fantastici, i narratori, no chi si cimenta con la pseudo avanguardia.
D. Quale film dovremmo assolutamente non perdere?
R. “Prova a prendermi” e l’utlimo film del regista Spike Lee.
– 18/03/2003
Il viaggio nel cinema americano di Antonio Monda
Nella grande industria del cinema hollywoodiano c’è ancora la possibilità, per gli autori di qualità, di fare dell’arte. “La magnifica illusione. Un viaggio nel cinema americano” di Antonio Monda (Fazi Editore) racconta appunto come è possibile resistere alle lusinghe commerciali e ai ricatti di mercato di Los Angeles e salvare il talento. Lo fa attraverso una serie di saggi e di 15 “incontri ravvicinati”, molti dei quali inediti, con protagonisti degli ultimi 10 anni come Wes Anderson, Woody Allen, Michael Cimino, Milos Forman, Spike Lee, David Lynch, Michael Mann, Martin Scorsese.
Presentando il volume alla “Casa delle letterature” di Roma il critico Tullio Kezich ha sottolineato che “il valore specifico di questo libro è il fatto di essere di prima mano, di far sentire il polso dell’America e nel momento nevralgico in cui prova il grande sgomento di essere stata vulnerata per la prima volta”.
Monda, infatti, ha diretto numerosi documentari e spot pubblicitari e il lungometraggio “Dicembre” e nel ’94 si è trasferito a New York. Lì prosegue la sua attività di critico cinematografico e organizza importanti retrospettive per il MoMa, il Gughenheim, il Lincoln Center e l’Academy. Ha anche una cattedra di regia alla New York University e il suo su “Autori nell’industria” studia quei cineasti che hanno il loro modello in Steven Spielberg, un regista per il quale Monda confessa un’enorme ammirazione.
“Lo invidio – ha detto Kezich dell’autore – perché ha avuto il coraggio di andar dove si svolge l’azione, nel cuore dell’impero, nell’America dove nasce il cinema, dove vivono i maggiori protagonisti di questo mondo”.
Dal suo osservatorio privilegiato Monda ha seguito l’evoluzione della generazione degli anni ’70, con le sue conferme e le sue delusioni, ma soprttuto la nascita dei nuovi autori degli anni ’90, da Tarantino a Payne ad Anderson. “questo non è un libro oggettivo – avverte fin dall’inizio -. Il quadro che offrirò del cinema statunitense è parziale e partigiano”.
E infatti è subito chiaro che queste pagine nascono da una passione viscerale che si nutre di innamoramenti e slanci di disprezzo, di curiosità intellettuale e anche di onesti ripensamenti. Monda scrive per “partito preso”, con una soggettività dichiarata che è anche coraggio di andare controcorrente, di esaltare film come “A.I.” di Spielberg e condannarne altri come “Era mio padre” di Sam Mendes.
– 16/04/2004
Cinema come arte, cinema come industria
“È possibile essere un artista lavorando all’interno di un’industria regolata dalla logica del profitto?”. È questa la domanda che sottende il corposo libro di Antonio Monda, La magnifica illusione. Un viaggio nel cinema americano, appena pubblicato da un editore come Fazi che di cinema non si è mai quasi occupato (608 pagine, 24,50 euro). È una domanda curiosa e che in qualche modo riporta alla luce la vecchia affermazione chiariniana de “il film è un’arte, il cinema un’industria”. Una domanda a cui l’autore dà una risposta affremativa, analizzando sia la produzione dei registi nati con la New Hollywood degli anni 70 (Scorsese, Spielberg, Coppola) che quella della generazione più recente, capace di mostrare talenti sicuri (e Monda punta, giustamente, su Paul Thomas Anderson). Il volume raccoglie saggi e corrispondenze americane scritte dall’autore nel corso di un decennio per La Rivista dei Libri e per il quotidiano La Repubblica. Tra ammirazioni, perplessità, stroncature, rivalutazioni, Monda, dal suo osservatorio newyorkese, ripercorre l’ultima decade del cinema statunitense, entando anche nei meccanismi produttivi e di mercato, evidenziandone contraddizioni e vitalità. In chiusura, spicca il capitolo delle interviste, incontri in gran parte inediti con nomi noti e giovani alla ribalta, da Arthur Penn a Sofia Coppola – della scena americana.
– 02/02/2004
Hollywood, una magnifica illusione?
Un viaggio personale nell’ultimo decennio del cinema americano. Dialogo con Antonio Monda.
Ogni storia, anche una novelletta da quattro soldi ha qualche cosa che appartiene all’universo. Ogni storia, per quanto breve, comincia con la creazione e termina col giudizio finale. Così scriveva Chesterton in Everlasting Man e lo stesso orizzonte di senso si trova nel libro La magnifica illusione, un viaggio nel cinema americano (Fazi Editore) di Antonio Monda.
Monda in America ci vive dal 1994 e il suo sguardo è quello di un osservatore diretto, con una passione autentica e divorante per il cinema ma con l’innocenza di chi mette in conto l’eterno nel bilancio della propria vita.
La sua ricerca gli fa scoprire valori umani autentici e universali anche negli autori più impensati e valorizzare particolari originali su film che, forse, avevamo valutato superficialmente.
Il suo, naturalmente, non è uno sguardo disincantato ed idilliaco e riesce a stroncare film osannati dalla critica.
Un esempio per tutti: Matrix. Il protagonista sa che nel suo caso la missione non passa attraverso il dolore e la crocifissione, ma si conquista grazie ad una serie di esercitazioni fisiche che preludono a spettacolari combattimenti.
Monda affronta il cinema statunitense, sottraendosi sia ai facili giudizi sull’industria degli studios hollywoodiani sia all’enfasi della bontà dei film indipendenti.
Anche quando è mediocre – scrive -, il cinema americano riflette l’energia giovanile della cultura d’origine, e nei casi in cui racconta la mediocrità è sempre evocativo.
Io sono convinto che sia la mancanza di intellettualismo dovuta a questa gioventù a consentire più facilmente che altrove dei risultati artistici.
Non incontravo Antonio Monda dal 1998 quando nella sua casa di New York, animata da tre bellissimi bambini, parlavamo di film, di progetti cinematografici.
Il dialogo è ripreso con l’occasione della presentazione del suo libro a Roma.
Hai un punto di vista privilegiato per osservare il cinema statunitense. Insegni infatti sceneggiatura e regia alla prestigiosa New York University, la stessa dove Martin Scorsese imparò l’arte filmica. Secondo te, dove sta andando il cinema americano oggi?
Il primo dato importante è che oggi gli autori più interessanti non sono più nel cinema indipendente ma lavorano all’interno dell’industria.
Si tratta di un gruppo di registi diversi per spessore, personalità, ambizioni: Paul Thomas Anderson, James Gray, Wes Anderson, Sofia Coppola, Spike Konze, David O. Russel, Todd Solondz, Richard Linklater, Neil Labute, Kenneth Lonergan, Terry Zwigoff, oltre ovviamente a Quentin Tarantino.
Tutti autori di film che trovano i loro finanziamenti dentro gli studios, cosa che dieci anni fa non si pensava, non si diceva e sembrava addirittura scandalosa.
Il gruppo potrebbe avere sul cinema statunitense l’impatto che ebbe la generazione che conquistò il cinema in coincidenza con il crollo dello studio system: Coppola, Cimino, Scorsese, Spielberg, De Palma.
Un secondo dato: il cinema americano offre spes- so una spiritualità nascosta, sulla quale non si è ancora riflettuto a sufficienza. Pensa agli ultimi film di Spielberg.
Nell’epilogo di Salvate il soldato Ryan, un veterano della seconda guerra mondiale si tormenta sul senso della sua intera esistenza.
La richiesta accorata del soldato (Dimmi che sono un brav’uomo) non è altro che la risposta al monito di san Giovanni della Croce: Alla sera della vita saremo giudicati solo sull’amore.
Hai una sconfinata ammirazione per Spielberg. Nasce dalla sua attenzione ai temi spirituali?
Certamente no! L’ammirazione è artistica ma, essendo a mia volta un credente, è un argomento che mi tocca da vicino. Non posso non accorgermi che in Amistad c’è per esempio il racconto della scoperta di Cristo e del Vangelo; che in A.I. c’è il piccolo robot che veglia duemila anni in fondo al mare di fronte alla statua della Fata Turchina.
Poche immagini come quest’ultima hanno saputo rappresentare l’idea di cosa sia la fede. Il piccolo robot guarda ad una statua che forse è, o forse non è, la Madonna e dice: Sei forse tu la fonte di tutta la speranza e della redenzione stessa. E cosa può essere se non un simbolo della fede? Affidarsi a qualcosa a cui noi attribuiamo qualcosa di salvifico.
Non posso non accorgermi che in Minority Report c’è tutto un discorso sul libero arbitrio, quindi sono temi assolutamente religiosi.
Detto questo, l’importante è che questi temi siano poi artisticamente compiuti nel modo cinematografico in cui si sono sviluppati.
Come è possibile essere un artista lavorando all’interno di un’industria regolata dalle leggi del profitto?
Non esiste industria che non sia stata regolata e non lo sia dalle norme del profitto.
È sempre stata un’illusione ritenere che la libertà dal profitto stesso sia garanzia di qualità artistica. Del resto, i grandi artisti hanno avuto a che fare con dittatori, con papi grandissimi dal punto di vista religioso ma prepotenti come Giulio II, prepotenti artisticamente s’intende.
La forza principale del cinema americano è identificabile da sempre nella coesistenza dell’anima industriale con quella artistica e molti dei risultati più alti sono stati raggiunti da registi che hanno utilizzato al meglio tale duplicità. John Ford, Billy Wilder, Alfred Hitchcock e Steven Spielberg sono persone che hanno avuto un loro rendiconto economico, ma sono anche dei grandi artisti.
Se dovessi individuare un percorso morale all’interno della cinematografia americana, quali tracce ci indicheresti?
Nel film About Schmidt di Alexander Payne si parla di una persona triste e squallida, che ritiene la sua vita una nullità. Più per noia che per autentica pietà decide di partecipare ad un programma di adozione a distanza per dei bambini africani. Nel momento più buio e disperato della sua esistenza trova una lettera inviata dal bambino adottato in Africa. Schmidt scopre tra le lacrime che la sua vita ha un significato ben più profondo e insondabile di quanto avesse mai immaginato e che l’unico valore importante nell’esistenza dell’essere umano è la forza rivoluzionaria dell’amore.
Hai organizzato diverse rassegne cinematografiche al Moma e al Lincoln Center di New York. Ora hai in programma una rassegna dal titolo The Hidden God. Dov’è il Dio nascosto nel cinema statunitense?
La stessa domanda che tu mi fai io l’ho rivolta ad un critico cinematografico di Civiltà cattolica, che è anche un sacerdote. Gli ho chiesto quali sono i film dove c’è il Dio nascosto. Lui mi ha risposto: tutti. Ovviamente è un paradosso, è un’esagerazione, ma io ritengo che sia uno dei grandi temi, se non il tema con la T maiuscola di cui non si parla mai. Questa è una provocazione, secondo me, ed è un assurdo che non se ne parli.
– 09/03/2003
La magnifica illusione
Il volume rappresenta un vero e proprio viaggio nel cinema statunitense degli ultimi dieci anni ma capace di improvvise, rapide incursioni nel passato. Il tutto per ambire, secondo il volere dello stesso autore, ad una forma di poetica: mostrare come sia possibile rimanere “autori” e mantenere integra la propria visione seppure in un’industria regolata dal profitto. Il libro analizza due generazioni, quella delgli anni Settanta e quella nata da poco, dei nuovi autori degli anni Novanta, come Tarantino, Payne, Anderson. Un saggio nel contempo personale e intenzionato, in cui l’autore ha più di una volta l’ardire di esaltare film a suo parere rivoluzionari come “A.I.” di Spielberg e condannare senza alcuna possibilità di appello lavori patinati come “Era mio padre” di Sam Mendes. Ma la sua è una parzialità talmente appassionata che ne fa il punto di forza del libro, che, per ampiezza e completezza diventa anche un ottimo testo di consultazione. Alla fine una serie di interviste, molte inedite, ai protagonisti del cinema mondiale.
– 21/11/2003
La Magnifica illusione
“Lo specifico dell’espressione cinematografica è costituito da sempre dall’intreccio di interessi commerciali e ambizioni artistiche”: questo è il punto di partenza del corposo volume di Antonio Monda. Nell’arco di 560 pagine, si sviluppa una lunga serie di saggi sul cinema americano degli ultimi dieci anni, che non dimenticano i capolavori dei grandi registi emersi negli anni Settanta. Lo sguardo è obiettivo, caratterizzato da quella precisione imparziale che caratterizza il giornalismo americano (Monda vive e lavora a New York). Il presupposto fondamentale è quello di voler sventare il pregiudizio di molta critica italiana e non solo, da sempre esistente nei confronti di certo cinema americano, di una logica puramente commerciale che non può includere fermenti d’arte e originalità. A volte si ha l’impressione che ai numerosi saggi non sia sotteso un filo conduttore abbastanza chiaro, però il volume sortisce l’effetto di comunicare la complessità dell’universo di senso che sta alla base del cinema americano. Una cinematografia presentata onestamente da Monda, come un calderone, fatto di successi commerciali che si rivelano film vuoti, come di film ben congegnati per il puro godimento cinematografico, senza pretese autoriali. Tutto è una “magnifica illusione”, ma talmente ben congegnata da far “illudere” qualsiasi pubblico ben volentieri. È “una cinematografia che non ha mai perso la capacità di creare dei sogni e che riesce a sedurre anche quando racconta la mediocrità del quotidiano”. Quale miglior esempio di questa epicità tutta americana, fondata sulla commistione fra ironia e commozione di Forrest Gump? Per questo, come per molti altri film americani odierni, siamo di fronte ad una struttura fortemente condizionata dall’ormai secolare esistenza di generi cinematografici ben tipizzati che a tutt’oggi rappresentano, anche per gli autori di nuova generazione, la griglia di partenza. La generazione dei Payne, degli Anderson e dei Jonze, sperimenta nuove formule, ma senza prescindere dalla secolare influenza della commedia romantica, del genere epico, del film noir e via dicendo, pur insinuando una propria logica in quella del sistema produttivo hollywoodiano. Generi ormai precostituiti, con una serie di meccanismi narrativi e stilistici, che possono essere trascesi ironicamente, ma non modificati nella sostanza. Tutto questo è tradotto specularmente nella concreta esemplarità delle interviste inedite che concludono il volume e che evidenziano il mondo comune a cui appartengono nomi così diversi, come Woody Allen, Wes Anderson, Michael Cimino, Milos Forman, David Lynch, Martin Scorsese, Michael Mann e molti altri. È proprio il medium dell’industria cinematografica che, pur nelle sue involuzioni, accomuna registi come Scorsese, Forman, Coppola e lo stesso Spielberg a giovani autori come Payne o Sofia Coppola. Steven Spielberg è proprio il trait d’union fra le due generazioni e il miglior simbolo, allo stato attuale, dell’essenza forte del cinema americano: la sua concezione cinematografica è di “una sconvolgente semplicità”, nella miglior tradizione dei veri maestri dello showbusiness egli “ottiene degli effetti primordiali, attraverso immagini di grande manipolazione”. Si può essere artisti anche lavorando in un’industria regolata dalla logica del profitto: Magnolia, ci ricorda Monda, è un film prodotto dalla New Line con un cast d’eccezione, non è un film “indipendente”, eppure è un film personalissimo, dalla prima all’ultima sequenza. Forse oggi non ci sono più le grandi necessità morali e la libertà d’azione che hanno portato alla realizzazione di film come Taxi Driver o Qualcuno volò sul nido del cuculo, si prediligono temi minimalisti, ma il modo di concepire il medium cinematografico è lo stesso. Ci sono ancora i grandi affreschi della società, anche se animati da più voci, si pensi a film come Magnolia, America Oggi, Traffic e anche American Beauty. Magari alla voce solitaria di Travis Bickle si è sostituito un coro di voci che non sono all’unisono, una congerie di punti di vista diversi, ma originati dallo stesso substrato culturale. Il sistema degli studios non è infallibile, è spesso caratterizzato da pesanti condizionamenti di natura economica, forse dopo l’undici settembre più che mai, ma un è sistema che, ponendo delle barriere, esalta il genio artistico e la sua capacità di aggirare gli ostacoli, come ci ricorda l’opera del primo e principale genio artistico-commerciale del cinema americano, il Maestro Alfred Hitchcock.
– 12/09/2003
A “La magnifica illusione di Monda” il premio per il miglior libro di cinema
Il giornalista, documentarista e docente universitario Antonio Monda con il volume “La magnifica illusione” (Fazi editore) ha vinto la 21. edizione del concorso per il miglior libro di cinema 2003 organizzato in collaborazione fra il Centro di ricerca per la narrativa e il cinema di Agrigento e il Sindacato nazionale giornalisti cinematografici. La giuria presieduta da Laura Delli Colli ha assegnato due menzioni a Cristina Balzano per “Cento anni di cinema civile” (Editori riuniti) e a Franco Cordelli ed Emilio Greco curatori de “Il mondo di Francesco Savio: recensioni 1973-1976” (Falsopiano). La premiazione ad Agrigento (Teatro Pirandello) sabato 27 a chiusura dell’Efebo d’oro che quest’anno compie 25 anni.
– 03/07/2003
Chi sta strozzando il cinema americano
Trasferendosi negli Stati Uniti, il giornalista Antonio Monda s’è creato uno speciale posto d’osservazione da cui studiare il cinema americano. Autore di molti cortometraggi e del filmDicembre(1990), Monda ha scritto su Hollywood numerosi articoli che, riuniti in questo volume, formano un saggio corposo, ma d’estrema agilità e dall’assunto chiarissimo. Nell’esaminare i film americani dell’ultimo decennio, Monda si prefigge di individuare la presenza di nuovi autori, dalla poetica e dallo stile personali, tra gl’ingranaggi d’un meccanismo industriale sempre più dominato da persone che provengono dal mondo della pubblicità.
Monda lascia affiorare un profondo disagio nel denunciare l’avvento di un cinema che tende a strozzare la voce dei singoli autori. Molte sue pagine sprigionano questo senso d’inquietudine e di disincanto, che impreziosisce la lettura di un testo talvolta profetico, spesso illuminante, sempre godibile. Dotati e combattivi, tra i nuovi narratori dell’America si segnalano Alexander Payne, Quentin Tarantino, Sam Mendes, Paul Thomas Anderson, dei quali Monda analizza con passione e competenza i film che li hanno resi noti, corredando la sua opera con una serie di interessanti interviste inedite ad autori di diverse generazioni (da Woody Allen e Michael Cimino, a Wes Anderson e Spike Jonze) che rappresentano forse il frutto più succoso in un libro imperdibile per gli amanti del cinema.
– 04/06/2003
Dieci anni di cinema Usa
Questo mese non vorrei parlarvi di film, anche se ve ne sono in giro diversi (ne cito solo due: una commovente riflessione su come guardiamo i bambini in Essere e avere di Nicolas Philibert e il coreano Ebbro di donne e di pittura di Kwon-Taek-Im).
Segnalo piuttosto un libro sul cinema, che ha diversi motivi di interesse: La magnifica illusione, un viaggio nel cinema americano di Antonio Monda.
Per chi ha amato il cinema nel modo emotivo e sensuale dei vent’anni, ed è arrivato solo dopo al disincanto dello sguardo più maturo, la letture del libro di Antonio Monda è un’occasione di godimento per diversi motivi. Innanzi tutto, per la qualità della scrittura: mentre una parte della critica europea è imprigionata entro uno strumentario di concetti spesso ermetici e autoreferenziali, di taglio accademico, il suo libro racconta gli ultimi dieci anni del cinema americano con un taglio vivacissimo e di grande leggibilità. I profili dei registi di questi anni, da Spielberg a Coppola a Scorsese, scorrono dinanzi allo sguardo del lettore con una verità sociologica e umana che non rinuncia mai alla verifica di un giudizio spesso impietoso. Si veda, ad esmpio, il capitolo dedicato al rapporto tra cinema e religione in alcuni autori di questi anni. Monda bacchetta giustamente l’indulgenza eccessiva con cui gli sceneggiatori e i registi americani hanno seminato, a piene mani, scampoli di buon senso new age in molti film (da Al di là dei sogni al Miglio verde).
Nota, al contempo, come si sono moltiplicate le opere di autori intelligenti, che si interrogano sulle questioni dell’etica e del senso dell’esistenza con angoscia e sincerità: da Salvate il soldato Ryan di Spielberg a Magnolia di Paul Anderson, a quella Fine di una storia di Neil Jordan, troppo a lungo ignorata dalla critica.
Devo dire che qui i motivi di consenso aumentano. Alcune riletture di opere spesso sottovalutate sono del tutto condivisibili. Cito due soli esmpi, tra i film che amo di più. Ne I ponti di Madison County un grande regista come Eastwood rilegge, attraverso la forma del melodramma, la solitudine della società americana e la crisi dei valori etici tradizionali (Eastwood lo fa dire esplicitamente al proprio protagonista: “Ho sempre avuto qualche problema con l’etica della famiglia americana”). E ricordo appena la bella rilettura di un film cupo come Tutti dicono I love you di Woody Allen, a torto giudicato una commedia.
Monda vede in opere come queste un tentativo di indagare i problemi dell’uomo d’oggi, in bilico tra l’ansia di una vita priva di significato e un bisogno di redenzione, che non trova nemmeno fragili appigli.
Dagli esmpi, si comprende l’altra caratteristica originale di questo libro nel panorama critico italiano. Monda non si lancia mai in tirate ideologiche contro l’industria cinematografica. Il cinema è nato come un apparato tecnico, che offriva i suoi prodotti creativi alla visione di un pubblico, e quindi del mercato: la contraddizione tra originalità di un autore e mercificazione del prodotto è intrinseca alla sua natura espressiva.
Il libro ricorda il giudizio di un grande scrittore come Jorge Louis Borges, il quale sosteneva che Hollywood aveva salvato l’epica con il western, anche se per motivi commerciali: il cinema americano ha nutrito la fantasia e le paure dell’uomo moderno. Nei casi migliori, le ha anticipate. Monda indaga i caratteri estetici della produzione cinematografica, sottolineandone i contesti produttivi senza demonizzarli. Ne guadagna la narrazione, in un libro che resterà anche per la completezza dell’informazione.
Una sola riflessione, che meriterebbe maggiore approfondimento. Mentre condivido la fiducia di Monda sulla possibilità attuale per gli autori di difendere la libertà creativa, ho forse qualche timore più di lui per il futuro. La quantità di danaro delle superproduzioni, la corsa generalizzata agli effetti speciali, fa temere sempre di più la riduzione ai margini delle proposte innovative. Da vecchio spettatore di cineteca, mi permetto infine una critica affettuosa. Tra i tanti precursori del grande cinema americano (da Wilder a Capra a Kazen), ne mancano – a mio giudizio – due che hanno creato il genere noir, oggi tornato di gran moda: Tourneur, il regista de Il bacio della pantera, e Siodmak, che di capolavori ce ne ha lasciato almeno uno (Lo specchio oscuro). In ogni caso, buona lettura.
– 21/06/2003
La magnifica illusione. Un viaggio nel cinema americano
Il film di un mestierante può essere migliore di quello di un artista?Un interrogativo di questo genere (con la sua carica di provocazione alla rovescia) serpeggia attraverso il ponderoso volume che Antonio Monda dedica a un’esplorazione pressoché esaustiva degli ultimi 10 anni del cinema americano, senza escludere rapide incursioni nel passato.
Autore di documentari e di un lungometraggio (dicembre 1990), Monda insegna regia cinematografica alla New York University e invia a quotidiani e periodici italiani puntuali resoconti sulle novità cinematografiche d’oltre oceano. Conoscitore come pochi dei meccanismi produttivi e di mercato del cinema statunitense, ne osserva con occhio scevro da pregiudizi i fenomeni più rilevanti, sottraendosi agli “effetti speciali” messi in atto da una pubblicità invadente, che esalta prodotti dozzinali e relega in posizioni arretrate, condannandole all’oblio, le opere più acute e innovative. Per Monda il cinema è, prima di tutto, arte della visione. Il libro è disseminato di forti impressioni visive che si sono imposte all’attenzione dell’A. durante le lunghe ore trascorse nelle sale dei cinema newyorkesi. Sono immagini che, riuscendo a combinare efficacemente potenza e sottigliezza, testimoniano il coraggio con il quale il regista riesce a mettersi in discussione. Si va dalle rane che piovono sulla San Fernardo Valley in Magnolia (2000) di Paul Thomas Anderson, ai pesci morti frammisti ai cadaveri dei soldati sparsi sulla spiaggia di Omaha Beach in Salvate il soldato Ryan (1998) di Terence Malick.
Monda si commuove tanto davanti ad Anthony Hopkins che, in Nixon Gli intrighi del potere (1995) di Oliver Stone, si inginocchia a pregare dopo aver invitato un attonito Kissinger (Paul Sorvino) a fare lo stesso, quanto davanti al robot che veglia inginocchiato per 2000 anni sul fondo del mare di fronte alla statua della Fata Turchina (dimostrando di saper custodire un’idea della fede ormai scomparsa tra gli abitanti della terra) in A. I. Intelligenza artificiale (2001) di Spielberg. Non deve suscitare meraviglia il fatto che gli esempi addotti siano ricavati per lo più da film considerati in Europa alla stregua di prodotti commerciali. La scommessa sulla quale si base il libro (l’illusione di cui parla il titolo) consiste infatti nel mostrare come sia possibile, per un cineasta di successo che lavora negli Stati Uniti, mantenere integra la propria visione d’autore pur restando inquadrato nei ranghi di un’industria cinematografica che non consente deroghe alla legge del mercato.
Particolarmente attento nei confronti della religione, Monda (attualmente impegnato insieme a Mary Lea Bandy nella preparazione di una mostra al MoMA, intitolata Hidden God: Dio nascosto) dedica a questo argomento una parte del volume, con riflessioni che spaziano, al di là del cinema americano, da Il cielo sopra Berlino (1987) di Wim Wenders a Le onde del destino (1996) di Lars von Trier, a La messa è finita (1985) di Nanni Moretti, a Un prete da uccidere (1988) di Agnieszka Holland, rievocazione della morte del sacerdote polacco Jerzy Popieluszko, al discusso film di Antonio Caputano Pianese Nunzio: 14 anni a maggio (1996). Senza trascurare sguardi retrospettivi sull’opera di grandi maestri, quali Robert Bresson, Ingmar Bergman, Federico Fellini.
– 13/05/2003
Stati Uniti al Lumière. Viaggio nel cinema americano con Monda e Foley
Saranno gli Stati Uniti d’America nella loro contraddittoria veste di fucina di talenti e creatività e di sistema rigidamente condizionato dalla logica del profitto, il trait d’union dei due principali appuntamenti di oggi al Lumière (via Pietralata, 55). Alle 19 Antonio Monda presenterà il suo ultimo libro La magnifica illusione. Un viaggio nel cinema americano (Fazi editore), un viaggio personalissimo all’interno del cinema americano, effettuato durante un periodo di straordinari cambiamenti culturali, politici e sociali, e accompagnato da testimoni di eccezione come Woody Allen, David Lynch, Spike Lee, Michael Mann, Wes Anderson, Milos Forman, Michael Cimino, Martin Scorsese. La serata al Lumière prosegue (circa alle 20) con la rassegna “Fotogrammo di organizzazione. Rapporti tra cinema, impresa ed economia”. Il professor Massimo Bergami della facoltà di Economia dell’Università di Bologna, introduce la proiezione di “Americani” di James Foley.
– 25/05/2003
Illusioni americane
La magnifica illusione di Antonio Monda (Fazi editore, pp. 608, 24,50 euro) – come sintetizza il sottotitolo del libro – è un viaggio, un itinerario, una ricognizione del cinema americano contemporaneo. E’ un viaggio tra le immagini, le storie, i concetti, le tendenze, i generi, le poetiche raccontate, con dichiarata parzialità e con la coscienza di un’impossibile obiettività, da un regista trasferitosi negli Stati Uniti dove oltre a insegnare alla New York University scrive dei film degli altri per “la Repubblica” e “la Rivista dei Libri”. Gli articoli, i saggi, le interviste (da Wes Anderson a Sofia Coppola, da Michael Mann ad Arthur Penn, da David Lynch a Spike Lee), rielaborati e integrati per questo volume, non sono una semplice antologia. Le tappe e gli approfondimenti di questo “viaggio” cercano di individuare soprattutto un percorso morale del cinema americano. L’ammirazione profonda di Monda per Spielberg, la severità nei confronti dei brutti film assemblati sulla base di analisi di mercato, le difficoltà di essere autori all’interno dell’industria, i popcorn movies, l’apprezzamento, cauto, del cinema indipendente, la nuova generazione di autori (P. T. Anderson, Labute, Tarantino, Jonze, Solondz) che “somiglia” a quella che negli anni ’70 si impose mentre crollava lo studio system: sono alcuni dei punti di partenza per una riflessione non ovvia sul cinema americano e sulla sua forza evocativa.
– 22/05/2003
Hollywood, la magnifica illusione di Antonio Monda
E’ possibile mantenere uno standard autoriale in un’industria retta dalla dura legge del profitto? Si può realizzare un cinema trasversale dotato di più chiavi di lettura e capace, al tempo stesso, di raggiungere una vasta platea? A detta di Antonio Monda, autore de La magnifica illusione, Steven Spielberg, definito come il più grande regista americano vivente, ne sarebbe la prova evidente. In questa raccolta di saggi, una versione rielaborata e aggiornata degli articoli apparsi su “La Repubblica” e “La rivista dei libri”, lo scrittore intraprende un appassionante viaggio nel cinema americano odierno, condotto con la dovuta obiettività e distacco critico.
L’analisi dei “popocorn movies”, del “cinema new-age” e la sintetica ma esaustiva incursione nella società statunitense sono condotte con la consapevolezza di chi vive a stretto contatto con una realtà differente dalla nostra e conosce perfettamente i meccanismi produttivi e di mercato della speculare produzione cinematografica. Monda esamina con la stessa pespicacia e profondità le pellicole di autori consolidati come De Palma, Spielberg o Scorsese e quelle di registi emergenti come uno Spike Jonze o un Wes Anderson, respingendo decisamente sia l’idea di un cinema pago solo del suo impatto visivo, in cui il sofisticato impiego degli effetti speciali serve solo a coprire la mancanza di un’idea di fondo, che quello virtuosistico e fine a se stesso, concepito unicamente come espressione delle ossessioni e delle fantasie dell’Artista. Blockbuster come “Twister” di Jan De Bont o film provocatori, quasi “underground”, come “Lost highway” di David Linch, sono esempi emblematici di un cinema incapace di suscitare delle sensazioni autentiche nello spettatore perché privi di spessore. All’opposto prodotti imperfetti come “A.I.” di Steven Spielberg risultano più coraggiosi per l’intensità con cui affrontano spinosi temi morali e sentimenti comuni.
I saggi “Un film di un mestierante può essere migliore di quello di un artista” e “Un bambino artificiale” chiariscono in toto il punto di vista dello scrittore, che motiva sempre le sue riflessioni, correndo anche il rischio di essere a volte impopolare (si veda la condanna ad un’opera come “Era mio padre” di Sam Mendes, ritenuta da Monda un mero esercizio di stile).
La parte conclusiva di questo libro imperdibile è dedicata agli “incontri ravvicinati”, interviste con autori affermati (Micheal Cimino, Spike Lee, Woody Allen, Arthur Penn) e in ascesa (Todd Solondz, Sofia Coppola, Julie Taymor), che costituiscono un contributo inedito da parte di questo giornalista che, docente di regia alla New York University, si è cimentato con la macchina da presa nel lungometraggio “Dicembre”.
– 03/05/2003
La magnifica illusione del cinema americano
“Seppure per motivi commerciali, Hollywood ha salvato l’epica”: questa celebre frase di J. L. Borges sembra riassumere il volume di Antonio Monda La magnifica illusione. Un viaggio nel cinema americano (Roma, Fazi, 2003). Il libro analizza le tendenze, le contraddizioni e le speranze del cinema (e dunque della società) degli Stati Uniti. La tesi presentata è di una chiarezza estrema, oltre che decisamente “politicamente scorretta”: per un regista è possibile rimanere “autori” e mantenere integra la propria visione artistica pur all’interno di un’industria regolata dal profitto. Insomma: è possibile fare grandi film ed essere grandi artisti, anche lavorando all’interno del “sistema” hollywoodiano. E il titolo di un capitolo centrale del volume è appunto “Autori nell’industria”. Il mainstream critico pone una sorta di equazione tra indipendenza, libertà e qualità e dunque rifiuta di considerare Hollywood come un laboratorio artistico. Il volume di Monda è silenziosamente ribelle rispetto a questa prospettiva e al lettore che deciderà di affrontare almeno buona parte della sua mole (oltre 600 pagine) sarà in grado di offrire motivazioni e conferme convincenti. La prima, ad esempio, potrebbe essere la valutazione dei nuovi autori degli anni Novanta che, proprio lavorando all’interno del sistema, hanno prodotto opere di valore (Tarantino, Payne, gli Anderson,…). Ma è facile cogliere le passioni dell’autore: basterebbe sfogliare il fittissimo indice dei nomi (lungo 14 pagine) e controllare le ricorrenze. Così riconosceremmo, oltre ai registi già citati, Woody Allen, Robert Altman, Francis Ford Coppola, Martin Scosese,… Ma l’icona fondamentale della sua tesi resta il migliore Spielberg, sinceramente ammirato e amato in maniera nient’affatto miope e a lungo argomentata, nonostante l’irrigidimento di molta critica intellettuale nei confronti delle sue pellicole. Altro tabù al quale egli si mostra indifferente, se non proprio ostile, è il “politicamente corretto” che, a suo parere, depaupera e indebolisce il vigore artistico della rappresentazione e compromette spesso gli esiti di una buona ispirazione.
Monda comunque non pretende di dire tutto e di dare giudizi definitivi. Anzi, il suo libro nasce proprio all’insegna di una sorta di “revisionismo critico” che impone una continua riconsiderazione dei giudizi espressi. Tuttavia, poste queste premesse, egli si sente libero di esprimere i propri giudizi con convinzione e passione in un quadro “parziale e partigiano”, sintetizzato dall’indice dei film (lungo ben 34 colonne e che rende l’opera utile anche per la semplice consultazione). Può persino affermare che, anche quando è mediocre, il cinema statunitense riflette l’energia giovanile della cultura d’origine, e nei casi in cui racconta la mediocrità è sempre evocativo, anche perché, facendo a meno dell’intellettualismo, consente comunque più facilmente risultati positivi. Il rischio, lo ammette, è la grossolanità. Se Monda non avesse chiarito i suoi presupposti partigiani, si sarebbero potute sollevare fin troppe obiezioni, ma avendolo fatto, il migliore atteggiamento di lettura, anche da parte di chi è orientato diversamente, è quello di almeno provare a guardare il panorama dalla prospettiva che viene offerta. Le sorprese, anche grazie alla straordinaria competenza e conoscenza dimostrata dall’autore, non sarebbero poche. Del resto, La magnifica illusione comunica una doppia percezione: l’umiltà di chi sa che il proprio giudizio non può essere mai definitivo e il coraggio e la fermezza di chi intende dire la propria. Si tratta di una sintesi rara, in effetti, e questo certo è uno dei pregi di fondo del volume.
Tra i suoi sei capitoli spicca quello dal titolo “Religione e letteratura: in principio era il verbo” dove, con grande fiuto Monda esamina la presenza della spiritualità (da quella cristiana a quella, decisamente distante dalla sua visione, della new age) tra le immagini di film da Matrix a Fine di una storia, da Salvate il soldato Ryan (che giustamente Monda cita sempre col titolo originale Saving Private Ryan, che ha connotazioni ben diverse rispetto a quelle della sua traduzione per la distribuzione italiana) fino alla stroncatura di Dogma, da Minority Report a Road to Perdition (in italiano reso dalla distribuzione con Era mio padre).
È da notare con piacere anche lo stile delle sue letture critiche. Egli felicemente ripudia ogni forma di tecnicismo o di astrusità. Il suo giudizio emerge dalla presentazione dell’opera e dal puntuale racconto della sua trama, pregio di grande valore di questi tempi, in cui il giudizio critico tende a diventare una libera divagazione tra i pensieri di chi lo scrive. Si tratta di una saggistica narrativa che esprime giudizi di valore proprio raccontando, mettendo in rilievo o in ombra questo o quell’aspetto. Ne risulta un testo che si legge con gusto per il suo respiro e il suo ritmo.
Il sesto capitolo è costituito da un’ampia sezione di interviste con 14 registi (Wes Anderson, Michael Cimino, Michael Mann, David Lynch, Todd Solondz, Milos Forman, Jilie Taymor, Spike Lee, Joel Coen, Sofia Coppola, Woody Allen, Arthur Penn, Spike Jonze e Martin Scorsese) dalle quali trapela la grande competenza dell’intervistatore che non pone domande superflue o di interesse cronachistico, ma tocca sempre i nervi dell’ispirazione artistica e della percezione morale dei suoi intervistati, spesso stabilendo con loro un rapporto di reale empatia.
È da precisare infine che l’autore de La magnifica illusione, oltre ad aver pratica diretta di regia (ricordiamo almeno il film Dicembre, presentato al Festival di Venezia) conosce molto bene la scena artistico-culturale statunitense. Ha una cattedra di cinema presso la New York University ed è stato e continua ad essere in quella città organizzatore di grandi eventi presso il Guggenheim Musem, il Lincoln Center, l’Accademy of Art and Sciences e il Museum of Modern Art (MoMA). In Italia la sua firma è conosciuta dal grande pubblico per i suoi interventi su la Repubblica e The New York Review of Books/La Rivista dei Libri. Il volume deriva proprio dalla rifusione degli interventi pubblicati su queste testate nell’arco di una decina d’anni. È un grande zibaldone dal quale ormai la critica cinematografica che si occupa della produzione d’Oltreoceano non potrà più, nel bene e nel male, prescindere.
– 05/05/2003
America, primo amore
Il sottotitolo implicito di questa densa raccolta di articoli potrebbe essere “cosa mi piace del cinema di Hollywood e perché”. La magnifica illusione-Un viaggio nel cinema americano, di Antonio Monda, Fazi, euro 24,50, pur essendo una raccolta, non soffre certo di dispersione o disomogeneità di visuale e livello culturale. “Emigrato” da anni negli Usa, l’autore riflette appassionatamente su quelle che a lui paiono le “pagine” cinematografiche più feconde, dalla generazione emersa nei ’70 a Spielberg (per lui il più grande), a emergenti che per ambizione e capacità inventive promettono di avvicinarsi agli Autori (su tutti il Paul Thomas Anderson di Magnolia). E’ un percorso che parte dal personale, magari da un’immagine che colpisce al cuore, ma che si generalizza per questo in pagine di grande spessore. E la tesi (neanche di fondo) è che è possibile per un artista, se è tale, lavorare sotto la logica del profitto e della commercializzazione dei sentimenti.
– 29/04/2003
La magnifica illusione
ANTONIO MONDA
LA MAGNIFICA ILLUSIONE
Fazi editore, pp. 603, euro 24,50
Il saggio di Antonio Monda – regista, corrispondente di quotidiani, docente alla New York University e curatore di mostre per il Moma – appare come un oggetto misterioso nello scaffale dei libri sul cinema: non è un dizionario, non ha schede di dati, non è ordinato per generi e non raccoglie biografie o pettegolezzi. In contrasto con la banalità del titolo è un personalissimo viaggio (come cita il sottotitolo) nel cinema americano dell’ultimo decennio, una amorosa ricerca delle radici, delle motivazioni e di alcune pecche del mito del cinema USA.
Monda riesce a levare una voce assolutamente soggettiva e fuori dal coro nell’analisi di fenomeni, successi e disastri filmici degli ultimi anni. Proprio nella forte opinabilità delle tesi esposte dall’autore il libro acquista fascino; le affermazioni, infatti, anche se non tutte unanimemente condivisibili, ad esempio Spielberg miglior regista vivente, sono esposte con forza, coerenza e profonde motivazioni, creando un quadro organico e personale del mito Hollywoodiano, visto dall’interno con occhio smaliziato.
Non mancano poi articoli su argomenti leggeri, ed apparentemente meno rilevanti, come la spiegazione del meccanismo di assegnazione degli oscar o la curiosa sorte dei titoli nelle varie traduzioni, che diventano però rivelatori del panorama americano se letti nel contesto dell’opera.
I tanti saggi raccolti nel libro offrono riflessioni su film, generi ed autori in modo così documentato da poter rappresentare anche un utile strumento di consultazione, oltre che il mezzo per affrontare da un diverso punto di vista film notissimi, o per scoprire piccole gemme non pubblicizzate e poco distribuite.
La visione che Monda ha del cinema americano, filtrata da una formazione profondamente europea, emerge anche dalle molte interviste ad autori nuovi, quali Wes Anderson, Spike Jonz o Sofia Coppola, o più noti, come Cimino, Scorsese, Lynch o Mann, solo per citarne alcuni, e riesce – fra conversazioni ed recensioni – a far emergere dalle pagine un nuovo gruppo di autori, un contesto diverso, una generazione pronta a subentrare a quella mitica degli anni Settanta, con tutte le differenze culturali, politiche ed artistiche del caso.
La magnifica illusione riconsegna al cinema lo status di settima arte, non rinnegandone gli aspetti industriali, e creando – speriamo – fra i lettori ampi e salutari dibattiti.
Manano Foschini
– 30/04/2003
Imprevedibili metafore di Hollywood
Imprevedibili metafore di Hollywood
Alessandro Zaccuri
La conferma, se mai ce ne fosse bisogno, viene dalla “25ª ora”, l’ultimo straordinario film di Spike Lee: un imprevedibile racconto della Passione, con le macerie di Ground Zero al posto del Calvario e un giovane spacciatore che – senza accorgersene né tanto meno volerlo – finisce per incarnare il mistero dell’Uomo dei Dolori. Al passaggio di millennio, insomma, il cinema americano avverte un’attrazione sempre più forte per i temi del sacro e della spiritualità. Sì, proprio il diffamato e spesso incompreso “show business” hollywoodiano, capace però di sottintendere metafore evangeliche in storie tutt’altro che rassicuranti come “La 25ª ora” o “American Beauty”, l’acclamata opera d’esordio di Sam Mendes, alla quale il critico Antonio Monda dedica pagine illuminanti nel suo corposo “viaggio nel cinema americano” pubblicato da Fazi con il titolo “La magnifica illusione”. Italiano verace trapiantato da diversi anni a New York, Monda ha costruito il suo libro come una ben congegnata successione di paradossi. Hollywood è soltanto un’industria? Bene, Monda passa in rassegna gli autori (avete presente Steven Spielberg?) che in quella stessa industria riescono a prosperare e, più che altro, a non tradire se stessi. Hollywood fa appello a un immaginario grossolano? Monda ha buon gioco nel sostenere che i meccanismi narrativi sono gli stessi di Omero, di Tolstoj, della grande tradizione epica. Fino alla contestazione più clamorosa: terra sconsacrata, quella di Hollywood? E allora come la mettiamo con un regista come il cattolico Paul Thomas Anderson, che definisce il suo “Magnolia” come “una confessione lunga tre ore”? Il che, in definitiva, non fa altro che sancire il paradosso supremo: per parlare di spiritualità il cinema deve rinunciare alle scorciatoie del devozionalismo o, peggio, del New Age e contemplare la realtà così com’è. Perché questo mondo è forse meno bello di quanto vorremmo, ma è il solo mondo che può essere salvato.
– 06/04/2003
Quella magnifica illusione
Curatore di retrospettive cinematografiche, critico, professore di cinema, Antonio Monda è tutto questo e anche qualche cosa di più. È una persona che il cinema lo ama profondamente, lo ha nel Dna, si nutre di cinema come può e quando può (a giudicare dalla quantità di film visti, sempre! ndr.) E proprio il fan del grande schermo, il bambino Monda stregato dalle immagini della pellicola, ha messo tutto il suo amore un in libro appena uscito in Italia dal titolo “La Magnifica Illusione: un viaggio nel cinema americano” (Fazi Editore – 2003 – Euro 24,50).
La sera in cui è stato presentato alla Casa Italiana Zerilli-Marimò, i due paladini di Monda erano Isabella Rossellini e Alexandre Stille, insieme naturalmente al padrone di casa Stefano Albertini. E proprio la Rossellini ha sottolineato qualcosa che leggendo il libro appare chiaro, addirittura lampante. C’è tanto Antonio Monda in questo libro, come se la sua anima si fosse insinuata nelle parole e avesse loro dato vita e pienezza e continuità. Monda stesso, quasi a sottolineare l’affermazione dell’attrice, ha presentato la sua creatura leggendo la seguente frase di Borges, suo autore preferito in assoluto: “Un uomo si propone il compito di disegnare il mondo. Trascorrendo gli anni, popola lo spazio con immagini di province, di regni, di montagne, di baie, di navi, d’isole, di pesci, di dimore, di strumenti, di astri, di cavalli e di persone. Poco prima di morire, scopre che quell paziente labirinto di idée traccia l’immagine del suo volto.”
Dunque, in questa collezione di articoli, o forse sarebbe meglio chiamarli saggi, e di interviste ritroverete 603 pagine di pensieri, ricordi, dichiarazioni d’amore e di disapprovazione, date, nomi, luoghi, personaggi pubblici e privati tutti facenti in qualche modo parte dell’emisfero Monda: una lunga chiaccherata sul cinema con tante notizie utili e giudizi interessanti.
Infine, il libro si compone di sei capitoli e si parte dalla logica dei sogni per arrivare a varie interviste con star del calibro di Woody Allen, Martin Scorsese e Spike Lee. Per chi a questo punto avesse l’acquolina in bocca e volesse acquistare “La magnifica illusione”, non può fare altro che consultare la Fazi Editore, il cui sito è www.fazieditore.it. Monda ha confidato anche che si spera di avere presto una traduzione in inglese della sua neonata creatura.
– 18/03/2003
Monda e la magnifica illusione: viaggio nel cinema americano
“Seppure per motivi commerciali, Hollywood ha salvato l’epica”, firmato Jorge Luis Borges: la lapidaria frase che campeggia sulla quarta di copertina del bel libro di Antonio Monda che si presenta oggi a Napoli riesce a restituire perfettamente, più di tanti voluminosi trattati, il senso profondo dell’importanza del cinema americano nel variegato panorama artistico-comunicativo del Novecento e di quest’inizio del Terzo Millennio. L’epos contemporaneo, infatti, non può che passare attraverso gli Studios hollywoodiani, malgrado le pericolose “derive” di questi ultimi tempi.
Monda – quarantatreenne residente negli Stati Uniti dal 1994, regista di documentari, organizzatore culturale, docente alla New York University e “scrittore di cinema” più che vero e proprio critico – è perfettamente cosciente di tutto ciò che ne dà conto, in modo personale e stimolante, nel denso librone che ha appena pubblicato per i tipi di Fazi e che ha significativamente voluto intitolare “La magnifica illusione. Un viaggio nel cinema americano”. Dei tanti spunti contenuti nel suo libro, l’autore parlerà alle 18.30, alla Feltrinelli di Piazza dei Martiri, durante un incontro con Valerio Caprara e Gioachino Lanza Tomasi dal titolo “La fabbrica dei sogni: il cinema americano”.
Per Antonio Monda, quella hollywoodiana è “una cinematografia che non ha mai perso la capacità di creare dei sogni e che riesce a sedurre anche quando racconta la mediocrità del quotidiano. In America il cinema migliore vive ancora in una fase epica”. Monda concentra la propria analisi prevalentemente sul cinema (e la società) statunitense degli ultimi dieci anni, quelli che lui ha vissuto sul posto. Pertanto, sono soprattutto due le generazioni di registi protagonisti dei saggi raccolti nel volume (alcuni già pubblicati su “La Rivista del Libri”) e delle interessantissime interviste inedite: quella della prepotente rinascita hollywoodiana di fine anni Settanta (con i vari Spielberg, Lucas, Coppola, Scorsese, Cimino, De Palma, Friedkin) e l’altra dei giovani emersi nella seconda metà degli anni Novanta (dal Tarantino di “Pulp Fiction” all’Anderson di “Magnolia”, da Payne a Mendes).
Attraverso l’analisi critica delle opere di questi registi, Monda vuole dimostrare che è possibile rimanere “autori” con una visione personale del mondo e dell’arte, anche agendo in un contesto regolato dal profitto com’è quello di Hollywood. Per la verità, vista da questa parte dell’Oceano, la “battaglia” appare “di retroguardia”, dato che molte osservazioni sono acquisite già da decenni (almeno dagli anni Cinquanta dei “Cahiers du Cinéma”…) D’altra parte, almeno in Europa, chi si sentirebbe di dubitare dell’autorialità di un cineasta come Steven Spielberg, che Monda utilizza come “grimaldello” per “scassinare” le roccaforti della critica cinematografica più paludata e passatista? Ma la forza di un libro come “La Magnifica Illusione” sta proprio nel suo essere programmaticamente fazioso, appassionatamente parziale, con posizioni spesso non condivisibili ma sempre interessanti e ottimamente motivate. E non guasta, anzi, il fatto che Antonio Monda sappia scrivere davvero bene.
– 04/04/2003
La magnifica illusione
La magnifica illusione si distingue fin dalla sfiziosa locuzione sul quarto di copertina, dove l’autore è descritto come “un semi-insider”(!). Dal libro si deduce che Monda è una sorta di “nostro uomo a Manhattan”: regista di documentari, docente di cinema, organizzatore di retrospettive, un “operatore culturale” a stretto contatto con attori e autori. Vi si legge, con candore disarmante, che sovente “ha la fortuna” di intrecciare rapporti con artisti rinomati dalle due parti dell’Atlantico, fino a diventare un punto di riferimento per gente di cinema nella Grande Mela. E’ lecito diffidare di raccolte d’articoli riciclati, ma l’autore si è preso la briga di rielaborarli, riuscendo a dare dignità autonoma all’operazione editoriale.
Monda è un tifoso del cinema a stelle e strisce, e un sostenitore della tesi secondo la quale è possibile essere autori autentici anche all’interno di un’industria, come quella di Hollywood, fagocitata da soverchianti esigenze commerciali (Martin Scorsese docet). Ci si sorprende, così, a girare volentieri le pagine per il piacere di confutare o confermare gusti e idiosincrasie. Vivisezionare i film è la seconda attività preferita dagli appassionati, un succedaneo appagante in assenza d’una pellicola da vedere; anche se si tratta di discutere solo virtualmente con parole scritte, purché di un interlocutore preparato e corredate da opinioni ferme, notizie sapide, e retroscena curiosi. Tanto più se chi scrive sfida la regola non scritta che vieta di incensare film che sbancano al botteghino, specie se Usa, e in particolare quelli di Spielberg, che, invece, Monda colloca nel pantheon riservato ai Registi Assoluti.
Nel capitolo sull’Oscar, il critico è ancora (e giustamente) indignato che, a suo tempo, il massimo riconoscimento per regia, fotografia, sceneggiatura ed effetti sonori sia andato all’agiografico “Gandhi”, anziché a “E.T.”. Meno condivisibile l’entusiasmo per Woody Allen, le cui opere sono spesso abili costruzioni pseudointellettuali o favolette zuccherose, infarcite di battute esperte da stand up comic che ne mascherano il gelido cinismo di fondo. Ci si trova di nuovo in sintonia con la stroncatura di Nicole Kidman in “Mouline rouge”. Alle suffragette si drizzeranno i riccioli per l’affermazione che Kate Capshaw (prima attrice e poi moglie a tempo pieno di Spielberg) ha scelto “di vivere di luce riflessa, ma sembra affatto scontenta di non essere diventata una stella hollywoodiana”. Are you sure, Mr. Semi-insider? La dialettica vien leggendo, com’è evidente. Una spericolata dichiarazione d’amore dell’autore, un amore robusto e lucido, per una nazione oggi poco di moda, ecco un ulteriore motivo per dire che La magnifica illusione è un libro da apprezzare.
– 06/04/2003
Una riflessione critica sul cinema americano degli ultimi dieci anni.
Nelle prime pagine di La magnifica illusione – Un viaggio nel cinema americano l’autore mette subito in chiaro che non si tratta di un libro obiettivo, ma di un testo partigiano. Antonio Monda, critico cinematografico de La Repubblica e del New York Review of Books/La rivista dei libri, ci presenta un percorso personalissimo attraverso le opere e gli autori della cinematografia statunitense degli ultimi dieci anni che non ha il sapore della critica distaccata, ma piuttosto della sincerità, della passione e della fiducia in alcuni precisi valori umani e artistici. L’autore vive a New York dal 1991 dove insegna regia presso la NYU e collabora con numerose istituzioni culturali e dove soprattutto ha avuto la possibilità di conoscere, frequentare, diventare amico di molti personaggi di primo piano di Hollywood tra cui David Lynch, Milos Forman, Michael Cimino, Martin Scorsese, Sofia Coppola, Woody Allen e molti altri. Le interviste scaturite da questi incontri e contenute nell’ultima parte del libro sono le voci di un mondo che l’autore descrive attraverso l’approfondimento di alcuni punti sensibili per la sua coscienza critica nei capitoli dedicati alla “Materia di cui sono fatti i sogni”, ai “Generi”, alla “Spiritualità nel cinema”, all’analisi della “Società che cambia”, al rapporto tra “Autori e industria”. E’ esplicito l’intento di non perdersi nell’analisi della “volontà colonizzatrice di una cinematografia che sta distruggendo le altre culture imponendo il proprio vuoto”, come molti si sarebbero aspettati da un critico europeo, perché prevale piuttosto il desiderio di individuare punti di forza e di debolezza di un cinema che continua ad offrire dei grandi film pur confrontandosi con le esigenze di un industria regolata dalla logica del profitto e a cui, comunque,“non viene perdonato il successo come ad una bella donna non viene perdonata l’avvenenza” e che “anche quando e’ mediocre riflette l’energia giovanile della cultura d’origine” non ancora imbrigliata nelle astrazioni e negli intellettualismi che spesso hanno appesantito il cinema europeo. La magnifica illusione ha il pregio di essere rigoroso senza essere mai faticoso. E’ un libro che si legge come una grande avventura perché animato da un sereno desiderio di ricerca del senso e della qualità dell’espressione artistica senza mai eccedere nel ragionamento, ma anzi ricchissimo di riferimenti a film, a specifiche sequenze cinematografiche, ad eventi e ad esperienze vissute in prima persona, come la festa di capodanno raccontata nel capitolo dedicato alla “Logica degli Oscar”:
Un brano del libro:
L’estratto che segue è tratto dal capitolo dedicato a “La logica degli oscar”
In una festa di capodanno di una decina di anni fa, alla quale ho avuto il piacere di partecipare, Maureen Stapleton raccontava con entusiasmo e autoironia quanto fosse cambiata la sua vita professionale da quando Hollywood aveva deciso di onorarla con l’Oscar. Eli Wallach e Ann Jackson, padroni di casa, sorridevano con l’affetto e la leggerezza di chi non e’ mai entrato realmente in competizione, e il loro atteggiamento contrastava in maniera trasparente con il silenzio di Paul Newmann, all’epoca ancora trascurato da Hollywood, e di Elia Kazan, pluripremiato tra il ’50 e il ’60 e poi ignorato per oltre un ventennio. Con il sorriso irruente della Emma Goldmann del grande schermo, la Stapleton non si vergognava di raccontare quanto fosse aumentato il suo compenso dopo il premio ricevuto per Reds, e come il suo nome fosse diventato familiare anche ai produttori della Hollywood più imberbe e presuntuosa. Era passato poco tempo da quando la United Artists aveva alzato bandiera bianca di fronte ai debiti causati da quel controverso capolavoro che era I cancelli del cielo di Michael Cimino, ma, nonostante si fosse al termine di un decennio economicamente non esaltante, la salute delle major era ancora robusta: Matsushita non aveva ancora inglobato la Universal, la Sony non disponeva della Columbia, e alla Metro Goldwyn Mayer in pochi sapevano chi fosse Giancarlo Parretti. Era una Hollywood saldamente nelle mani dei mogul americani, che sottovalutava la possibilità della conquista commerciale da parte di finanzieri orientali, e che portava con sé solo in nuce i sintomi di quel vuoto morale e culturale che pervade The player – I protagonisti di Robert Altman, il film che ha saputo raccontare meglio, e con l’intelligenza dell’ironia, il dorato e spietato squallore della odierna fabbrica dei sogni. Era una Hollywood che aveva intuito che per vincere la guerra con la concorrenza televisiva bisognava produrre film spettacolari o comunque fruibili nella loro totalità solo sul grande schermo; ed era, soprattutto, una Hollywood che aveva capito la fondamentale importanza del Mito dell’industria dello spettacolo, e della necessità di celebrarlo continuamente e con sfarzo sempre maggiore.
Per ascoltare l’intervista in Real player clicca qui.
– 22/03/2003
Monda: “Per il cinema è un anno di grazia”
“Sono d’accordo con Sydney Pollack, Hollywood è un posto dove si pensa solo ai soldi ma dove a volte per miracolo si realizzano dei capolavori”.
A dirlo è Antonio Monda, già aiuto regista dei Taviani, docente di cinema alla New York University e collaboratore de La Repubblica, presentando il suo libro La magnifica illusione – Un viaggio nel cinema americano. “L’unico metro di valutazione è il denaro – aggiunge Monda – ma ciò non limita la possibilità di fare del grande cinema e anche nell’ultimo decennio è accaduto: trovo che i nuovi registi, i fratelli Coen innanzitutto, poi Paul Thomas Anderson di Magnolia e Ubriaco d’amore, siano molto colti. Conoscono a fondo lo spirito dell’America che non è più solo quello della frontiera. La generazione degli anni ’70, gli Scorsese, De Palma, Spielberg, Cimino, era più cinefila, questa ha una preparazione molto vasta”. Un libro per raccontare, attraverso saggi e interviste (Scorsese, Spielberg e Spike Lee, tra gli altri), il cinema più importante del mondo mettendo a fuoco soprattutto gli anni ’90 e l’inizio del nuovo secolo, fino ai film candidati agli imminenti Oscar. “Il mio preferito è Il pianista, poi Chicago – ha detto l’autore conversando con Natalia Aspesi e Maurizio Porro alla presentazione milanese del volume – ma questo è un anno di grazia, da tempo non c’era una cinquina di film di così alto livello”. “A volte – ha detto Natalia Aspesi – gli Oscar hanno premiato film di basso livello, esempio Shakespeare in love, questa volta ci sono pellicole importanti. Purtroppo da noi i film arrivano solo sulla spinta degli incassi americani, tutta la pubblicità è puntata su quello e noi andiamo a vederli intontiti da quello che c’è dietro”. “Spesso è intervenuto Porro – film molto pubblicizzati calano nella seconda settimana di programmazione del 50-60 per cento, è il caso di Lara Croft o altri, segno che poi il passaparola funziona in negativo. Il contrario di quel che avviene con alcuni film italiani, dove lavori molto belli come L’imbalsamatore riescono a farsi conoscere”. Secondo Monda il cinema italiano si sta sprovincializzando: “ultimamente arrivano in Usa 4-5- film l’anno e trattano temi universali, anche se i giovani sono interessati al nostro cinema classico e non a Muccino o Soldini”.
– 19/03/2003
Il cinema. Una magia americana
Antonio Monda riesce a capovolgere in virtù quello che nel codice giornalistico (almeno del buon giornalismo) è un vizio deplorevole e un peccato mortale, che se fosse un reato sarebbe punibile con il massimo della pena. Comunque un vezzo intollerabile. Cioè l’impiego smodato della prima persona, l’esibizione con dovizia di dettagli autobiografici del grado di confidenza personale con i pezzi grossi (per dire: la civetteria del “tu” riservato a Martin Scorsese. L’insistito racconto di quella festa di Capodanno dove c’erano anche Paul Newman ed Elia Kazan). L’incombere dell’io di chi scrive, e dovrebbe farsi da parte, sugli oggetti raccontati o sui soggetti intervistati.
L’autore si sottrae splendidamente al giudizio, però. Per la semplice ragione che non fa esercizio giornalistico, e viceversa il suo stile si impone per mancanza di pudore e per passionalità. E’ partecipe, coinvolgente, viscerale. Tanto da realizzare il miracolo di fare del volume La magnifica illusione – Un viaggio nel cinema americano una lettura: sì, un libro da leggere. Rarissimo tra le pubblicazioni specialistiche riguardanti il cinema, si faticherebbe a riempire tutte e cinque le dita della mano e solo abbracciando un arco di tempo molto ma molto ampio si potrebbero scomodare le altre cinque, dell’altra mano.
Anche se scrive abitualmente per riviste e giornali (questo giornale) e il libro in parte rielabora, amplia e sviluppa testi nati come articoli, l’autore fonda il suo sguardo – il suo viaggio – sull’ormai quasi decennale risiedere a New York e sulle esperienze che fanno di lui un osservatore privilegiato. Come docente presso il Film Department della NY University. E soprattutto come organizzatore di iniziative di cultura cinematografica, e mediatore tra il patrimonio italiano e quello americano, presso le maggiori istituzioni: dal MoMa al Lincoln Center.
Il principio fondamentale cui Monda affida questa esplorazione del panorama cinematografico americano contemporaneo, con lodevole indifferenza al timore di sporsi e di mostrare nel male come nel bene i propri trasporti emotivi, è l’incondizionata ammirazione per la vitalità di ciò che per via breve chiamiamo Hollywood (sappiamo in realtà che diversi registi , Woody Allen per esempio, non vi risiedono e non la amano). E’ la doppia consapevolezza di quanto nella sua storia – nella sua natura – arte e industria siano inseparabili, senza che però ciò significhi pregiudiziale rinuncia ad essere anche arte o la pregiudiziale negazione della possibilità di esserlo.
Sebbene nel suo operare quotidiano si adoperi per far conoscere e amare “l’altro” cinema – il nostro, i giganti della tradizione italiana – Monda si spoglia completamente di ogni preconcetto “europeo”, “autoriale” o “antiamericano”, per infilarsi tutto intero dentro l’universo che vuole conoscere e spiegare. Di qui il suo sottrarsi si alla demonizzazione degli Studios sia all’enfasi sulla bontà degli “indipendenti”.
“Anche quando è mediocre”, si legge nell’introduzione, “il cinema americano riflette l’energia giovanile della cultura d’origine (…). Io sono convinto che sia la mancanza di intellettualismo dovuta a questa gioventù a consentire più facilmente che altrove autentici risultati artistici”.
È un sentimento che guida con coerenza testarda e incalzante le seicento pagine: la arte di pensieri, analisi e riflessioni e poi quella delle testimonianze. Che ispira l’appassionata, devota difesa del genio di Spielberg compresa una dichiarazione d’amore prima che di stima per l’incompreso A.I.. Che ispira l’indignazione per la rotta di volta in volta miope o opportunista – ma espressa da dentro e senza spocchia europea – presa dagli Oscar: l’indecenza di preferire Shakespeare in Love a un capolavoro come La sottile linea rossa. O per il cinismo incompetente del giovane management alla testa delle Major.
E se il capitolo delle interviste offre, nell’impavida indifferenza di cui sopra alle regole giornalistiche, delle vere perle di densità (Allen, Scorsese, Lynch), è la voce del vecchio Arthur Penn a chiudere il libro con le parole più giuste. Simbolo di quella grandezza vestita di umanità che ha fatto grande Hollywood, il quasi dimenticato regista di Marlon Brando in La caccia, di Dustin Hoffman in Piccolo grande uomo, di Warren Beattyy e Faye Dunaway in Gangster Story, dice così: “Ciò che sta avvenendo è un cambiamento genetico che sta svuotando l’intima essenza di forme espressive che hanno vissuto finora sull’equilibrio precario tra arte e industria (…). L’esigenza della commerciabilità nasce insieme alla settima arte, ma oggi sai assiste a un distacco algido da parte di dirigenti che non sono nati nel mondo del cinema e valutano le scelte in termini puramente numerici. In passato il nostro cinema ha rappresento uno spirito americano (…). Oggi il cinismo ha sostituito l’ottimismo, e sullo schermo assistiamo a un esperimento che non è più sociale, ma finanziario”.