Tommaso Orsini
Quintodecimo
I sogni dei fanatici, i paradisi delle sette
«Ma come e dove ricostruire qualcosa? Chi ci insegnerà a dare un senso al dolore? A educarci all’amore, se all’amore ci si può educare?».
Quintodecimo è un’opera impossibile da classificare, è una riflessione sulla ricerca della poesia e sull’inutilità di questa ricerca, ma è anche un diario lirico in versi e in prosa e la storia di un risveglio spirituale, la cronaca di un viaggio intorno al proprio essere, intorno a una gioia perduta e mai riconquistata. Su questa ricerca, Tommaso Orsini tesse la storia di John Keats: la parabola della poesia di uno dei più grandi autori di lingua inglese dell’Ottocento assume, nel libro, il valore metaforico e necessario di un destino. Una mattina di parecchi mesi fa arriva in casa editrice un piccolo pacco postale dall’India da parte di una amica e collaboratrice della Fazi, Lucia Olivieri. Si aspettava questo invio già da qualche tempo, da quando Lucia aveva iniziato a scrivere alcune e-mail dall’India dove raccontava del suo viaggio, ma soprattutto di un incontro con un uomo italiano, Tommaso Orsini, che si trovava a Poona di passaggio e che le aveva lasciato i suoi scritti composti di lettere, prose, poesie. Si è discusso a lungo sulla forma in cui quest’opera strana, stimolante e magmatica dovesse essere ordinata. Alla fine siamo stati concordi soltanto sul fatto che meritasse di essere comunque pubblicata. Si è cercato di contattare direttamente l’autore, ma ci si è presto arresi di fronte all’evidenza che questi non volesse essere raggiunto. Lucia e Tommaso non si sono più incontrati. So che Lucia è rimasta in India, e che sta bene. Di Tommaso Orsini non abbiamo più avuto nessuna notizia.