Clyde Prestowitz
Stato canaglia
La follia dell'unilateralismo americano
Traduzione di Irene Floriani
Questo libro è un importante e originale contributo all’acceso dibattito sul ruolo degli Stati Uniti nel mondo. Un’intelligente sintesi tra il radicalismo da “outsider” di Michael Moore e il pensiero geopolitico più istituzionale di Robert Kagan. Clyde Prestowitz, fondatore e presidente dell’Economic Strategy Institute, un “think-tank” molto influente a Washington che incarna al meglio un “movimento” radicalmente nuovo nella recente storia americana: i dissidenti dell'”establishment”, parte integrante dell’élite ma inclini al cambiamento, amanti dell’America ma contro la guerra, patriottici ma con occhio critico, favorevoli a un’influenza americana nel mondo ma consapevoli del bisogno di ascoltare le opinioni degli alleati. L’autore afferma che gli Stati Uniti si possono a tutti gli effetti definire uno “Stato canaglia”; riconduce in modo molto coerente questa nuova realtà alla radicale presa di posizione unilateralista adottata dell’amministrazione Bush negli ultimi due anni. Nei sei mesi precedenti agli attacchi dell’11 settembre gli Usa hanno infatti stracciato il trattato sul controllo del traffico delle armi leggere, il trattato sull’eliminazione delle mine anti-uomo, la convenzione sulle armi biologiche e tossiche, il protocollo di Kyoto e molti altri accordi internazionali. Dopo l’11 settembre quella che era una “tendenza” è diventata la politica ufficiale degli Usa. L’autore avanza proposte concrete ed estremamente convincenti per dimostrare che una politica multilaterale fedele agli storici principi democratici dell’America è nell’interesse sia degli Stati Uniti che del resto del mondo.
– 17/09/2006
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– 15/09/2006
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– 01/03/2004
Stato canaglia
Questo libro è un importante e originale contributo all’acceso dibattito sul ruolo degli Stati Uniti nel mondo. Un’intelligente sintesi tra il radicalismo da “outsider” di Micheal Moore e il pensiero geopolitico più istituzionale di Robert Kagan. Clyde Prestowitz, fondatore e presidente dell’Economic Strategy Institute, una “think-tank” molto influente a Washington e incarna al meglio un “movimento” radicalmente nuovo nella recente storia americana: i dissidenti dell’”establishment”, parte integrante dell’élite ma inclini al cambiamento, amanti dell’America ma contro la guerra, patriottici ma con occhio critico, favorevoli a un’influenza americana nel mondo ma consapevoli del bisogno di ascoltare le opinioni degli alleati.
L’autore afferma che gli Stati Uniti si possono a tutti gli effetti definire uno “Stato canaglia”; riconduce in modo molto coerente questa nuova realtà alla radicale presa di posizione unilateralista adottata dall’amministrazione Bush negli ultimi due anni.
Nei mesi precedenti agli attacchi dell’11 settembre gli Usa hanno infatti stracciato il trattato sul controllo del traffico delle armi leggere, il trattato sull’eliminazione delle mine anti-uomo, la convenzione sulle armi biologiche e tossiche, il protocollo di Kyoto e molti altri accordi internazionali. Dopo l’11 settembre quella che era una “tendenza” è diventata la politica ufficiale degli Usa.
L’autore avanza proposte concrete ed estremamente convincenti per dimostrare che una politica multilaterale fedele agli storici principi democratici dell’America è nell’interesse sia degli Stati Uniti che del resto del mondo.
– 18/12/2003
Com’è solo lo zio Sam
INTERVISTA
Già consigliere di Reagan, Clyde Prestowitz denuncia in un saggio il punto debole della politica Usa: l’unilateralismo
Rovesciare la prospettiva e capovolgere il punto di osservazione per leggere la realtà con occhi diversi. Accettando di farsi venire il dubbio che anche l’America, in un certo senso, possa essere uno “Stato canaglia”. È l’obiettivo, o l’azzardo forse di Clyde Prestowitz, il quale nel suo Stato canaglia: la follia dell’unilateralismo americano (Fazi, pagine 350, euro 16,50) mette sotto la lente d’ingrandimento decenni di politica estera ed economica americana, dimostrando, con innumerevoli episodi, come la tentazione di agire in solitaria, che da sempre permea l’animo americano, spesso è finita per ritorcersi contro gli interessi della superpotenza. Prestowitz passa in rassegna i più controversi temi della politica americana, dalle relazioni con la Cina e l’Europa, alla presenza nella polveriera mediorientale. Dal ritratto esce un’America, non soltanto quella delle élite ma anche quella dell’abitante dell’Ohio o del New Jersey, gelosa del suo way of life, e compatta, liberal o conservatori al governo, nel difenderlo. Urge quindi un passo indietro, anzi un approccio multilaterale, è la tesi di Prestowitz, ex membro dell’amministrazione Reagan e direttore dell’Economic Strategic Institute, think tank molto influente a Washington, per uscire dalla crisi politica e d’immagine cui sono piombati gli Usa e che ha innescato aspri sentimenti di antiamericanismo in tutti i continenti. I segnali che giungono dalle cancellerie di tutto il mondo dopo la cattura di Saddam sembrano andare nella direzione di un’America più attenta ai nuovi equilibri mondiali anche se per convenienza più che per convinzione. Il “baratto” fra Bush e Chirac, aziende francesi in Iraq in cambio della cancellazione del debito di Baghdad verso Parigi, è in questo caso una nota importante.
Mr Prestowitz, ha avuto fegato a intitolare il libro “Stato canaglia”. Le ha procurato qualche grattacapo negli ambienti politici di Washington?
“Fortunatamente, l’America è ancora un Paese relativamente libero. Ci sono le persone cui il libro non è piaciuto, ma molti, sia fra i repubblicani sia fra i democratici, l’hanno apprezzato”.
Non sbaglio se dico che ai neoconservatori non è piaciuto, vero?
“Per niente. Ma dai conservatori tradizionali ho ricevuto elogi”.
Lei punta il dito contro l’unilateralismo, che seppur con diverse sfumature, etichetta come una costante della politica Usa. Ma allora nel Dna di Washington c’è l’allergia ai Trattati internazionali e agli organismi sovranazionali?
“Non proprio. Gli Stati Uniti non hanno scartato molti trattati anche se ad alcuni non hanno aderito [Tribunale penale internazionale, ndr] o non li hanno ratificati [il protocollo di Kyoto, ndr]. Tuttavia è una dato di fatto che l’America è sempre stata riluttante a ridurre la sua libertà di azione”.
Questa amministrazione però non sembra incline ad accettare condizionamenti esterni.
“Sì, però ora l’Amministrazione Bush sta cominciando a capire che è difficile e poco produttivo agire unilateralmente e sta cambiando registro. Ha invitato la Nato a partecipare alla missione irachena, ha sposato un approccio multilaterale nella questione nordcoreana, e sull’Iran collabora con la troika europea”.
Eppure l’annuncio del Pentagono di escludere le aziende francesi, tedesche e russe dalla ricostruzione in Iraq va nel senso opposto al multilateralismo?
“È stata una mossa vendicativa e sciocca. Non tiene conto dello sforzo della Germania in Afghanistan. E poi non scordiamoci che malgrado l’opposizione all’intervento in Iraq, Berlino ha concesso agli americani l’uso delle basi. Inoltre non si capisce perché il Giappone, il cui unico merito è stato dire: “Anche noi siamo nella coalizione”, è stato inserito fra i Paesi beneficiari delle commesse per la ricostruzione”.
C’è stata un’inversione di tendenza anche riguardo la Cina…
“Già dall’11 settembre si è avuto un ammorbidimento della linea verso Pechino in nome della collaborazione in funzione anti al-Qaeda. Poi i rapporti sono progressivamente migliorati. La recente affermazione di Bush contro il referendum sull’indipendenza di Taiwan è una svolta importante. E salutare”.
Lei dedica ampio spazio al Medio Oriente nel suo libro. Che margini vede per un’intesa fra le parti?
“Sono scettico. Non succederà nulla fino a quando questa Amministrazione non farà pressioni serie sugli israeliani”.
Le farà?
“I gruppi della destra fondamentalista sono più filoisraeliani di Israele e la loro influenza sulla Casa Bianca è più forte di quella di ebrei e neoconservatori. Bush, in fondo, viene da quel mondo”.