«La mia Ingeborg» di Tore Renberg candidato al Premio Strega Europeo 2024

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La mia Ingeborg di Tore Renberg, tradotto dal norvegese da Margherita Podestà Heir, è candidato al Premio Strega Europeo 2024.

Il romanzo verrà presentato al Salone Internazionale del Libro di Torino sabato 11 maggio alle 17.15 con l’autore e Francesca Giannone.

Teso come un thriller e commovente come una storia d’amore, La mia Ingeborg di Tore Renberg è uscito in Norvegia nel 2020, affermandosi subito come un grande successo letterario. Premiato come il miglior romanzo dell’anno dai librai e dai blogger norvegesi, ha vinto il premio Ordknappen. È in corso di traduzione in sette paesi.

Tollak è un uomo pieno di contraddizioni: testardo e sensibile, rude e orgoglioso. Ormai vecchio e solo, barricato nella sua fattoria, non fa che imprecare contro il mondo che da tempo, per lui, ha smesso di avere senso. L’unica persona che lo teneva attaccato alla vita era lei: sua moglie Ingeborg, amatissima, scomparsa da qualche anno. “Tollak di Ingeborg”, lo chiamava la gente del paese. I suoi due figli, ora adulti, hanno abbandonato la valle, teatro di un’infanzia difficile; oggi vivono in città e passano a trovarlo di rado. Soltanto Oddo è rimasto con lui: “Oddoloscemo”, per i vicini, lo zimbello di tutti, un ragazzo problematico di cui si prende cura da quando, ancora bambino, è stato abbandonato dalla madre. La vita di Tollak, soprattutto negli ultimi anni, è stata avvolta nel silenzio: troppo difficile dare voce alla rabbia che gli brucia dentro. Prima che sia troppo tardi ha bisogno di condividere con i due figli il suo segreto. O meglio, i suoi segreti: le verità che Tollak ha sempre tenuto per sé sono molte, e sono una più sconvolgente dell’altra.

«La mia Ingeborg ha tutto: storia, stile, ritmo. E un’anima nera come l’inferno».
Luca D’Andrea

«Tore Renberg è un autore solido come una roccia. Il suo ritratto del vecchio Tollak mi ha fatto pensare a Stoner di John Williams».
«Tønsbergs Blad» «

Ciò che Tore Renberg ha realizzato con questa storia è magistrale. Con Tollak, Renberg ha creato il personaggio più complesso e decadente di quest’anno».
«bok365»

Dalla rassegna stampa italiana:

«Un libro duro, impietoso, amaro, eppure palpitante di vita, e una Norvegia lontana e pervasa dal freddo dell’inquietudine, diversa da quella idilliaca da cartolina, dove l’amore e la ferocia provocano il battito dello stesso cuore».
Angelo Ferracuti, «La Lettura – Corriere della Sera»

«In questo libro non c’è nulla da indovinare, nulla di inatteso e sconvolgente, ma non è un giallo e non lo vuole essere. Ed è proprio in questa inevitabilità degli eventi che può trovare valore la riflessione che emerge da questa lettura, la comprensione delle dinamiche che stanno alla base di un abbandono a una china ripida e sassosa lungo la quale i personaggi di questa storia rotolano senza fermarsi, urtando sassi, rami, ferendosi, sanguinando».
Sarah Savioli, «Robinson – la Repubblica»

«Abilissimo narratore, Renberg crea pagina dopo pagina l’attesa spasmodica di un evento e allo stesso tempo disegna per tasselli progressivi un personaggio difficile da dimenticare, un’anima disperata con una forte energia interiore».
Santa Di Salvo, «Il Mattino»

«Certi romanzi nascondono un magnete, per questo è quasi impossibile staccarsene prima di averli finiti. È così per La mia Ingeborg, un thriller nerissimo, la cui oscurità coincide con il protagonista Tollak».
Laura Pezzino, «Vanity Fair Italia»

«La trama ha tutti gli ingredienti misurati nei rapporti di forza: aggressività e tenerezza, ombra e luce, dolore e piacere. Un sapiente neoromanticismo cattura il lettore con abilità, a partire dalla durezza del protagonista che fa leva sul pedale dell’emozione, imponendosi con un ambiguo punto di vista sugli avvenimenti».
Marta Morazzoni, «Il Sole 24 Ore – Domenica»

«La mia Ingeborg è un libro che non lascia scampo, sotto tanti punti di vista, a cominciare dalla lettura, impossibile da interrompere fino all’ultima pagina. Un grande e lungo monologo, con un protagonista che ci fa perlustrare cosa c’è di là dal baratro umano».
Alessandra Pigliaru, «il manifesto»

 

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