Siamo orgogliosi di presentare al pubblico italiano, con un estratto dal primo capitolo, «Anima» di Wajdi Mouawad, una sconvolgente odissea contemporanea, e un’ardita provocazione letteraria: capitolo dopo capitolo, il filo della narrazione è ripreso da una successione di animali, immergendo il lettore nella loro percezione della realtà.
Felis Sylvestris Catus
Carthusianorum
Avevano giocato tante volte a morire l’uno nelle braccia dell’altra, così tante volte che, nel trovarla tutta insanguinata in mezzo al salotto di casa, è scoppiato a ridere, convinto di essere di fronte a una messinscena, una simulazione in grande stile per sorprenderlo una volta per tutte, sconvolgerlo, lasciarlo di stucco, fargli perdere la testa, metterlo nel sacco.
Lasciando cadere il sacchetto di plastica giallo – proprio quella mattina lei gli aveva detto tutta allegra Compra un po’ di tonno perché il tonno-leva-il medico-di-torno –, ha capito che era morta, perché aveva gli occhi aperti, lo sguardo fisso e le mani intorno alla ferita, con il coltello piantato lì nel sesso.
Toglietemi la terra da sopra la testa, avrebbe voluto urlare, come quel giorno lontano in cui alcuni uomini lo avevano sepolto vivo. Non devo piangere, si è ripetuto più volte, se piango, se grido, ricominceranno da capo, mi tireranno fuori, mi uccideranno e mi rimetteranno dentro. E anche adesso, in piedi in mezzo al corridoio dell’ingresso, senza più cognizione del tempo, è rimasto immobile, ha smesso di respirare, per paura che tutto ricominci da capo, che lei muoia di nuovo, il che è assurdo in fin dei conti, perché non ci sono dubbi sul fatto che sia già morta, le mani aggrappate alla lama, mazzo di fiori sul ventre squarciato. Forse, chissà, aveva cercato di estrarre il coltello mentre era agonizzante, ma se così era stato, doveva essere morta prima, perché lo sforzo richiedeva troppo sangue. Sono sicuro che lui ha pensato agli ultimi battiti del suo cuore, pesce gatto in mezzo al petto, abbandonato a se stesso, trascinato verso il fondo. Sono sicuro che ha pensato al suo sangue che correva per l’ultima volta in una corsa sfrenata e cieca attraverso il dedalo delle sue vene, per poi sgorgare come una risata dalla ferita aperta del suo sesso, dove il coltello era stato affondato e riaffondato e riaffondato e riaffondato ancora.
Léonie!… Léonie!… Non era niente, né un’invocazione, né un lamento, appena un bisbiglio, il riflesso del quotidiano. Gli piaceva tanto pronunciare il suo nome, e ogni volta ci metteva tutta la dolcezza di cui era capace, Léonie, mi piace così tanto dire il tuo nome, Léonie, volano libellule a ogni movimento delle labbra, Léonie, non c’erano più libellule. Di fronte a lui si ergevano i mobili e gli oggetti, insopportabili nel loro mutismo, nella loro indifferenza alla sventura.
La luce del giorno, dileguandosi in mezzetinte sempre più deboli, ha finito per abbandonare la casa, aspirata attraverso le due grandi finestre dal movimento generale del mondo come in fondo a un imbuto. Era l’ora in cui il cielo, nella sua limpida bellezza, conservava una luminosità azzurrina simile a quella delle vetrate della cattedrale dove a volte amo girovagare.
Non saprei dire per quanto tempo è rimasto immobile, quanto tempo è trascorso prima che andasse a inginocchiarsi accanto a lei. Lo vedevo nel chiarore giallastro dei lampioni di fuori, che chiazzavano di luce una parte del salotto. Ha avvicinato il viso al viso di lei, ogni istante che passava ci separava sempre più da Léonie, pallida come una stella troppo lontana, illividita dalle tenebre della notte. Si è rialzato, ha sollevato la testa, ha respirato e, prendendosi il ventre tra le braccia incrociate come per calmare una fitta acuta, ha emesso un gemito, né grido né pianto, piuttosto un vomito rauco, provocando una vibrazione che ha fatto tremare i vetri dell’appartamento nelle loro cornici di legno.
Il mondo rimane uguale a se stesso finché gli umani stanno in piedi. È una legge naturale, inscritta nei miei geni. Ecco perché mi sono spaventato a morte quando l’ho visto a quattro zampe, con le mani a terra nella pozza di sangue, chino sulla superficie per berne il colore. Mentre si rialzava, si è guardato i palmi delle mani e se li è portati al viso.
Ho mangiato il tonno che era nel sacchetto di plastica e ho bevuto l’acqua del water. È venuta la notte e poi il sole e un’altra volta la notte e poi le nuvole e la pioggia e ancora la notte e degli uccelli prima che alcuni uomini a me sconosciuti sfondassero la porta per venire a prenderli e portarli via tutti e due.