Cassandra al matrimonio

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Siamo orgogliosi di presentare al pubblico italiano, con la pubblicazione di Cassandra al matrimonio, la  scrittrice americana Dorothy Baker. In occasione dell’uscita di uno dei suoi capolavori, pubblichiamo la traduzione di Andrea Marchetto dell’articolo di Nicholas Lezard apparso il 30 ottobre 2012 su «The Guardian».

 

Grazie alle instancabili argomentazioni di Howard Jacobson e di altri si è ormai radicata l’idea che disprezzare un romanzo solo perché si ritiene poco amabile il protagonista non sia, in realtà, un modo sofisticato di leggere. È ovvio che appoggio del tutto questo punto di vista, ma non significa che sia immaturo o sbagliato trovare piacere nei personaggi che uno scrittore crea, sia che tu sia lo scrittore o il lettore.
Ci stavo pensando mentre affrontavo la figura del padre in Cassandra al matrimonio: imbevuto di Hennessy, ma pur sempre affascinante, ha rinunciato alla cattedra in filosofia perché «lo infastidiva partecipare agli appuntamenti». La sua più grande conquista sembrerebbe il talento e la devozione delle sue figlie gemelle, le quali, con gradi differenti, hanno preso esempio da lui e osservano il mondo attentamente, misurando ogni parola. Non mi ci è voluto molto scoprire chi mi ricordava: Mr Bennet, il padre di Elizabeth.
Questa potrebbe essere infatti una versione moderna e distorta di Orgoglio e pregiudizio.

È, infatti, una commedia nera sul matrimonio.
Cassandra, che è stata chiamata così perché al momento della sua nascita pianse come la sua omonima alle porte di Troia, ha scoperto che sua sorella si sta per sposare, e ci uniamo a lei mentre guida da Berkeley fino al ranch del padre per arrivare in tempo per le nozze. È abbastanza chiaro che provocherà, volontariamente o no, qualche incidente.
Lei e la sua gemella, Judith, sono da sempre inseparabili e si considerano, non senza un pizzico di ragione, al di sopra e al di là della gente comune («Possiamo iniziare a vivere dove l’immaginazione degli altri non arriva», dice Cassandra a un certo punto, e le sue parole impressionano e raggelano. Ma Judith è stata a New York per qualche mese con, come sappiamo, qualche conseguenza dannosa per Cassandra.
E sono le sue, azioni di un intelligenza estremamente neurotica che ci allarmano e ci fanno tenere forte. Il suo flacone delle pillole per dormire recita “aiuta a dormire” e lei dice di non capire perché i farmacisti non scrivano “aiutano a rinfrancare la bassissima tolleranza per la bruta stupidità di questi mondo”.
Così, Cassandra è sicuramente un personaggio, e mentre è mostruosamente egoista, assorbita in se stessa e un alone di minaccia le gira costantemente attorno, può raccontare una storia. E ci si finisce dentro. Si può dire sin dalle primissime parole d’apertura che la sua non è una voce come le altre: «Gli dissi che sarei stata libera il 21, e così arrivai il 22 (di giugno)». Una frase, o due, solo a prima vista banali: ma siamo subito incuriositi dal mese messo tra parentesi. Ci mostra una mente pedante che rende rapidamente chiara l’imprecisione; un tono che suggerisce già che lei è, comunque, stanca di dover sottolineare l’ovvio e felice di eludere le convenzioni della formalità. E così, alla luce del sole, difficilmente lo si nota. E mostra anche che nonostante il materiale del libro sia oscuro allo stesso tempo non si discosta troppo dai temi della commedia.
Questo gioiello perfetto di romanzo non è mai banale. Deborah Eisenberg scrive nella sua utile postfazione riprendendo la teoria del Simposio di Platone secondo la quale l’amore è cercare la propria metà perduta, che siamo tutti, in un certo senso, gemelli.
Pubblicato per la prima volta nel 1962 (il suo primo romanzo è stato Young Man With a Horn, su Bix Beiderbecke ma che non mi catturo forse a causa del mio poco orecchio per il jazz), il lettore moderno può apprezzare il disinvolto e accettato materialismo, un attento ritratto di una piccola parte della società, in cui si può riconoscere la soleggiata California.
Una lezione su come il buonsenso sia più apprezzato dell’intelligenza senza che questa venga denigrata. Eisenberg afferma che questo libro «non dovrebbe mai essere smesso di stampare», e non potrei essere più d’accordo. Questo romanzo, nonostante la sua ambientazione specifica, non ha epoca: veramente ben scritto e sempre attuale.

Nicholas Lezard

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