Pubblichiamo il discorso tenuto da Knut Hamsun in occasione del conferimento del premio Nobel al Grand Hôtel di Stoccolma il 10 dicembre 1920. Per i sentieri dove cresce l’erba, il contrastante e contrastato diario di Knut Hamsun che ripercorre le fasi del procedimento giudiziario subito dal grande artista al termine della seconda guerra mondiale in qualità di accusato di connivenza filonazista è il suo estremo capolavoro, terminato nel 1948. Un autoritratto indimenticabile, l’altissima testimonianza della fragile nudità di ogni uomo di fronte alla propria morte.
Cosa ci faccio alla presenza di una tanto graziosa e tanto sopraffacente generosità? Non ho più i piedi piantati a terra, cammino per aria, mi gira la testa. In questo momento non mi è facile essere me stesso. Ho ricevuto onori e accumulato ricchezze in questo giorno. Io son quello che sono, ma sono travolto dal tributo che è stato pagato al mio paese, dalla forza del suo inno nazionale che ha risuonato in questa stanza un minuto fa.
Forse è pur vero che questa non è la prima volta che sono stato travolto. Nei giorni della mia benedetta giovinezza ci furono queste occasioni; in quale giovane vita non accade? No, gli unici giovani ai quali questo sentimento è straniero sono quei giovani conservatori che sono nati vecchi, che non conoscono il significato di essere trasportati via. Nessun destino avverso può far cadere un giovane uomo o donna, se non una prematura tendenza alla prudenza ed alla negazione. Il paradiso sa che ci sono centinaia di opportunità anche nella vita avanzata, da essere colte. Rimaniamo quello che siamo, ché, senza dubbio, questa è un’ottima cosa per noi.
Comunque, non devo indulgere alla saggezza casereccia di fronte a un’assemblea tanto distinta, specialmente perché sarò seguito da un rappresentante della scienza. Presto mi siederò di nuovo, ma questo è il mio grande giorno. Sono stato prescelto dalla vostra benevolenza, tra migliaia di altri, e coronato d’alloro! In rappresentanza della mia patria ringrazio l’Accademia di Svezia e tutta la Svezia per l’onore che mi hanno concesso. Per quanto mi riguarda piego il capo sotto il peso di una tale onorificenza, ma sono anche orgoglioso che la vostra Accademia abbia potuto giudicare le mie spalle abbastanza robuste per portarla.
Stasera un autorevole oratore ha detto che ho la mia maniera di scrivere, e forse questa è l’unica cosa che io possa rivendicare, e null’altro. Comunque ho imparato qualcosa da ciascuno e qual è l’uomo che non abbia imparato un pochino da tutti? Ho avuto molto da imparare dalla poesia svedese, e, più in particolare, dalla lirica dell’ultima generazione. Se io fossi più a mio agio con la letteratura e i suoi grandi nomi, potrei continuare a citarli ad infinitum e riconoscere il mio debito per il valore che avete avuto la bontà di riconoscere nella mia opera. Ma, provenendo da una persona come me, sarebbe una mera caduta di stile, l’effetto di un suono sordo senza un’unica nota bassa ad accompagnarlo. Non sono abbastanza giovane per questo; non ne ho la forza.
No, ciò che davvero desidererei fare adesso, nel pieno splendore delle luci, davanti a questa illustre assemblea, è omaggiarvi con doni, con fiori, con offerte di poesia – essere giovane ancora una volta, ritrovarmi sulla cresta dell’onda. Questo è quel che vorrei fare in questa grande occasione, quest’ultima opportunità per me. Ma non oso farlo, perché non saprei sottrarmi al ridicolo. Oggi sono stato coperto di ricchezze e onori, ma un unico dono mi manca, il più importante di tutti, l’unico che abbia davvero importanza, il dono della giovinezza. Nessuno di noi è così vecchio da non ricordarsene. Sarebbe bello se noi che siamo invecchiati potessimo fare un passo indietro, e farlo con dignità e con grazia.
Non so che cosa dovrei fare – non so quale sia la cosa giusta, ma sollevo il mio bicchiere alla gioventù di Svezia, ai giovani di ogni luogo, a tutto ciò che, nella vita, è giovane.