L’arte di correre in Giappone e nel romanzo «Il guardiano della collina dei ciliegi» di Franco Faggiani

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correre Faggiani

Aspettando l’uscita, il 2 maggio, del nuovo romanzo di Franco Faggiani, Il guardiano della collina dei ciliegi, l’autore approfondisce il tema della disciplina della corsa in Giappone.

 

Il guardiano della collina dei ciliegi, romanzo che prende spunti dalla vita reale del maratoneta giapponese Shizo Kanakuri, vissuto nella prima metà del secolo scorso, debutterà in libreria il 2 maggio. Il giorno dopo in cui, in Giappone, inizierà a regnare Il nuovo Imperatore Naruhito e si aprirà l’era Reiwa, dove ‘wa’ sta per pace, armonia, equilibrio. Le stesse condizioni che il protagonista della mia storia ricercherà per tutta la sua vita. Insomma, una strana concomitanza di date e di aspirazioni.

Il wa in Giappone è alla base di ogni attività e impegno. Anche nello sport e nella corsa in particolare. Correre per i giapponesi è una pratica fisica ma soprattutto una filosofia di vita. Le due cose si rispecchiano particolarmente nell’Ekiden, non una corsa come tante ma un vero rito, che calamita l’attenzione di un intero Paese per ore e giorni. Tutto si ferma per poter seguire, come spettatori a bordo strada o davanti a uno schermo, questo appuntamento, al quale partecipano in prevalenza studenti universitari. Si tratta, in pratica, di una corsa a staffetta (il ‘testimone’ che i concorrenti si passano è un nastro di tessuto), su percorsi che variano da poche migliaia di metri a oltre duecento chilometri. Niente di strano, da un punto di vista sportivo. Ma il wa trasforma la corsa, la tramuta da attività rigorosamente individuale a gioco di squadra. Per darle valore ognuno deve essere responsabile, in pace e in armonia. Senza questi presupposti non c’è successo né scoperta di se stessi. Correre in Giappone è dunque una filosofia e, spesso, anche un jolly da calare al momento opportuno.

Naturalmente da una massa così ampia di praticanti emergono poi anche dei campioni: sui 100 migliori maratoneti del mondo 95 sono dell’Africa Orientale (keniani ed etiopi) e 5 sono giapponesi.

Alla corsa dei giapponesi si è interessato qualche anno fa Adharandand Finn, giornalista, scrittore – e maratoneta – inglese, che nel 2015 ha pubblicato in Italia “L’arte giapponese di correre”, scoprendo che per i runner del Sol Levante la corsa è un’ossessione. E, per molte aziende, un business colossale (il wa, in questo caso, va un po’ a fasi benedire…). Finn ha incontrato non solo runner, ma anche disegnatori di fumetti manga in cui i protagonisti sono dei corridori, poi filosofi, sacerdoti e alcuni monaci-maratoneti, che vivono alle falde del monte Hiei, a nord est di Kyoto, e che per raggiungere l’illuminazione devono percorrere, prevalentemente di corsa, 46.400 chilometri in sette anni. In pratica 157 maratone all’anno, con i sandali di paglia ai piedi.

Le cose che davvero contano sono sepolte dentro di noi sotto gli strati più terreni del nostro io. La corsa, nella sua semplicità e pura brutalità, toglie questi strati e rivela l’essenza umana. Così ha detto Finn dopo la lunga esplorazione nell’universo runner giapponese.

Da qualche anno, per potermi dedicare maggiormente alla scrittura, ho scelto di svolgere lavori che possano essere più diluiti nel tempo, che non mi costringano a vivere ogni giorno e a lungo sempre nello stesso posto. Per esempio seguo, in alcuni aspetti organizzativi, il Tor des Géants, così si chiama una delle corse più estreme del mondo, che si tiene in settembre tra le montagne della Valle d’Aosta. Si tratta di correre per 330 chilometri sui sentieri d’alta quota e all’edizione 2019, la decima, parteciperanno atleti di 74 nazioni. Atleti fuori dall’ordinario, s’intende, vista la tipologia e le difficoltà della gara. Italiani e francesi vantano il maggior numero di iscritti, per ragioni di territorialità e di vicinanza, ma poi, al terzo posto, ci sono i giapponesi, che anche per l’endurance trail, come si chiama in gergo questa tipologia di gara su lunghe distanze e in territori difficili, ormai stravedono. Ecco dunque l’interesse per una nuova disciplina, la corsa in natura.

Di questa, come anche della maratona, Shizo Kanakuri è stato, “a sua insaputa”, il precursore. La sua vera passione era correre in libertà, da solo e senza alcuna regola tra i boschi e le montagne della sua isola, a sud del Giappone; il suo impegno con l’imperatore è stato correre la maratona delle Olimpiadi di Stoccolma del 1912, con esiti decisamente sorprendenti. Che Il guardiano della collina dei ciliegi vi svelerà.

 

Franco Faggiani 

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