L’introduzione di Hilary Mantel a «Quel tipo di ragazza»

•   Il blog di Fazi Editore
A A A
Howard

Se si vuole descrivere un matrimonio – come prima o poi accade ai romanzieri – tre sono gli elementi da tenere in considerazione: il marito, la moglie e il matrimonio in sé. Il matrimonio è l’isola su cui i coniugi prendono vita o meno – tagliati fuori dal resto del mondo, ma pur sempre esposti ai pirati di passaggio e all’occhio perspicace dei coloni.

Elizabeth Jane Howard queste cose le sa; anzi, che sappia tutto? Le sue acute osservazioni, si direbbe, sono il risultato di un’esperienza ponderata, di un’indagine attenta. Non ricorre mai alle facili conclusioni della psicologia spicciola e delle comuni formule; si accosta ai personaggi con un misto di empatia e di distacco che non ha eguali.

Quel tipo di ragazza è la storia di Edmund e Anne Cornhill e dell’ospite indesiderato. I due sono insieme da dieci anni, in un matrimonio che ha portato loro molta felicità. Godono di agiatezza economica, infatti Edmund è un agente immobiliare di rango superiore e posizione sociale rispettabile. Dispongono di una magnifica villa sul fiume nei pressi di Henley e di un giardino in cui Anne riversa le sue passioni e la sua perizia. A letto gradiscono la compagnia reciproca e la loro vita familiare è regolata al millimetro, affinché sortisca a entrambi il massimo piacere e la massima serenità.

Una coppia invidiabile, che non può neppure essere accusata di compiacersi della propria situazione, tale è il garbo con cui l’autrice si occupa delle loro speranze e delle loro paure. Scrive con esilarante scrupolo della dolcezza, dell’ostinazione con cui le due amorevoli metà si danno esattamente ciò che non vogliono. Edmund e Anne sono molto legati, molto attenti ai bisogni l’uno dell’altra. Ma non possono essere l’altra persona, dunque è inevitabile che qualcosina sbaglino. Edmund le porta la colazione a letto tutte le mattine, credendo di coccolarla; tutte le mattine Anne si rammarica tra sé per quella perdita di tempo. Edmund è prevedibile, pensa, ma del resto è ciò che le piace; è già stata sposata una volta e quel primo tentativo le aveva dato più che modo di assaporare il comportamento opposto.

A conclusione del libro però, ripensando a quegli idilliaci dieci anni, Anne si chiederà: «Ma se tutto andava così bene per entrambi, com’era stato possibile mandarlo all’aria tanto facilmente?».

Il mondo esterno reclama i suoi diritti sin dalla prima pagina; scopriamo che per sabotare in modo semplice e veloce un matrimonio felice basta l’arrivo della persona giusta/sbagliata. E il pericolo potrebbe essere direttamente proporzionale all’innocenza della terza intervenuta…

Arabella è una povera ragazzina ricca. La madre, Clara, era stata sposata con il padre di Edmund – ma visto che si è sposata sei volte e nel frattempo ha avuto molti amanti, il loro è un legame esile. Clara, «un elefante pronto a dare di matto», è dispotica, manipolatrice e un tantino patetica. Con Edmund mantiene dei contatti sporadici; il telefono di solito squilla quando ha un favore da chiedere. Adesso cerca un alloggio – per un tempo non meglio specificato – dove sistemare l’importuna figliola.

Arabella ha ventidue anni. Arriva con l’aria malata, le occhiaie scure sotto gli occhi. C’è poco da stupirsi: è tutta la vita che la madre la tratta come un pacchetto postale che di tanto in tanto viene smarrito o recapitato all’indirizzo sbagliato. Edmund e Anne, messi di fronte al compito di avere cura della ragazza, di accoglierla nelle loro vite, non possono che prendere atto della loro agiatezza economica, della larghezza che sono in grado di permettersi.

Se c’è una cosa difficile per una romanziera è creare un personaggio che abbia fascino. Non basta affatto dire al lettore che il tale o la tale è affascinante; è assolutamente controproducente. Tuttavia, se Arabella non ci affascinasse – in certa misura, almeno – il libro non funzionerebbe. Dobbiamo capire perché quelle persone esigenti, paghe del loro mondo, ne restino incantate, perché senza di lei si sentano monche. Howard ci mette davanti agli occhi la bellezza semplice e poco studiata della ragazza, ci fa sentire il suo modo arguto e bizzarro di esprimersi. Quando è affettata – e rischia spesso di esserlo – ci sembra che sia per l’ansia di piacere agli altri.

Arabella è di cultura sommaria, buona di cuore e non conosce il valore dei soldi, avendone tanti: è in cerca disperata d’amore e non vorrebbe affatto essere considerata solo una seccatura, un’appendice. Nel corso degli anni ha subito gli approcci dei mariti e degli amanti collezionati dalla madre, degli «schifosi alla Humbert Humbert». Non sempre è una facile compagnia. Non sembra conoscere nessun tipo di regole, neppure quelle della conversazione; dà risposte meditate a domande retoriche o poste soltanto per cortesia. Nella sua vita non c’è mai stata continuità. La calma, per lei, è soltanto ciò che segue alla tempesta.

Un’adorabile ragazza che non conosce le regole o che sceglie di non tenerne conto: sarà mica pericolosa? Il lettore coglie i segnali d’allarme, ma Anne si sente talmente fortunata e soddisfatta della propria vita che è propensa a essere generosa con gli altri. Sappiamo che Edmund è un uomo vulnerabile. Lascia che le cose gli accadano – eppure non accade abbastanza. Arabella in lui vede un uomo dall’aria «un po’ allampanata e indefinita di uno che dovrebbe avere vent’anni in meno di quelli che in realtà ha». Quando inizia l’inevitabile tresca – non rivelo niente che il lettore non intuisca alla svelta – Edmund riflette sulla sua situazione: «Tutti gli uomini della mia età attraversano una crisi di questo genere. Ma non gli veniva in mente nessun esempio, anche perché non conosceva nessuno così intimamente da ricevere confidenze del genere».

Stenta a capire il suo comportamento e di certo non capisce assolutamente Arabella. «…aveva sempre pensato a se stesso come al protettore, all’uomo solido che si fa carico del benessere e della sicurezza di chi gli sta intornomentre lui era quello che, come una donna, voleva passare al setaccio i reciproci sentimenti come se fossero avulsi dal resto delle loro vite». Lui vuole essere costretto in una situazione in cui si avveri ogni cliché di un ménage à trois; ma Arabella sfugge ai cliché.

E ovviamente questa è una storia che va molto al di là dell’eterno triangolo. Quel che non possiamo intuire fin dal principio è come evolveranno i sentimenti di Anne nei confronti di Arabella. Poi ci sono le storie parallele: l’orrenda Clara e il suo attuale consorte, l’amico omosessuale di Arabella che sta invecchiando conscio del fatto che, con la bellezza che se ne va, se ne andrà anche il suo compagno.

Tra le trame secondarie la più importante riguarda Henry, un attore sconsiderato che si dibatte in difficoltà economiche, per breve tempo amante di Arabella. Henry abbandona la moglie, Janet, e la lascia quasi al verde con i loro due figli. Janet non compare spesso sulla pagina ma la conosciamo perché siamo state con lei dal macellaio mentre tenta di comprare del petto d’agnello, con lui che si lamenta di doverlo tagliare e le offre delle costolette che lei non può permettersi. Sono i piccoli dettagli a portarci al cuore della crudeltà e del disordine e della noncuranza dell’esistenza umana, e la penosa fine di Janet è la corrente sotterranea più buia e profonda che attraversa il libro. Ci siamo appena detti che tutto sommato stiamo leggendo una storia abbastanza rassicurante e via, il senso di rassicurazione viene spazzato dalla pagina.

In tutti i romanzi di Elizabeth Jane Howard vige un perfetto equilibrio tra il mondo interiore e il mondo esteriore, tra la sensualità e l’intelletto. Leggendo della villa dei Cornhill pensiamo: «Sì, mi piacerebbe andarci, essere loro ospite» – mangiare la trota salmonata con i lamponi comprati, scelti e preparati con tanta cura, sorseggiare il Pimm’s sotto gli alberi estivi. In modo identico rabbrividiamo al pensiero della casa fredda e umida di Janet, dove non c’è mai l’acqua calda e i bambini piagnucolano di continuo e la disperazione le si appollaia sulla spalla come un malefico uccello predatore. Howard è precisa nei dettagli: le uova alla Benedict e il roast beef freddo che costituiscono un pasto dimesso nella vita di Clara, l’opprimente impresa di contare il centesimo che permette a Janet di sfamare i figli. Eccola, la fatiscente casa di campagna che Edmund va a visitare per la sua agenzia: «In cucina trovarono una ciotola di plastica piena di patate germogliate e un calendario con le attrazioni della Scozia. Era aperto al mese di febbraio, con una foto piuttosto sinistra del lago di Loch Ness. […] E poi pile di giornali ingialliti, una mazza da croquet incrinata, un piccolo, vecchio album di fotografie con signore vittoriane sedute all’aperto su poltrone di vimini, i parasole elegantemente inclinati. Sotto una delle immagini c’era una scritta sbiadita: “La Signorina Fawcett?”».

È questo punto interrogativo il segno di un talento straordinario: il dubbio ectoplasmatico che arriva fino a noi dai defunti di altre epoche. Chi è… dove… e la domanda chi la fa? E il mesto rendersi conto che non c’è nessuno a voler sapere la risposta, non più.

Come in tutti i suoi libri, i personaggi minori sono netti, ben definiti e rimangono immediatamente impressi. Lì c’è il parrucchiere che, con il rasoio in mano e una mentina in bocca, «si lanciò nel suo solito monologo sui crimini di natura sessuale». E là il pescivendolo che, consegnando i granchi per la cena, aggiunge: «Ho tolto io le parti meno buone. Va da qualche parte, quest’anno? Mi dia retta, nessun posto è come casa propria. Brian lo dice sempre, che le esperienze nuove non fanno per lui».

Nel libro manca l’epigrafe, forse perché l’autrice non ha bisogno di interventi esterni. Ma una sintesi che si adatta bene al tutto proviene da Sydney Smith: «Il matrimonio ricorda un paio di cesoie, impossibili da separare tanto saldamente sono unite, spesso impegnate in movimenti opposti, tuttavia sempre pronte a punire chi si mette in mezzo». E se in una parola si dovesse dire di cosa parla il libro, si potrebbe rispondere: «Di bugie». Molte sono le illusioni che nutre la gioventù, ma la più devastante è credere che, se le persone sono sincere, tutto si sistemerà. E l’idea di sincerità che ha Arabella è molto particolare: non si è tenuti a dire niente se non ce lo domandano espressamente.  Il libro terminerà con una di quelle dure manovre di salvataggio che in generale sanno mettere in pratica le persone sopra i trentacinque anni. Sarà Arabella, che ha dato tanto amore – e, secondo lei, senza volere niente in cambio –, che alla fine soffrirà.

Le storie di Elizabeth Jane Howard scorrono talmente alla lettura che siamo portati a trascurare la formidabile tecnica di cui dispone. I suoi romanzi offrono un’irripetibile mescolanza di pungente commedia e fine psicologia; le sue storie sono profondamente avvincenti, dotate di una struttura elegante e talvolta complessa. Quel che ne rende straordinaria la forma è la sicurezza con cui l’autrice passa da un filone narrativo all’altro. A ogni svolta della trama lascia nel lettore il desiderio di saperne di più. È un’arte difficile da governare: i tempi, la tessitura sono tutto.

Sono tutto anche sul piano della singola frase o del singolo capoverso. Per quanto mi riguarda, mi insospettisce chi sostiene di adorare “la bellezza delle parole”: spesso si tratta di persone che non leggono poi molto e non riflettono su ciò che hanno effettivamente letto. Eppure a me non è che stia a cuore soltanto il contenuto; voglio essere sorpresa da una similitudine, travolta da un ritmo; mentre leggo, voglio essere la damigella che regge lo strascico alla signora della lingua. Nei romanzi di Elizabeth Jane Howard il matrimonio tra forma e contenuto sembra perfetto; il divorzio è da escludere. Lei è una di quelle romanziere che con la loro opera ci mostrano a cosa serve il romanzo. Ci consente di vedere quando siamo miopi. Affina il potere dei nostri sensi e la nostra consapevolezza, e ci aiuta a raccordare la nostra limitata esperienza all’esperienza più vasta. Ci aiuta a compiere ciò che è necessario: aprire gli occhi e spalancare il cuore.

 

Hilary Mantel, 1994

Privacy Policy   •   Cookie Policy   •   Web Design by Liquid Factory