Una felicità fragile

•   Il blog di Fazi Editore - Parola ai traduttori
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In occasione dell’uscita di Quel tipo di ragazza, la traduttrice Manuela Francescon racconta il romanzo di Elizabeth Jane Howard.

 

Odd girl out è uno dei romanzi che Jane Howard ha composto negli anni del suo matrimonio con Kingsley Amis.

Chi volesse collocare la lavorazione di questo libro nella vita di chi lo ha scritto, potrebbe rivolgersi alla biografia di Artemis Cooper che reca l’eloquente sottotitolo Un’innocenza pericolosa, e troverebbe che l’autrice vi si è dedicata in un periodo di soverchiante lavoro domestico. Da sempre quasi ossessionata dalla necessità e dal piacere di fare casa, Howard dedicava lunghe ore alla cura della sua bella dimora tardo georgiana nell’Hertfordshire e soprattutto alla cucina: mai un pasto freddo o messo insieme alla bell’e meglio, in casa Amis, ma sempre almeno due portate, due diversi contorni di verdure e un pudding fatto in casa. Ma molti dubbi già minavano questo zelo casalingo, se negli stessi mesi Howard si dedicava anche alla scrittura di Odd girl out, un libro salutato in modo tiepido dalla critica e che a me sembra invece mirabile per le diverse e opposte angolazioni da cui viene scandagliato un tema davvero caro all’autrice, ovvero, per l’appunto, la felicità domestica.

Una coppia alto borghese affiatata e felice, che vive in una bella casa in campagna non troppo lontana dalla metropoli, precipita in una crisi imprevista dopo l’arrivo di Arabella, una ragazza molto giovane, bella e ricca, che non conosce altro modo che la seduzione per ottenere un po’ dell’affetto di cui ha un disperato bisogno.

Si è scritto che i due protagonisti, Edmund e Anne, sono ritratti con amorevole precisione – ed è vero – e anche con colpevole indulgenza; ma fin dalla prima pagina Howard mostra come, sotto la cupola protettiva di una vita quotidiana curata nei minimi dettagli, colma di attenzioni, affetto, agio e coltivata qualità, si nascondano desideri inespressi, abissi di scontento, incomprensione calcolata e anche, soprattutto in Edmund, cecità e meschinità. Il punto di vista dell’autrice riesce a sdoppiarsi in modo credibile e sincero: la felicità domestica di Edmund e Anne non è una menzogna, ma il frutto di un lavoro quotidiano, soprattutto di Anne. È insomma un edificio che si costruisce piano piano e che poi necessita continua manutenzione, una manutenzione tacitamente affidata alla parte femminile e che tende anche per questo a diventare invisibile, col risultato che il fragile edificio viene scambiato per un solido dato naturale. E i desideri nascosti perfino a sé stessi, sono reali anche quelli: la povera Arabella, figura innocente e suo malgrado pestifera, non fa che portarli allo scoperto e intrecciarli al suo bisogno d’amore. Anche a lei Howard offre il suo sguardo pieno di empatia e indulgenza ironica: del resto la fragilità emotiva è una materia che conosce bene.

Chi ha già amato la scrittura di Howard ne ritroverà in questo romanzo l’acume psicologico che non esclude la partecipazione, l’amore per i dettagli eloquenti e non, la sottile critica sociale e l’eleganza impareggiabile.

 

Manuela Francescon

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