Tradurre «Resta con me» di Elizabeth Strout

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Resta con me

In occasione dell’uscita di Resta con me, abbiamo chiesto alla traduttrice Silvia Castoldi di raccontarci la sua esperienza con i romanzi di Elizabeth Strout.

 

Tradurre questo romanzo è stata per me un’esperienza insolita: anche se, dopo aver affrontato Olive Kitteridge, conoscevo già il mondo della provincia americana del Maine in cui in passato Elizabeth Strout ha ambientato le proprie narrazioni, qui si è trattato di calarsi in un contesto reso ancora più lontano sia a causa dell’epoca in cui si svolgono gli eventi (il 1959), sia dal fatto che il protagonista, Tyler Caskey, sia un ministro del culto della Chiesa Congregazionalista.

Si è trattato quindi di un tuffo in un mondo e in un’atmosfera spirituale molto diversi da quelli del cattolicesimo, e che emergono con chiarezza già a partire dal titolo, che in inglese è Abide with me, ovvero il titolo di un inno sacro composto nel 1847 da Henry Francis Lyte. Nella Bibbia di Re Giacomo il verbo “abide” compare in Luca 24, versetto 29, quando i discepoli, che hanno incontrato Gesù risorto sulla strada per Emmaus, gli dicono “Abide with us, for it is toward evening and the day is far spent.” Nella traduzione CEI 2008 i discepoli dicono: “Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto”; da qui la decisione di tradurre il titolo con Resta con me, che riecheggia il titolo di un canto religioso italiano, Resta con noi Signore la sera, anch’esso ispirato da quel passo del Vangelo.

Giovane, brillante e pieno di fervore, il reverendo Tyler Caskey viene accolto con entusiasmo dalla piccola comunità di West Annett; ma la sua vita va in pezzi quando la bella moglie muore di cancro lasciandolo solo con due bambine piccole. Tyler non trova più dentro di sé la forza per fare da guida spirituale al proprio gregge, la sua predicazione si inaridisce e i fedeli, sentendosi traditi e trascurati da lui, covano un crescente rancore che li porta a diffondere pettegolezzi meschini e privi di fondamento. La tensione monta in tutta la cittadina fin quasi al punto di esplodere; e alla fine è proprio Tyler a farsi carico di un peso emotivo ormai insopportabile e a trovare il coraggio di manifestare apertamente e senza freni il proprio dolore in chiesa, di fronte al suo intero gregge, in un momento liberatorio di catarsi collettiva.

Forse ancor più che in Olive Kitteridge, in questo romanzo il rigore puritano dei discendenti dei Padri Pellegrini, con il loro profondo terrore per il peccato e l’altrettanto profonda diffidenza verso un perdono divino chiesto spesso con troppa disinvoltura (la “grazia a buon mercato” che ricorre nel libro), trova un continuo rispecchiamento nel rigore del paesaggio spesso aspro e del clima inclemente che li circondano. “Dovete capire” scrive Strout “che le regioni dell’entroterra del New England settentrionale, con le loro estati brevi e calde e i lunghi inverni cupi, avevano allevato intere generazioni secondo uno stile di vita che ruotava attorno al bisogno di sopportare. (…) Se gli uomini non erano particolarmente loquaci, lo stesso valeva per i loro padri. (…) E se i loro figli non avevano il permesso di essere anestetizzati quando gli trapanavano una carie, non era per mancanza di buon cuore, ma in virtù del convincimento che la vita era una lotta, e il carattere andava forgiato a ogni passo del cammino.”

La caratteristica principale che contraddistingue i personaggi del romanzo è dunque il fatto che le loro emozioni, i loro sentimenti, non sono quasi mai urlati o proclamati, ma spesso sussurrati o taciuti. In loro il non detto prevale sul detto: non importa quanto siano disposti a rivelare di sé, o quanto siano costretti a scoprire su se stessi, alla fine la componente più intensa e profonda della loro vita emotiva resta in parte inespressa, indicibile, una corrente sotterranea che attraversa le loro storie senza mai emergere del tutto se non indirettamente, nei loro gesti e nelle loro azioni ma non nelle loro parole.

Queste correnti sotterranee di emotività, questa tendenza dei personaggi a mantenere segrete le proprie motivazioni non solo agli altri ma anche e in primo luogo a se stessi, rendono necessaria una lettura preliminare particolarmente attenta del testo, per poter cogliere tutte le sfumature della loro psicologia. A ciò si aggiunge che lo stile di Strout è chiaro e limpido, e la sua prosa ha uno splendido ritmo, ma spesso, nel suo scavo progressivo dei significati sempre più reconditi delle azioni e delle parole dei protagonisti, procede per incisi e sovrapposizioni, per sfumature e allusioni, che rendono non facile il compito di conservare questo stile senza appesantire troppo il testo, e mantenendone la musicalità.

Gabriel Garcìa Marquez diceva che un libro non si finisce, lo si abbandona; credo che questo valga sia per il lettore, che potrebbe trovare all’infinito nuovi significati in un romanzo, sia per l’autore, che potrebbe andare avanti all’infinito a correggere, limare e perfezionare la propria opera, sia per il traduttore, che allo stesso modo potrebbe andare avanti all’infinito a correggere, limare e perfezionare la sua traduzione.

E proprio di traduzione parla un brano dell’ultimo capitolo di Resta con me, in cui viene riportata questa riflessione di Tyler Caskey: “Pensò ai traduttori che, solo qualche anno prima, nel preparare la versione riveduta della Bibbia, avevano modificato il primo versetto: «In principio quando Dio creò il cielo e la terra», e rifletté su quanto fosse bella l’aggiunta di quella parola, “quando”, allo scopo di rendere palese quello che secondo loro era il senso dell’originaria parola ebraica: Dio esisteva prima dell’inizio.”

Credo che questo passo sia uno splendido omaggio al lavoro di noi traduttori, al fatto che il nostro scopo sia quello di “rendere palese il senso” del testo originale: proprio come per uno scrittore, il cui processo creativo è a sua volta un percorso di traduzione, dalla lingua privata delle emozioni e delle immagini a quella pubblica della pagina scritta, anche per un traduttore l’importanza della ricerca e della scelta delle parole è fondamentale, e la modifica o l’aggiunta anche di una sola parola è in grado di fare un’enorme differenza. La vita stessa, del resto, scrive Strout nel terzo romanzo suo da me tradotto, I ragazzi Burgess, è “un diluvio di traduzioni, dagli aneliti nebulosi del cuore agli aspetti immutabili del mondo fisico”.

 

Silvia Castoldi

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