La genesi di «Per chi è la notte» di Aldo Simeone

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Per chi è la notte

Aspettando l’uscita il 5 settembre di Per chi è la notte, Aldo Simeone ci racconta com’è nato il suo romanzo.

 

Da piccolo ho assistito a un evento paranormale: ho visto un mostro uscire dallo sciacquone di un Autogrill. Voleva mangiarmi. Sono scappato.

Crescendo, mi hanno insegnato a chiamarla allucinazione. Ma ciò non cambia la sostanza dei fatti: ho visto un mostro uscire dallo sciacquone di un Autogrill. L’ho visto. Usciva dallo sciacquone. Era un mostro. Ho avuto paura, una paura folle.

«Ok, hai visto un mostro, ma lui c’era?».

Crescendo, t’insegnano a farti questa domanda per cogliere la differenza fra la realtà e le allucinazioni. È un giochino comodo, per carità, come la prova del nove nelle operazioni aritmetiche, ma come questa – appunto – tutt’altro che infallibile.

La realtà è… (cerco sul vocabolario): «la condizione di ciò che è vero».

Cresci ancora, magari studi pure Pirandello, e scopri che le cose non stanno esattamente in questi termini: tra il vero e il reale c’è differenza.

Ecco, le storie non servono solo a passare momenti piacevoli d’irrealtà. Per questo ci sono anche i videogiochi o le droghe. Servono soprattutto a ricordarci un insegnamento: ciò che (probabilmente) non è vero può benissimo essere reale. Per me lo è stato. Io il mostro l’ho visto. Nella mia crescita psicofisica è esistito. Per tanti anni ho evitato di frequentare i bagni degli Autogrill. Tuttora do molto malvolentieri la mancia ai custodi delle toilette pubbliche. Li reputo… corresponsabili.

È per mettere in guardia i bambini dal mostro dei bagni pubblici che ho iniziato a scrivere. Anzi, no: per mettere in guardia i loro genitori. Non sottovalutate le allucinazioni! Sono reali.

In Per chi è la notte non ci sono né Autogrill né bagni pubblici, eppure sento che l’episodio paranormale della mia infanzia c’entra in un qualche modo. Siamo nel 1943, in Garfagnana, e nelle case non c’è neppure l’acqua corrente, figuriamoci gli sciacquoni. Ci sono però due bambini (vi dice nulla Henry James?) e c’è la paura (è risaputo: un trio inseparabile). La paura vera, rappresentata dalla guerra, e quella reale, rappresentata dal bosco. La prima è la più grande paura adulta: morire. E non per un accidente o la vecchiaia o una malattia, ma per decreto di Stato. La seconda è la più nera paura bambina: perdersi nel bosco. L’una e l’altra raccontano lo stesso terrore: sparire, essere dimenticati. A unire le due paure, ci sono le storie; quelle di un tempo, che avevano ancora il potere di non chiedere la sospensione dell’incredulità, ma cieca fede e devozione: le leggende e i miti del folklore.

Tutto è nato da una gita a Minucciano, in Garfagnana. Non proprio tutto. Avevo già in testa la fissa del bosco. Volevo che i bambini protagonisti ne avessero paura e curiosità (come è giusto che sia per le cose spaventose). E che fosse proibito entrarci (una ragione in più per volerlo fare). Ma avevo bisogno che in quel bosco ci fosse sul serio qualcosa di spaventoso, qualcosa che potesse essere sia vero sia reale.

Già, ma che cosa?

È qui che entra in gioco la mia gita in Garfagnana, «l’ultima regione dell’universo» – a detta degli stessi garfagnini: così lontana da tutto, che la realtà vi si allenta un poco e la magia diventa realmente possibile.

L’ho vista compiersi con i miei occhi. Un pomeriggio normale. Bel tempo, aria frizzante. Mentre cammino lungo una striscia d’asfalto che si avvita intorno al monte, sento un rumore. Come un colpo di gong. Qualcosa ha urtato il guardrail.

Un cervo. Si ferma proprio davanti a me. Due metri appena più in là. I palchi di corna simili a fiamme ossificate. Due lucidi occhi neri pieni di sapienza. È un istante magico, oserei dire metaforistico. Trascende il reale. È magia, appunto.

Da allora iniziai a documentarmi sui miti e le tradizioni garfagnine. Mi trovai a spalancare il Pozzo di san Patrizio: fate, giganti, linchetti, streghe, diavoli in forma di capro e noci accerchiati da sabba infernali. Ma, soprattutto, gli streghi: creature misteriose che vagano di notte in lunghe processioni, al lume del loro indice alzato. Se li incontri, ti chiedono: «Per chi è la notte?». Guai a non conoscere la risposta, perché diventi uno di loro.

Ogni passione umana è una dipendenza. In America esistono gruppi di sostegno per qualsiasi cosa; non mi stupirei di trovarne uno per «inventori di storie». In fondo soffrono tutti di un vizio comunissimo: la cleptomania. Si “inventa” per accumulo, ricorrendo al taccheggio della realtà o di altre storie o di sogni o allucinazioni.

Pezzo dopo pezzo, per costruire questo romanzo ho messo insieme frammenti di esperienza a volte lontani nello spazio e nel tempo. Ho unito, per esempio, la Garfagnana e il Monferrato. È qui, infatti, che si trova il Bosco delle Sorti tanto temuto e vagheggiato dal protagonista Francesco. Qualcuno potrebbe considerarla una forzatura, in un romanzo storico. Rispondo che il romanzo storico stesso è una forzatura. Per fortuna.

La cosa bella di ogni narrazione è che mente sempre. E lo fa assai meglio della gente, che – come ha scritto Stephen King – «certe volte mente soltanto tacendo».

 

Aldo Simeone

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