Thomas Cahill
Come gli irlandesi salvarono la civiltà
Traduzione di Catherine McGilvray
«Senza la missione dei monaci irlandesi che da soli, dalle insenature e dalle valli del loro esilio, rifondarono la civiltà europea in tutto il continente, il mondo venuto dopo sarebbe stato completamente diverso. Sarebbe stato un mondo senza libri e il nostro mondo non sarebbe mai nato».
Sono rari gli storici capaci di unire alla ricchezza e alla solidità delle informazioni una autentica vena narrativa. Dotato di queste virtù, e di una passione per la sua materia che non concede mai nulla a facili improvvisazioni, Thomas Cahill ha scritto un libro memorabile sul periodo più oscuro della storia europea, quella misteriosa età di transizione che va dalla caduta dell’impero romano all’affermazione dell’autorità di Carlo Magno. Un periodo in cui fu la stessa nozione di “cultura” a venire radicalmente rielaborata, in entrambe le sue articolazioni fondamentali: la conservazione e la trasmissione del sapere. Nessuno, prima di Cahill, aveva con tanta abbondanza d’argomenti messo in rilievo il ruolo che in questo processo di trasformazione intellettuale svolse l’Irlanda monastica. Trascinato da un’arte del racconto che potrà ricordare le pagine dei grandi storici del passato (da Gibbon a Michelet fino a Croce), il lettore verrà a conoscenza del mondo di San Patrizio e del Book of Kells, godendo la novità di una “storia mai scritta”, il cui carattere avventuroso ha già fatto del libro di Cahill uno dei maggiori best-seller americani degli ultimi anni.
«Da due anni, Come gli irlandesi salvarono la civiltà di Thomas Cahill è uno dei maggiori bestseller della più grande Irlanda del pianeta, gli Stati Uniti d’America. Perché è un libro che esalta l’orgoglio etnico di quel piccolo grande popolo, e perché è avvincente e di vera godibilità. È un libro di storia, documentato, rigoroso, sui secoli più bui del medioevo».
«la Repubblica»
«Non accade spesso che una “storia della cultura” venga presentata senza sussiego e pesantezze accademiche. Cahill porta il lettore con ritmo rapido da una scena all’altra».
Marco Politi, «la Repubblica»
– 12/01/1998
Dobbiamo tanto ai monaci irlandesi
L’Irlanda antica conobbe un vasto movimento monastico, iniziato da san Patrizio, la cui vita avventurosa incomincia nel 401, quando è condotto schiavo a sedici anni dai Celti, in una razzia nel territorio dei Britanni. I quali Britanni costituiscono uno dei tanti regni romano-barbarici che vanno assimilando a modo loro la cultura di Roma, cristianesimo compreso. Non così i Celti d’Irlanda, popolo più antico. Parlano il “goidelico” e prolungano una tradizione lontana dal cristianesimo romanizzato. E’ un popolo violento, che pratica la schiavitù e il cannibalismo; dove le donne godono spesso di poteri di giurisdizione pari a quelli maschili. Praticano la magia e conoscono il mondo mistico delle profezie druse. Il grande merito di Patrizio fu di accettare la civiltà irlandese per quello che era e innestarvi il cristianesimo, senza pretendere di convertirla prima alla romanità. A questi guerrieri impetuosi propose l’ideale della solitudine, del sacrificio e della preghiera. Dapprima sorsero eremi e grotte solitarie. Poi questi solitari, venuti a contatto con i resti della cultura classica, si diedero agli studi e si radunarono in grandi monasteri. L’Irlanda divenne la terra dei monaci e delle scuole monastiche, dove si affrontavano, più che altrove spregiudicatamente, gli studi antichi. A queste scuole accorsero i giovani da tutta Europa e poi furono i monaci stessi a invadere l’Europa con i loro metodi, la loro totale libertà culturale. San Colombano percorrerà l’Europa fino a Bobbio. “Senza la missione dei monaci irlandesi che da soli, dalle insenature e dalle valli del loro esilio, rifondarono la civiltà europea in tutto il continente, il mondo venuto dopo sarebbe stato completamente diverso. Sarebbe stato un mondo senza libri e il nostro mondo non sarebbe mai nato”, scrive Cahill, eruditissimo saggista americano. Conosce la cultura classica e il passaggio alle singole culture vetero-europee. Ha studiato le leggende irlandesi contenute nel “Tain” e nel “Book of Kells”, e tutte le fonti fantastiche della letteratura irlandese antica. Il suo libro è stato un “best seller” in America.
– 01/05/1998
Thomas Cahill ci racconta come l’Irlanda abbia preservato la cultura classica. E fondato quella moderna
ALTRO CHE BOSSI! FURONO I CELTI IRLANDESI A SALVARE LA MEMORIA DI ROMA
V secolo: crolla l’Impero e i testi dei classici rischiano di sparire. Solo i monaci dell’isola, discepoli di San Patrizio e alfieri di un ideale cristiano umile e “moderno”, tengono in vita quel patrimonio. E se oggi leggiamo Virgilio è solo merito loro.
Sei Celti irlandesi fossero stati chiusi in sé, e secessionisti, come Bossi, oggi probabilmente Bossi non potrebbe parlare di “Roma ladrona” perché di Roma si sarebbe persa la memoria. Il ragionamento è lievemente paradossale, lo riconosciamo, ma ha un suo fondamento. Lo si rintraccia fra le righe di un singolarissimo libretto da poco uscito in Italia, “Come gli irlandesi salvarono la civiltà”, scritto da un americano, Thomas Cahill, che è di origine irlandese, ma che a Roma ci sta benissimo al punto di essersi comprato una casa, a Trastevere: capita l’antifona? Il titolo del suo libro, che in America è da due anni fra i best-sellers e ha venduto svariati milioni di copie, affonda le proprie radici in un momento storico ben preciso: il crollo dell’Impero Romano. Una fase di passaggio irta di rischi. Occorre pensare sembra ovvio dirlo, ma non lo è, che allora non c’erano né Internet, né le fotocopiatrici, né i libri a stampa. Diffondere la cultura significava trascriverla a mano con amore e fatica. Le “biblioteche” erano poche e nel passaggio dall’Impero alla frammentazione (e dal paganesimo al cristianesimo) molte andarono distrutte. Gli “amanuensi” del Medioevo erano ancora di là da venire: stiamo parlando del V secolo, e “Il nome della rosa” si svolge svariati secoli dopo. Ci fu un unico paese in cui, durante quell'”intervallo” storico fra la caduta dell’Impero Romano e l’avvento di Carlo Magno (tre secoli abbondanti), la cultura classica, venne preservata: l’Irlanda. E per un motivo che Cahill spiega con dovizia di storie e di aneddoti: in Irlanda non c’era stato l’Impero, i romani non si erano mai spinti fin là. Erano sbarcati, sì, in Inghilterra, ma l’avevano colonizzata con molte difficoltà e un pizzico di snobismo. In quanto all’Irlanda chissà se mai vennero a conoscenza della sua esistenza. L’isola rimase libera, unico pezzo d’Europa in cui il cristianesimo giunse non sulla punta delle spade romane, ma come una parola dolce e rasserenante. Grazie a San Patrizio, ancora oggi patrono dell’isola, che arrivò fra gli irlandesi come un amico. “San Patrizio, o per meglio dire Saint Patrick – ci spiega Cahill -, fu un personaggio al tempo stesso semplice e straordinario. Nel mio libro lo contrappongo a Sant’Agostino, uno dei padri della Chiesa, che è un altro grande testimone dell’implosione dell’Impero. Agostino è un intellettuale platonico che vive con un forte senso di colpa le proprie radici classiche. Le sue “Confessioni” sono il libro fondante della coscienza occidentale, il primo autodafè, l’irruzione dell’Io nella scena della letteratura e della coscienza. E’ dilaniato dal proprio desiderio, vive con dolore le proprie esperienze sessuali. San Patrizio è l’opposto. E’ un santo senza sensi di colpa. Nei suoi testi non parla mai del peccato sessuale. Ed è il primo santo che va dai “barbari” da solo disarmato. L’Irlanda, allora era come Marte. L’Impero, lassù, non c’era mai stato, e San Patrizio ci va libero, a sua volta, da ogni legame con l’imperialismo romano. Nel V secolo, San Patrizio è il primo a condannare lo schiavismo e a considerare i “barbari” come persone”. E’ dopo la predicazione di San Patrizio che gli irlandesi diventano pian piano, cristiani. Ma lo diventano a modo loro e chiunque vada in Irlanda ancora adesso coglie benissimo la dimensione del tutto autoctona, e “unica” del cattolicesimo locale. L’Irlanda è un paese profondamente religioso dove la ritualità religiosa e il senso di colpa sembrano totalmente assenti. Questo sembra dar ragione alla famosa battuta di Freud puntualmente citata da Cahili, secondo la quale gli irlandesi sono l’unico popolo di fronte al quale la psicoanalisi è del tutto impotente: “La verità è che ogni popolo trova un modo per essere psicologicamente sano”, dice Cahill. D’altronde, è indiscutibile – sembra una battuta ma non lo è – che il centro della vita sociale e spirituale nelle comunità irlandesi non è la chiesa, ma il pub. Pub dove sia chiaro vanno uomini, donne e bambini a differenza di quelli inglesi assai più segregati dal punto di vista sessuale e generazionale. Al di là di questo, comunque, nel V secolo nasce la grande apertura dei celti irlandesi che liberi dall’imperialismo da sempre, fanno proprie le radici culturali di quell’Impero e le conservano anzi le tramandano fino a noi. Detto più concretamente, oggi non leggeremmo i classici, da Virgilio a Ovidio, se in Irlanda qualcuno non li avesse trascritti. E anche questa trascrizione assume, in Irlanda, caratteri propri. Esempio. Sentite cosa scrive il monaco che ha appena finito di trascrivere, nel Libro di Leinster, il “Tain”, uno dei poemi epici dell’isola: prima cosa il faticoso lavoro di copiatura con un pio “amen”, poi, in irlandese con la formula bardica della cultura orale: “Siano benedetti tutti coloro che memorizzeranno fedelmente il “Tain” in questa forma, senza dargliene un’altra”. Ma, non soddisfatto, aggiunge una considerazione propria in latino: “Io, che ho copiato questa storia, o più precisamente questa fantasia, non do alcun credito ai dettagli della suddetta storia, o fantasia. Alcune cose in essa contenute sono menzogne diaboliche, altre invece sono invenzioni poetiche; alcune sembrano possibili e altre no; alcune sono per il divertimento di idioti”. Insomma, i manoscritti irlandesi di quel tempo sono, ci spiega Cahill, degli “ipertesti”: mescolano le lingue e sono pieni di appunti personali, di disegnino, di commenti, messi lì dallo scriba anche per alleviare la noia. Spesso (Cahill ipotizza che si trattasse di giovani studenti) aggiunge liriche di suo pugno, tutt’altro che caste; subentrando a un collega, lamenta la sua pessima calligrafia; in certi casi brontola senza mezzi termini come l’estensore di un manoscritto esasperato dalla difficoltà del testo in greco antico che ha appena terminato di copiare: “Per fortuna è finito e che sia maledetto sette volte!” Insomma l’amanuense celta è un amanuense “creativo” proprio ciò di cui i filologi, nella loro inevitabile chiusura mentale, hanno un sacro terrore. “La verità – ci spiega Cahill – è che per i celti così come per gli irlandesi moderni, le lingue non sono cose morte, ma sono un meraviglioso gioco. E sono un gioco – loro non conoscevano questa parola, ma noi oggi possiamo usarla senza tradire il loro pensiero “interattivo”. Le lingue debbono parlarsi. Quando occorre, si può anche inventarle: pensiamo alle lingue create da Tolkien per far parlare, nel “Signore degli anelli”, gli elfi o i nani o gli orchi di Mordor. Tolkien non è irlandese, ma è come se lo fosse. Con i manoscritti dal V secolo in poi nasce il testo aperto, in cui lo scrivano cerca di includere un po’ tutto, ogni epoca, lingua o stile a lui conosciuto. In letteratura, non si sarebbe visto più nulla di simile fino a quando James Joyce scrisse l'”Ulisse”. Alla fin fine, si può ben concludere che gli irlandesi da un lato salvarono la cultura classica, dall’altro posero le basi per quella moderna. E’ questa la storia che Cahill racconta con uno stile brillante e divulgativo che può ricordare, a noi italiani, il miglior Umberto Eco: che, detto per inciso, è il saggista non il romanziere. “Io non sono uno storico professionista – ci spiega Cahill – non ho un approccio accademico. Ho bisogno di incontrare dei personaggi. Mi immergo nei documenti, nei testi, come uno storico ma riesco a capirli, e a divulgarli quando da essi “esce” una persona, e la vedo davanti a me, in carne ed ossa”. Sarà, anche questo, un retaggio irlandese: “Sono nato a New York, mi sento molto newyorkese, però i miei quattro nonni erano tutti irlandesi e questo, qualcosa, conterà. Solo uno di loro parlava gaelico, io lo capisco appena, abbastanza per leggere le scritte stradali quando sono nella contea di Sligo… Ma mia madre raccontava storie, di continuo, cantava canzoni, e parlava a proverbi. Sono cresciuto ascoltando un inglese poetico e “fiabesco” molto diverso da quello che si ascolta nelle vie di New York. Per me era una sorta di lessico familiare, e ritrovarlo poi vivo nelle contee occidentali dell’Irlanda è stata una grande emozione”. Emozioni simili, in Irlanda, possono capitare anche al turista ignaro, figurarsi allo studioso dai nonni gaelici. Inevitabile chiedere a Cahill un’indicazione, una “dritta”, un luogo dove quest’anima irlandese si può rintracciare meglio che altrove. “Ognuno deve trovare il proprio. Io e mia moglie trovammo il nostro alla prima visita, dopo tre giorni di vagabondaggi in auto nella campagna, battuta dalla pioggia perenne. Arrivammo presso un convento francescano senza il tetto, magnifico. Sopra c’era l’arcobaleno. Accanto, un “bed & breakfast” gestito da persone stupende che poi sono divenuti amici e sono i padrini di mio figlio. Per la cronaca, era la cittadina di Quin, e il mio nome completo è Thomas Quin Cahill. Il cuore della mia Irlanda si chiama come me”.
– 10/08/1997
Parla Thomas Cahill, che spopola negli Usa con un suo libro
COME L’IRLANDA SALVO’ IL MONDO
“La pace a Belfast? Una scommessa. Ma la gente la vuole”
ROMA Il Papa? “La più grande figura politica degli ultimi 50 anni”. I politici? “Figure mediocri, piccoli uomini a cui manca la visione globale delle cose”. La pace a Belfast? “Una scommessa di certo non sicura ma la gente vuole la pace. E l’avrà visto che preti protestanti e cattolici stanno per la prima volta pregando insieme”. Thomas Cahill è uno scrittore americano dal sorriso contagioso e dalle idee chiare. Parla della sua nuova casa romana nel cuore di Trastevere, un regalo che si è concesso dopo l’immenso successo ottenuto in America del suo libro che parla del ruolo dei monaci irlandesi durante il crollo dell’Impero romano. Dopo essere stato per oltre due anni tra i primi dieci best – seller negli States, “Come gli irlandesi salvarono la civiltà” esce adesso anche in italiano (Fazi Editore, pagg.252, lire 29mila).Newyorchese di origine irlandese, cattolico, erudito (legge greco antico, latino e adesso anche ebraico), Cahill ha la passione per le età di transizioni. Quei periodi ai margini della storia in cui qualcosa finisce ma non è chiaro cosa stia cominciando. ”Sì, perché non se ne occupa mai nessuno, è difficile, per esempio, trovare dei testi su cosa sia successo in Europa quando i Visigoti invasero l’Impero romano. Ecco perché ho scritto questo libro su come i monaci irlandesi salvarono i testi della civiltà romana mentre infuriava la distruzione dei barbari”. In realtà, molti studiosi negli Stati Uniti si sono detti perplessi della tesi di questo gradevolissimo romanzo storico che mette insieme i travagli interiori di Sant’Agostino con la cristianizzazione dell’Irlanda ad opera di una giovane sfuggito alla schiavitù: San Patrizio. “Lo so, ma nessuno può provare che non sia vero che i monaci irlandesi, chiusi nei loro conventi, abbiano copiato tutte le grandi opere mentre gli originali venivano distrutti. Noi non saremmo gli stessi, la nostra cultura non sarebbe la stessa se quei libri fossero andati perduti”. Nel libro lei descrive la figura di San Patrizio, il cristianizzatore d’Irlanda. A 14 secoli di distanza c’è un San Patrizio nel mondo? “Credo che la Comunità di Sant’Egidio qui a Roma stia facendo delle grandi cose. Offrono del cibo e un futuro a masse di persone che non hanno niente”. E il Papa? “Un grande personaggio, il più grande personaggio politico degli ultimi cinquant’anni, capace di portare sulle spalle il dolore del mondo. Ci sono delle cose che non gli perdono, naturalmente, il fatto che non si è distaccato dalla tradizione cattolica conservatrice, ma resta un grande uomo. E non è poco in un’era in cui i politici sono piccoli uomini a cui manca la visione globale delle cose. Parliamo delle trattative di pace nel Nord dell’Irlanda tra i nazionalisti cattolici che vogliono l’indipendenza e i protestanti fedeli a Londra. “Non è una scommessa certa. Potrebbero andare male, ma il fatto che si siano seduti a parlare è il frutto di cambiamenti che si stanno verificando sotto la superficie. Per la prima volta in Irlanda preti cattolici e protestanti stanno pregando insieme. Anche al Nord. I diciotto mesi di pace che ci sono stati prima che l’Ira riprendesse a mettere le bombe hanno significato così tanto per la gente che ha realizzato di poter avere una vita normale di nuovo. Questo vale di più dei tecnicismi di chi comanda, la gente vuole la pace attraverso qualche tipo di compromesso”. Ma lei fa il tipo per i protestanti o per i cattolici? “E’ difficile rispondere, perché i cattolici sono sempre stati considerati i neri del Nord dell’Irlanda, discriminati terribilmente. Ma capisco anche i timori dei protestanti che hanno paura di essere assorbiti in un’Irlanda cattolica trionfalista, con la Chiesa cattolica come unica religione. A questo punto sarebbero loro una minoranza in quello che potrebbe trasformarsi in uno Stato cattolico poco amichevole e pieno di pregiudizi. “Ecco, se fossi un protestante nell’Irlanda del Nord non vorrei far parte della repubblica. Quelli che proprio non mi stanno simpatici, invece, sono i britannici. Sono stati loro a creare questo problema dividendo l’Irlanda in un modo assolutamente artificioso. Negli Anni Venti hanno creato l’Ulster in un modo ridicolo in maniera che ci fosse una chiara maggioranza protestante. L’ hanno chiamata Ulster ma non è l’Ulster perché mancano tre contee, quelle cattoliche”. Come si potrebbe risolvere il conflitto? “I vescovi cattolici dovrebbero annunciare che non vogliono uno Stato cattolico e che non interferiranno mai con la democrazia. Non hanno mai fatto una dichiarazione così inequivoca. Le loro dichiarazioni fino a poco tempo erano terribili, estremamente intolleranti. Non ci dimentichiamo che il divorzio in Irlanda è passato solo un paio di anni fa. Credo che la Chiesa, non solo in Irlanda, ma in tutto il mondo debba ancora fare i conti con gli stati secolari, rendersi conto che il cattolicesimo è una religione tra le tante e che ci sono molte persone che non hanno un credo e che non ne vogliono alcuno”. Cosa è successo dai tempi di San Patrizio, quando la Chiesa cattolica irlandese era la più libera del continente? “La storia dell’Irlanda è così orribile. E’ stata la prima colonia d’Europa per sette secoli, trattati come colonizzati per tutto quel tempo. Nel diciottesimo secolo i cattolici furono deprivati di tutti i diritti civili, non potevano votare, non potevano possedere la terra, non potevano dire messa, i preti non potevano essere educati.”Nel Diciannovesimo secolo, poi, successero due cose: una fu la carestia che uccise milioni di persone e che devastò l’Irlanda come entità sociale, e l’altra fu il sopravvento dell’inglese come lingua nazionale imposto dai britannici a spese dell’irlandese. Ma l’inglese che gli irlandesi impararono non fu la lingua di Shakespeare ma quello della regina Vittoria. Impararono cioè la lingua di una Inghilterra rigida e borghese in uno dei suoi momenti storici peggiori. “C’è una barzelletta con cui gli irlandesi si prendono in giro: dice che gli irlandesi sono i sudditi più leali della regina Vittoria. Come dire i più repressi. Ma le cose stanno cambiando molto velocemente”.
Le origini e le vicende dell’Irlanda in un saggio un pò disinvolto
SULLA FEROCIA E LA MAGIA DEI CELTI CADDE LA LUCE DI SAN PATRIZIO
Qualche laicista, che ha evidentemente equivocato sulle intenzioni espresse dal Santo Padre quando egli chiede perdono degli errori della Chiesa, si è indignato perché certi cattolici hanno domandato che anche le altre comunità cristiane, e le altre organizzazioni religiose non – cristiane, e gli agnostici, e gli atei, facciano altrettanto. Perché nella storia di errori e orrori ne hanno commessi tutti. Ben venga, infatti, l’ammissione del fatto che i cattolici hanno le loro responsabilità nello sviluppo dell’antisemitismo; ma protestanti e agnostici “laici” considerano provocatorio che si rammentino anche quelle dei loro padri storici. Eppure gli scritti antigiudaici di Lutero e le “boutades” antisemite di Voltaire hanno ben poco che stia loro alla pari. Allo stesso modo, qualcuno si è offeso e meravigliato perché si è parlato delle persecuzioni anticattoliche di Oliver Cromwell: come se i suoi veri o supposti meriti come iniziatore storico del parlamentarismo lo assolvessero dai massacri perpetrati, specie nel biennio 1549-1650, in Scozia e in Irlanda. Colpa questa anche dei nostri manuali scolastici, che non dimenticano mai di denunziare – anche a sproposito – la ferocia di un Tommaso di Torquemada, ma trattano poi Cromwell come se fosse una specie di appartenente al movimento filosofico sperimentalista inglese: qualcuno il nome del quale sta bene dopo quelli di Locke, di Berkeley e di Hume. Se ad esempio si conoscesse un po’ meglio la storia d’Irlanda, si giudicherebbero le cose un po’ diversamente. Di solito, i nostri manuali scolastici parlano distrattamente di una “questione irlandese” specie a partire dal “Catholic Relief Bill” del 1829, come se quell’atto che avviò il peraltro lungo, ostacolato e reso doloroso cammino dei cattolici soggetti al Regno Unito verso uno stato non diciamo di parità di diritti ma quanto meno di dignità umana e civile, non fosse stato preceduto da una lunga catena di soprusi e di barbarie. Il collegare la sofferenza dei cattolici irlandesi alla questione sociale, sottolineandone le condizioni proletarie o addirittura sottoproletarie, è corretto, ma rischia di snaturare la questione delle ingiustizie di cui essi sono stati vittime, che sono state originate da un problema religioso e nazionale ancora prima che sociale. E ciò risale alla repressione inglese già iniziata fin dal XII secolo ma aggravata a partire dal XVI, da quando cioè l’Inghilterra passò alla Riforma mentre gli irlandesi rimasero fedeli alla Chiesa romana. Ben venga pertanto la traduzione nella lingua del nostro paese d’un libro un tantino sciovinista, “Come gli irlandesi salvarono la civiltà”. Intento del Cahill è per la verità il rivendicare il carattere originale della civiltà irlandese fin dall’età celtica pagana: e non c’è dubbio che, in questi tempi di equivoco neoceltico italico, il suo libro avrà almeno da questo punto di vista successo.Con quel tono spigliato che distingue la letteratura divulgativa storica anglosassone (in questo caso, anglofono – ibernica), Cahill narra le vicende della caduta dell’impero romano, della cristianizzazione della cupa e feroce Irlanda celtica. Su quest’isola di ferocia e di magia planò, nel V secolo, la missione dell’evangelizzatore Patrizio. Ne uscì la santa Irlanda, l’isola di luce e di santi nella quale si copiavano instancabilmente i manoscritti contenenti l’antica saggezza latina e perfino greca (mentre sul continente il greco era quasi dimenticato). Ma davvero si trattò d’una specie di acculturazione, davvero i bianchi monaci delle abbazie – villaggio irlandesi vanno considerati successori dei druidi? E’ certo strano e fascinoso questo cristianesimo nel quale il miracolo somiglia sempre e fin troppo a un sortilegio magico e dove – come si vede nel pellegrinaggio al “Pozzo di san Patrizio” – i gesti del fedele ricordano l’incantesimo delle tecniche pagane di discesa agli inferi. Ma soggetto supremo sia della fede cristiana sia della magia è la parola, che nel cristianesimo è il Verbo. Non stupirà dunque di trovare la parola scritta e miniata protagonista della vera grande epopea celtoiberica, che non è tanto quella dei monaci che andavano per mare esplorando isole e convertendo uomini e fiere (ricordate la navigazione di san Brindano?) quanto piuttosto quella degli “scriptoria” monastici, presto trapiantati anche – tra VII e IX secolo – nel continente europeo che contribuiscono a cristianizzare. Peccato soltanto che un libro così stimolante, su una serie di problemi così poco noti agli italiani, si arresti praticamente al IX – X secolo per concludersi con poche pagine dedicate al presente e alle prospettive del futuro. Solo in cronologia sono ricordate l’invasione anglo – normanna del 1170, la colonizzazione anglo – protestante di Elisabetta I a partire dal 1556, i massacri cromwelliani del 1649, le leggi del 1692 e del 1695 che privavano i cattolici dei diritti civili e che solo a partire dal 1829 si cominciarono a rimuovere. A tutt’oggi, non una parola di resipiscenza è venuta al riguardo.
– 03/01/1998
Saggio di Thomas Cahill dedicato agli irlandesi
UN POPOLO PORTATORE DI CIVILTA’
Il popolo irlandese “è religioso, schietto, sensuale, irascibile, capace di sopportare infinite sofferenze, molto orgoglioso”. Così scriveva Edmund Campion, il gesuita elisabettiano che subì il martirio a Tyburn nel 1581. E nel rilevare che esso era “felicissimo di guerreggiare”, ne esaltava la propensione all’avventura, l’amore per la cultura e per il lavoro. Decisamente sprezzante invece era il giudizio di Benjamin Disraeli, il primo ministro della regina Vittoria: “Gli irlandesi odiano il nostro ordine, la nostra civiltà… Questa razza selvaggia, sventata, indolente, infida e superstiziosa non ha nulla in comune col carattere inglese. Il suo ideale di felicità umana è un susseguirsi di zuffe tra clan e rozza idolatria”. Ancora oggi l’aggettivo “irlandese” si accompagna di rado alla parola “civiltà”. E se come popoli portatori di civiltà vengono indicati generalmente gli egiziani o i greci, gli irlandesi al contrario sono definiti irresponsabili e rissosi, corrotti e “non particolarmente civilizzati”. Giudizi integrati e stereotipi pericolosi, ci avverte Thomas Cahill nel suo bellissimo libro “Come gli irlandesi salvarono la civiltà” edito da Fazi (traduzione di Catherine McGilvray, pp.252, 28.000) che spesso hanno finito per accomunarli a quelli affibbiati agli ebrei, disconoscendo il ruolo che gli irlandesi hanno avuto nella storia occidentale, in particolar modo per quanto riguarda venga dalla tradizione classica dopo il crollo dell’impero romano. Verso la fine del V secolo, infatti, le grandi biblioteche del continente erano scomparse, come pure l’attività di copista. E i monaci irlandesi, dediti alla preghiera e alla coltivazione della terra, iniziarono a copiare “furiosamente” codici, facendo di quell’isola “l’editore dell’Europa”. Senza di loro, dice Cahill, “sarebbe stato un mondo senza libri”, ricordando l’esperienza di san Colombano, il quale istituì i conventi italo-irlandesi diffondendo “l’amore del sapere” che i monaci irlandesi portarono in ogni regione del nostro continente. Per non dire della figura di san Patrizio, il quale, da aiuto-pastore diventò vescovo missionario, traghettando gli Irlandesi dal paganesimo alla cultura cristiana senza che perdessero la loro vena celtica, ricca di inventiva e di forza evocativa, e alleggerito del bagaglio sociopolitico romano. Non a caso l’Irlanda rappresenta un caso particolare nella storia della religione, in quanto è stata l’unica terra dove il cristianesimo fu introdotto senza spargimento di sangue. Insomma, ovunque andassero, gli irlandesi “portavano con sé l’amore del sapere e la loro abilità nel fare libri” trasmettendo l’eredità del mondo antico filtrata dalla sensibilità dei tempi nuovi, con un impulso religioso straordinario. Come straordinaria fu la loro avventura, scrive lo storico americano, ripercorrendo una storia secolare segnata da lotte furibonde e da persecuzioni e alla fine anche da migrazioni e da controverse vicende, ed esaltando l’orgoglio di un piccolo popolo disprezzato e spesso deriso. E lo fa con una sottile verve che rende godibilissima la lettura di questo documentatissimo e intelligente libro di storia, avvincente come un romanzo, che non a caso ha conosciuto uno straordinario successo negli Usa, dove da due anni è nella classifica dei libri più venduti (e del resto anche in Italia ha conosciuto recensori entusiasti e un buon successo di pubblico, se l’editore Fazi lo ha ristampato con successo), che aggiunge altro vigore a queste pagine e rendendo altro merito all’avventura di coloro che infusero nuova linfa nell’esanime cultura letteraria dell’Europa. Perché “fu così che gli irlandesi salvarono la civiltà”.
– 09/04/1998
Popoli e conflitti – Parla Thomas Cahill
Condannati! Alla pace
Un sorprendente filo della storia lega gli ebrei e gli irlandesi. “Senza di loro non ci sarebbe la civiltà occidentale”, sostiene il saggista americano. Convinto che il futuro di queste nazioni sarà simile. E senza guerra.
Non somiglia a uno spietato businessman, né un navigato e altezzoso scrittore di successo, Thomas Cahill. Ha un’aria da padre di famiglia, grande e buono, di quelli che si preoccupano se i figli rientrano tardi la sera. Ma il suo sorriso largo tradisce un segreto, lo sguardo elettrizzato e sornione è lo stesso di chi ha vinto alla lotteria e non vuol farsi scoprire. Siede soddisfatto sul divano del suo appartamento di Trastevere, rigorosamente air-conditioned, acquistato con i proventi di un best seller, la cui formula magica questo scrittore di origini irlandesi ha elaborato – con la pazienza di un alchimista o di un druido, il sacerdote dei Celti, – nel corso di venticinque anni. L’attesa è stata lunga, ma oggi, quello che Cahill scrive si trasforma in oro. La sua bella storia americana comincia nel 1995, quando il saggio ‘Come gli irlandesi salvarono la civiltà'(tradotto in Italia da Fazi, già alla quarta edizione) viene pubblicato negli Usa. Alla Doubleday, la casa editrice dove luiè impiegatoda qualche anno, non credono molto in quel libro. L’esordio è un po’ lento, ma a un anno dall’hard cover, la casa editrice di New York decide di stampare l’edizione economica. È la svolta, il biglietto della lotteria di Cahill è estratto. Il libro stravende e non si ferma più. Per un anno e mezzo restainchiodato tra i primi dieci della best seller list del ‘New York Times’, superando negli Usa il milione di copie vendute, in attesa dell’esito delle traduzioni in tutto il mondo. Un risultato eccezionale per la saggistica. Gli ‘irlandesi’ è soltanto il primo di una serie di sette saggi sui popoli che hanno diversamente contribuito a gettare le fondamenta della civiltà occidentale. ‘The Gifts of the Jews’, uscito nell’aprile scorso, entra automaticamente in classifica. Questo secondo saggio, un viaggio ben documentato ma ironico e accattivante nell’Antico Testamento e nella cultura e sensibilità ebraiche, potrebbe scatenare le ire di una delle lobby più potenti degli Stati Uniti. Cahill, invece, viene invitato a parlare nelle sinagoghe. Da venti settimane il libro, che ha già venduto 250 mila copie, staziona tra i top ten. Ieri gli irlandesi, oggi gli ebrei. Cahill sta cercando di restituire a ogni gruppo etnico la sua speciale dignità, individuando e celebrano il suo contributo originale e imprescindibile alla civiltàoccidentale. Vuole, insomma, dare radici a quel confuso minestrone culturale che è il melting pot dell’Occidente. Lo confermano le sue risposte in questa intervista.L’Irlanda ha salvato la civiltà, ma ancora oggi da quelle parti si fanno scoppiare bombe in mezzo ai bambini. Che cosa pensa dell’ultima strage di Omagh?Gli irlandesi vengono allevati nell’odio fin dalla nascita. Cattolici e protestanti sono addestrati a ricordare soltanto le proprie ferite, che alimentano le provocazioni, la rabbia, la ferocia. Se sei a Belfast ed entri in un pub, ti chiedono immediatamente di che religione sei. Se rispondi che non credi in Dio, insistono: “Si, ma sei un ateo cattolico o protestante?”. Tutto considerato, è sorprendente che il processo di pace sia andato tanto avanti e che la maggioranza della gente abbia votato per la pace. I terroristi dell’Ira stanno invecchiando, il leader del Sinn Fèin Gerry Adams ha moglie e figli ed è stufo di dormire ogni notte in un letto diverso.Sono assolutamente certo che gli autori di questa strage, gli irriducibili del “Real Ira”, sono molto giovani.Crede che la pace sia più lontana?L’Ira non riuscirà a fermare il processo di pace, ma ci saranno ancora episodi di violenza,purtroppo. Le stragi tendono a incoraggiare le parti a irrigidirsi sulle proprie posizioni. Ma dopo un po’ di giorni, quando il sangue è stato lavato via, la gente si rende conto che l’unico investimento possibile è quello sulla pace. E questa pace è giunta attraverso un processo democratico. Si è cercato di dare voce a tutti per avere il consenso più largo possibile. Gli uomini che il 10 aprile scorso hanno firmato l’accordo nel castello di Stormont a Belfast, cioè Tony Blair, Gerry Adams, il Premier irlandese Bertie Ahern, il leader unionista e prossimo presidente dell’ulster David Trimble, hanno lavorato così tanto per portare le proprie rappresentanze a compiere quel gesto. Non credo che permetteranno a un gruppo di ragazzini fanatici di rovinare questo incredibile lavoro diplomatico.Un copione, quello della violenza, che sembra ripetersi in Israele, patria dei “suoi” ebrei…Credo che se si riuscisse a realizzarla, la pace in Irlanda potrebbe essere un modello, una fonte di ispirazione anche per Israele. Una forma di sovranità partecipata è ciò a cui si sta lavorando, e mi sembra un’ottima soluzione, forse l’unica possibile. Se funziona una volta, la formula si potrà applicare di nuovo.Come quella dei suoi best seller. Quando le venne l’idea dei saggi?Ci pensai per la prima volta nell’agosto del 1970.Ero in Irlanda a fare ricerche per una guida letteraria che dovevo scrivere con mia moglie. Approfittai del fatto che lei non era ancora arrivata per andare al Puck Fair, nella cittàdi Killorglin. È un festival di cui avevo molto sentito parlare, gli antropologi ne hanno scritto perché sembra ricordare un’indiavolata festa preistorica della fertilità, una specie di orgia pagana di tre giorni. Mi colpì per la mancanza di gioia, per la sua “impersonalità”. Poi trascorsi un periodo nell’Ovest dell’Irlanda, in luoghi molto selvaggi e fuori mano e questa idea del paganesimo continuava a perseguitarmi. Mi chiedevo: “Che cos’è che poi ha invertito la rotta? Che cosa ci ha distaccato definitivamente dal paganesimo?”. Arrivai alla conclusione che non fu la civiltà greca, né Roma, a produrre quel crogiolo di valori nuovi, che ancora oggi ci accompagnano. Furono gli ebrei, attribuendo una nozione diversa al tempo e sviluppando il concetto di individualismo. Certamente. Io ho dato a quest’odio feroce per gli ebrei una spiegazione che forse potrà apparire stravagante. L’antisemitismo è l’odiocontro Dio. Un Dio severo, implacabile, che non si può tradire, né ingannare, né ignorare. Chi non vorrebbe sbarazzarsene? Gli ebrei sono l’immagine di quel Dio scomodo, ingombrante. Gli ebrei ci hanno dato un vocabolario completamente nuovo. Un tempio dello spirito e un paesaggio di idee e sentimenti sconosciuti prima. Grazie al loro credo unico, il monoteismo, sono stati capaci di darci il Grande Intero. Un universo unificato che ha finalmente un senso. Nuovo, avventura, sorpresa, unico, individuale, persona, vocazione, tempo, storia, futuro, libertà, progresso, spirito, fede, speranza, giustizia: molte delle nostre parole migliori sono il dono degli ebrei.Quindi gli ebrei vennero prima degli irlandesi?’Thomas Cahill e il suo ultimo libro nell’edizione inglese’ Sì il libro sugli irlandesi originariamente non faceva parte della serie. Poi, però, ho pensato che poteva essere una buona introduzione. È una storia semplice, racconta un miracolo sconosciuto e cruciale, compiuto dai monaci irlandesi. Dopo la caduta dell’Impero romano nel V secolo d.C., gli amanuensi chiusi nelle biblioteche dei monasteri copiarono instancabilmente i codici, tramandando i testi chiave della letteratura classica, che rischiavano di essere distrutti a causa delle invasioni barbariche. L’Irlanda, grazie a loro, divenne l’editore d’Europa.Come spiega il successo dei suoi saggi?Ci sono molti saggi storico-culturali sugli stessi argomenti, ma sono di una noia mortale. La gente è dispostissima a imparare, purché ci sia anche un po’ da divertirsi.Chi sono i protagonisti del suo terzo libro?È assolutamente top secret, come per i successivi. Non voglio che i lettori si sentano costretti, come a scuola, a leggere tutta la serie per completare una specie di soporifero ciclo educativo. Preferisco che si incuriosiscano, che abbiano voglia di scoprire cosa viene dopo. Posso solo direche il mio terzo saggio comincia sul Gianicolo e che sono a Roma per fare ricerche.
Storia e fantasia nel romanzo di Thomas Cahill
Così gli irlandesi salvarono l’Occidente
In questi ultimi anni la letteratura irlandese, in un’ondata di vitalità creativa, ha conquistato i più importanti mercati editoriali. E ora è stato tradotto in Italia anche il libro di Thomas Cahill che celebra l’antica e misconosciuta grandezza di un popolo. Il titolo ha l’enfasi squillante di una tromba: “Come gli irlandesi salvarono la civiltà” (Fazi, 250 pagine, 28.000 lire). “Sono sempre stato affascinato dal passaggio drammatico dal periodo classico a quello medievale. E proprio in quel periodo, fra V e VI secolo, gli irlandesi hanno vissuto una storia eroica”, spiega l’autore. Il crollo di un mondo, appunto, quell’oscura e confusa epoca di transizione che fu dalla caduta dell’impero romano a Carlo Magno. Alcune sue interpretazioni appaiono un po’ riduttive o per lo meno personali. Per esempio descrive i Romani completamente inconsapevoli e indifferenti di fronte al “pericolo” barbaro. Ma Cahill sottolinea con orgoglio che il saggio è rimasto due anni nella classifica dei best-seller negli Usa, che ha avuto recensioni positive anche da parte degli storici, e che addirittura è stato scelto come testo all’università di Stanford. Per raccontare i drammatici sconvolgimenti di un’epoca Cahill si serve della vita e dell’ “anima” di vari personaggi, fra cui il più importante è Patricius, un britanno romano che a 16 anni è fatto schiavo da uno dei tanti capitribù irlandesi e che poi è diventato san Patrick, l’Apostolo della nazione irlandese. “Patrick fu il primo a predicare il vangelo ai barbari, il primo a condannare esplicitamente lo schiavismo. E insegnò agli Irlandesi un cristianesimo senza il pessimismo del mondo classico e senza l’ossessione del peccato di sant’Agostino, una religione nella quale la natura e il corpo umano, la magia e l’ironia, la spiritualità e la sensualità, sono elementi che si fondono insieme nella sacralità di un mondo creato da un Dio buono, che ama tutti gli esseri umani”, continua lo scrittore. Fino alla sua morte, intorno al 461, Patrick continua a fondare monasteri, con a capo perfino donne. I monaci copiano tutti i testi classici di cui vengono in possesso, e intorno a loro si costruiscono biblioteche dove arrivano da ogni parte persone avide di sapere, portando con loro altri libri salvati dal caos. Poi, a partire dal 564, i monaci si sparpagliano per l’Europa riportando la letteratura, la poesia, la filosofia, insomma la cultura, in una società sconvolta dal disordine e dalla distruzione. “Fu così che gli Irlandesi salvarono la civiltà, senza di loro il nostro mondo forse non sarebbe mai nato”.
Come i più inquieti e mobili monaci del continente difesero la cultura cristiana dalle invasioni dei barbari
Chi salvò la civiltà europea? Gli irlandesi.
Un po’ pazzi e un po’ poeti, avventurosi e fantasiosi, ricchi di tenacia e di spirito religioso. Venivano da un’isola sperduta alla periferia dell’impero romano, ma diventarono presto – durante le età più buie della nostra storia – la linfa della cultura cristiana nell’Europa sommersa dalle invasioni barbariche. Gli eroi di questa saga sono gli irlandesi, gli inquieti e mobili monaci d’Irlanda che dal quinto secolo in poi fondarono o rivitalizzarono quasi un centinaio di monasteri: dalla Scozia alla Puglia. Instancabili pellegrini e instancabili copisti, creatori di codici di magica eleganza e salvatori dello scibile greco-romano da loro pazientemente trascritto per la maggior gloria di Dio, l’istruzione dei contemporanei e la felicità dei posteri. Così, con la pazienza delle api e l’irrequietezza delle farfalle, i monaci irlandesi si sono sparsi per l’Europa, che lentamente cercava una nuova sua forma dopo il tramonto della romanità. “Come gli irlandesi salvarono la civiltà” (Fazi Editore, pagg., 250, lire 28.000) narra precisamente questa storia e finalmente non si parla solo d’Irlanda citando bombe, massacri, odi infiniti e frustranti negoziati. E’ un capitolo della nascita della nostra Europa, raccontato dall’autore, il saggista americano Thomas Cahill, in modo vivace e scorrevole, con senso dell’umorismo e la capacità di evocare immagini e atmosfere quasi fossimo in una diretta tv. Non accade spesso che una “storia della cultura” venga presentata senza sussiego e pesantezze accademiche. Cahill porta il lettore con ritmo rapido da una scena all’altra. Entriamo nel regno delle vecchie leggende pagane, dove forti eroi si massacrano per il possesso di un toro straordinario. Assistiamo ai flirt di donne bellissime con guerrieri portentosi, che superano le più tremende prove sussurrando con fare ammiccante: “In questa dolce campagna (il tuo grembo) riposerà la mia spada”. Di San Patrizio noi italiani spesso conosciamo solo il celebre “pozzo” e la sua funzione di patrono degli Irlandesi. Troppo poco. La sua è l’avventurosa storia di un “selfmade man”, che da aiuto-pastore diventa vescovo e missionario. Ma anche molto di più. E’ la vicenda di una forte personalità che traghetta gli irlandesi dal paganesimo ala cultura romano-cristiana senza che perdano la loro vena celtica, impregnata di inventiva e di fantasticherie. Con lui e dopo di lui gli irlandesi saranno cristiani dotati del gusto della poesia e dell’arte. Basti solo ascoltare la potenza evocativa dei versi, che costituiscono il primo credo dell’Isola verde, la preghiera passata ai posteri come “Corazza di san Patrizio”: “Io sorgo oggi, / grazie all’amore dei cherubini, / Io sorgo oggi, / grazie alla forza del cielo, / luce del sole, / fulgore della luna, / splendore del fuoco, / velocità del lampo. / Cristo fammi da scudo oggi, / contro il veleno, contro il fuoco, / contro l’annegamento, contro ogni ferita, / Cristo con me, / Cristo in me, sotto di me, sopra di me”. L’impulso religioso degli irlandesi produrrà personaggi di grande attività come il missionario Columbano, ma spazio importante – com’era nell’era pagana – sarà riservato anche a donne di tempra eccezionale come la badessa Brigida di Kildare, che comandava su monasteri femminili e maschili. Non è certo un caso che l’epoca culturale irlandese dei primi secoli dell’Europa barbarica si concluda con un intellettuale, che contribuisce poderosamente alla rifondazione della filosofia nell’Alto Medioevo: Giovanni Scoto Eriugena. E ancora una volta abbiamo un uomo che alla severità degli studi mescola la libertà fantasiosa della satira. “Qui giace Hincmaro – scriverà come epitaffio di un odioso vescovo di Reims – ladro di furibonda avidità. Fece una sola cosa nobile: tirò le cuoia”.
– 01/01/1998
Le nostre radici
Come gli irlandesi salvarono la civiltà
Il “momento di gloria” di un popolo senza l’apporto del quale il nostro mondo occidentale sarebbe impensabile
“Mentre crollava l’impero romano, e attraverso tutta l’Europa barbari sporchi e arruffati calavano sulle città romane saccheggiando i manufatti e bruciando i libri, gli irlandesi, che imparavano allora a leggere e scrivere, si prefissero l’arduo compito di ricopiare tutta la letteratura occidentale, tutto ciò che gli capitava tra le mani. Questi amanuensi servirono poi da intermediari nella trasmissione delle culture greco-romana e giudiaco-cristiana alle tribù europee, appena queste ultime si furono insediate tra le macerie e le vigne devastate della civiltà che avevano sopraffatto. Senza questo servizio da parte degli amanuensi, tutto ciò che avvenne in seguito sarebbe stato impensabile. Senza la missione dei monaci irlandesi che da soli, dalle insenature e dalle valli del loro esilio, rifondarono la civiltà europea in tutto il continente, il mondo venuto dopo sarebbe stato completamente diverso”. Questo, in sintesi, l’argomento comune di “Come gli irlandesi salvarono la civiltà” di Thomas Cahill, saggista americano di fama internazionale. Tradotta ora in italiano, da due anni l’opera è fra i dieci libri più venduti negli Usa. Merito della capacità dell’autore, piuttosto rara fra gli storici, di unire alla ricchezza e alla solidità delle informazioni una autentica vena narrativa. Egli ci fa rivivere il periodo più oscuro della storia europea, quella età di transizione che va dalla caduta dell’impero romano all’affermarsi di Carlo Magno. Un periodo in cui la stessa nozione di “cultura” venne radicalmente rielaborata, in entrambe le sue articolazioni fondamentali: la conservazione e la trasmissione del sapere.Nessuno, prima di Cahill, aveva con tanta abbondanza d’argomenti messo in rilievo il ruolo svolto dall’Irlanda monastica in questo processo di trasformazione intellettuale. Di conseguenza la sua ha il sapore di una “storia mai sentita”, il cui carattere avventuroso è di forte impatto su chi legge. Ma chi erano questi irlandesi i cui G. K. Chesterton scrisse “Sono gli uomini che Dio fece matti: tutte le loro guerre sono allegre, e tutte tristi le loro canzoni?” Un ramo di quell’albero celtico che, a partire dal 600 a.C., estese i suoi rami in tutta Europa fino a invadere il mondo greco nell’attuale Turchia, dando origine a popoli dai nomi diversi. La loro era una cultura analfabeta, seminomade, fondata sull’allevamento del bestiame e sulla pratica dello schiavismo. Piuttosto statica, per modificarla era necessario un intervento esterno. E qui Cahill passa a presentarci colui che cambiò i destini dell’isola: Patrick, san Patrizio, l’apostolo degli irlandesi. Rapito sedicenne sulle coste della Britannia, dove era abituato agli agi e alla prevedibilità della civitas romana, era finito a pascolare gli armenti di un signorotto irlandese. Solo dopo anni di servitù poté recuperare la libertà e ritornare fra i suoi. Ma col pensiero riandava sempre alla terra del suo esilio. Ordinato sacerdote e vescovo, vi rimise piede nel 432, pronto ad affrontare i rischi e le fatiche dell’evangelizzazione.Caso eccezionale, l’Irlanda fu l’unica terra in cui il cristianesimo venne introdotto senza spargimento di sangue. Patrick fondò dappertutto vescovati, monasteri e conventi, divenendo irlandese a tutti gli effetti. Certo, le sue sole doti di spontaneità e calore umano, di coraggio, lealtà e generosità non potevano bastare a far convertire un popolo di ostinati come gli irlandesi. Determinante fu l’aver fatto leva su alcuni aspetti caratteristici della loro cultura quali il coraggio, il misticismo naturale che li portava a credere nella sacralità del mondo.Non solo, ma egli aveva compreso che il cristianesimo, “pur non essendo legato indissolubilmente al costume romano, non poteva sopravvivere senza l’istruzione romana. E così i primi cristiani irlandesi furono anche i primi irlandesi a saper leggere e scrivere”. I complessi monastici sorti “si trasformeranno rapidamente nei primi nuclei abitati, in centri propulsori di una prosperità estesa all’arte e agli studi, senza precedenti”: centri in cui, oltre a leggere i testi sacri, veniva letteralmente divorata tutta la letteratura pagana greca e latina che capitasse a tiro e cominciavano ad essere trascritte le tradizionali leggende orali, un’intera letteratura che altrimenti ci sarebbe del tutto ignota.Risalgono a quest’epoca i libri stupendamente miniati, che costituiscono oggi il vanto di biblioteche inglesi, francesi, svizzere, tedesche, svedesi, italiane e perfino russe. Dall’inizio del sesto secolo la mappa dell’Europa occidentale era stata irrimediabilmente alterata da ondate successive di barbari germanici, che avevano devastato ogni cosa al loro passaggio. In questo sfacelo tutte le grandi biblioteche erano scomparse. Unici custodi del sapere, grazie ai libri portati in salvo con sé, gli anacoreti e monaci rifugiatisi in Irlanda. Ma a causa degli insediamenti pagani dei sassoni nell’Inghilterra del sud, l’isola era tagliata fuori dal continente. Occorreva “ricollegare l’Europa al suo stesso passato attraverso l’Irlanda degli scribi”. Questo passo fu opera di Columcille, il più degno figlio spirituale di san Patrick. Dopo aver fondato in Irlanda monasteri a tutto spiano, questa singolare figura di monaco-guerriero-umanista fu esiliato – era il 564 – a Iona, isola al largo della costa occidentale scozzese che divenne poi un trampolino di lancio per numerose nuove fondazioni cominciando dalla terra di Scozia. Ondate di suoi intrepidi figlioli – tra cui primeggiano Columbanus e Gall – si sparpagliarono allegramente in tutta l’Europa, fondando monasteri famosi, che col tempo sarebbero diventati città. Naturalmente, “ovunque andassero, gli irlandesi portarono con sé i loro libri, molti dei quali non erano stati più visti in Europa da secoli; e li portavano legati alla cintola come simbolo di trionfo, proprio come, nei tempi antichi, gli eroi irlandesi portavano legate alla cintura le teste dei loro nemici”. Non contenti di ciò, intraprendevano – siamo alla fine del sesto secolo – un’invasione spirituale dell’Inghilterra, dove avventurieri pagani di origine germanica avevano invaso gli antichi territori cristianizzati della Britannia. Questo cristianesimo celtico era destinato alla fine a incontrare il più severo cristianesimo romano che avanzava in direzione opposta: quello diffuso da Agostino di Canterbury, inviato da papa Gregorio Magno e considerato l’apostolo d’Inghilterra. “Alla seconda metà del settimo secolo, l’impulso missionario irlandese era al suo culmine, per giunta rafforzato da fresche ondate di missionari inglesi (…) Alla metà dell’ottavo secolo gran parte della Frisia, della Sassonia, della Turingia e della Baviera, nonché parte della Danimarca, avevano ricevuto la Parola di Dio”. Con l’avvento di Carlo Magno, prende l’avvio il primo Rinascimento dell’Europa medievale: una fioritura culturale dalla vita breve, inizio tuttavia di un graduale risveglio dell’istruzione e degli studi nelle rare e povere scuole continentali superstiti. Il più splendido germoglio di questa primavera europea fu ancora un irlandese: Giovanni Scoto Eriugena, il famoso pensatore emulo di Agostino e di Platone. Ma intanto, nell’isola di Patrick, le grandi civitates monastiche cadevano una dopo l’altra davanti ai terribili vichinghi. Era la fine di un’era: “L’Irlanda non avrebbe mai più recuperato la leadership culturale della civiltà europea. Era stata emarginata di nuovo. Ciò malgrado, la via irlandese era già diventata il lievito della civiltà medievale”. Nei secoli successivi l’isola, ormai colonia d’Inghilterra, divenne nazione-martire. Spopolata dalle carestie e dalle emigrazioni in massa, alla vigilia della prima guerra mondiale era ridotta alla stregua di un paese del terzo mondo. “Saranno necessari i movimenti culturali e politici irlandesi del ventesimo secolo per restituire a questo popolo distrutto una parvenza della sua autostima”. La conclusione di questa carrellata attraverso i secoli suona come un monito. “La fine di Roma ci istruisce su ciò che avviene in modo inevitabile quando popolazioni impoverite e in rapida espansione, i cui costumi e valori sono compresi in debole misura, premono ai margini di una società ricca e organizzata”. Per Cahill, fiducioso proprio a motivo dell’esempio irlandese, il futuro della nostra civiltà “potrebbe germinare oggi non in una sala del consiglio di Londra o in un ufficio di Washington o in una banca di Tokyo, ma (…) in qualche angolo sconosciuto ai media, dove dei generosi essere umani si impegnano ad amare i reietti in modo straordinario. (…) Se “noi” potremo salvarci, non sarà grazie ai romani – presi da Cahill a simbolo dei potenti che presumono di avere nelle mani i destini del mondo – ma ai santi”.
Grazie Irlanda
Da due anni, ‘Come gli Irlandesi salvarono la civiltà’ di Thomas Cahill (Fazi, 252 pagine, 28 mila lire) è uno dei maggiori bestseller della più grande Irlanda del pianeta, gli Stati Uniti d’America. Perché è un libro che esalta l’orgoglio etnico di quel piccolo grande popolo, e perché è avvincente e di vera godibilità. È un libro di storia, documentato, rigoroso, sui secoli più bui del medioevo, quelli durante i quali la remota Thule che era l’Irlanda, già cristianizzata, grazie all’opera dei suoi monaci riuscì a preservare e a trasmettere l’eredità del mondo antico filtrata dalla sensibilità dei tempi nuovi. La vicenda di San Patrizio è il cuore del racconto: fu Patrizio a dare agli irlandesi “il primo cristianesimo deromanizzato della storia umana, un cristianesimo alleggerito del bagaglio socio-politico dell’universo greco-romano”. Ci sono poi altri personaggi di rilievo, protagonisti di una feconda “diaspora”, da San Colombano, che svolse il suo lavoro in Borgogna e Lombardia ad Alcuino, il grande poeta che alla fine del secolo VIII assunse la direzione della Scuola Palatina e fu artefice della rinascenza carolina.
Storia – Un saggio di Thomas Cahill
Va’ in convento ma che sia irlandese
Ci sono dei buchi neri nella storia, nel racconto della storia. Sembra incredibile ma è così. Vicende che non sono mai state ben raccontate. Una di queste, particolarmente eroica, è quella dei monaci irlandesi che alla caduta dell’impero romano mentre i barbari calavano a sud si misero a copiare tutti i testi allora esistenti e assicurarono così una tradizione che correva grande pericolo di estinzione. Tutto il mondo classico dal punto di vista della letteratura è stato salvato da quei pazienti e anonimi monaci. Uno storico americano ha colmato quella lacuna scrivendo un libro che narra la straordinaria impresa. Il titolo rispecchia perfettamente il contenuto dell’opera, ‘Come gli Irlandesi salvarono la civiltà’, l’autore è Thomas Cahill. Fin qui non ci sarebbe niente di strano. La stanchezza comincia quando questa storia scala rapidamente le classifiche dei libri più venduti d’America e si insedia da due anni a questa parte nella lista dei primi dieci. Su un tema certo affascinante ma sicuramente non popolare (almeno nel senso che alla parola polarità si dà nell’editoria contemporanea) Cahill ha composto una narrazione che ricorda, per capacità di coinvolgimento, lividezza di descrizioni, sapore di buona narrativa, gli storici di una volta (come Gibbon o Michelet). I brani dedicati alla discesa dei barbari e il confronto dei loro costumi con quelli romani sono semplicemente eccezionali (un piccolo esempio, un minimo dettaglio: i cuochi romani tagliavano le carote per lungo, le cuoche barbare le affettavano a rondelle, una differenza importante). Il miracolo di salvare una grande civiltà (che è poi ancora la civiltà occidentale) avvenne perché quei monaci non usarono censure e ricopiarono tutto quello che capitò loro a tiro. Un popolo generoso, commenta Cahill. Strano libro davvero che esalta (e con ragione) le virtù irlandesi e anche quelle dei cattolici (parola che in Irlanda ha tutt’altro significato e peso che nel resto del mondo). Libro da leggere con piacere e anche con qualche brivido visto lo sfondo da fine del mondo che Cahill sa evocare. Un libro che in qualche modo parla anche a noi in bilico tra i millenni: il nostro sentimento del tempo include una vaga sensazione di fine di una civiltà. D’altra parte dall’Irlanda arriva sempre, prima o poi, qualcosa che sorprende e rivoluziona. Accadde, per fare un solo esempio, con ‘Ulisse’ di Joyce, romanzo che cambiò per sempre il modo di scrivere romanzi. Pure lui, alla sua maniera, fu un monaco che cercò di traghettare la storia dell’intero mondo, di tutto il passato, attraverso pochi libri. Dio li salvi, gli Irlandesi.
– 03/11/1998
Dio salvi l’Irlanda
Un Paese del Terzo mondo con una cultura da età della pietra: così il poeta inglese Lohn Betjeman ha definito l’Irlanda. Ma proprio l’Irlanda ha vissuto un momento di gloria assoluta, ha occupato un posto fondamentale nella storia della cultura europea. È da poco iniziato il V secolo d.C., l’impero romano si sgretola, calpestato dalle tribù barbare che da tutta Europa si riversano oltre i confini del mondo civilizzato, distruggendo città e cultura. Erano gli anni in cui i rozzi isolani irlandesi imparavano a leggere e a scrivere. Ed è proprio grazie all’opera degli amanuensi irlandesi se almeno parte della letteratura occidentale è giunta a noi. Proprio i monaci irlandesi rifondarono la civiltà europea. Su questa età di transizione posa il suo sguardo Thomas Cahill, restituendo all’Irlanda il merito storico, mai a sufficienza sottolineato, di aver salvato la civiltà europea. Lo fa con un libro avvincente, un romanzo più che un saggio, ma senza mai perdere di vista il rigore storico, con interessanti ampliamenti riportati nelle note alla fine del testo, per non spezzare il filo del racconto. La caduta di Roma, l’avventura del “primo missionario” (quel Patricius, schiavo britannico di un re irlandese, che poi diventerà santo protettore dell’isola), la rinascita della civiltà, passando dalla saga di Cuchulainn alla diffusione del primo cristianesimo, con lo scontro tra quello romano e quello celtico. Il libro si chiude con queste parole: “Se la nostra civiltà potrà salvarsi – anzi, lasciamo stare la nostra civiltà, che come direbbe Patrick potrebbe trascorrere “in un istante, come una nuvola o del fumo disperso dal vento” – se ‘noi’ potremo salvarci, non sarà grazie ai Romani, ma ai santi”.
Come gli irlandesi salvarono la civiltà
Il libro più europeo dell’anno è di un americano e parla del Medioevo. In Come gli Irlandesi salvarono la civiltà (Fazi, pp. 252, L. 28.000) Thomas Cahill racconta brillantemente di quando mentre l’impero Romano veniva retrocesso all’analfabetismo dalle invasioni barbariche, i monaci della verde isola si dedicarono, unici nella cosiddetta Cristianità, a recuperare i classici grecoromani. La conversione dei celti d’Irlanda era avvenuta nel quinto secolo, grazie alla presa del messaggio cristiano su gente allevata a non dare importanza alla vita, a trovare un senso magico nella natura, a organizzarsi in piccole comunità; mentre Alarico saccheggiava l’Urbe e Odoacre deponeva Romolo Augustolo, e sia il continente sia l’Inghilterra erano terra bruciata, quegli ex pagani si erano appassionati al sapere antico altrove quasi cancellato dai popoli calati dal Nord. Passarono un paio di secoli, e i religiosi in toscana bianca, fattisi da convertiti missionari, partirono per diffondere l’istruzione nel mondo che l’aveva dimenticata. Collezionisti e squisiti copisti d manoscritti antichi, riportarono alla devastata Europa quella cultura che era stata sua; e prima di soccombere a loro volta agli invasori vichinghi, fondarono dappertutto, da Auxerre a Ratisbona, da Vienna a Lucca, monasteri all’origine di nuove città.
– 10/01/1998
Thomas Cahill
Come gli irlandesi salvarono la civiltà
traduzione di Catherine McGivrayFazi, 252 pagine28.000 lire
Alla caduta dell’impero romano mentre i barbari calano a sud, alcuni monaci irlandesi si mettono a copiare tutti i testi allora esistenti, senza censura assicurandone la tradizione contro il pericolo di estinzione. È uno storico americano a comporre la narrazione ricca di descrizioni di usi e costumi dei barbari a confronto con quelli dei romani.