Claudio Damiani

Eroi

COD: 6c8349cc7260 Categorie: , Tag:

Collana:
Numero collana:
29
Pagine:
84
Codice ISBN:
9788881121588
Prezzo cartaceo:
€ 11,00
Data pubblicazione:
01-11-2000

Quando qualche anno fa fu pubblicato La miniera, che raccoglieva l’intera produzione poetica di Claudio Damiani, più di un critico definì il libro come uno degli avvenimenti letterari più rilevanti degli ultimi anni: finalmente una voce poetica chiara e forte, in grado di arrivare al cuore e alla mente del lettore, un’esperienza letteraria che azzerava d’incanto l’incomprensibilità e l’incertezza astratta e stentorea di tanta poesia italiana contemporanea per rifarsi, invece, con parole nuove e spirito moderno, alla nostra tradizione poetica maggiore. A tre anni di distanza, Eroi, la sua nuova raccolta, conferma Damiani come uno dei migliori poeti italiani delle nuove generazioni e gli fa meritare un posto completamente a sé nel panorama contemporaneo. Eroi è un libro tematico sulla famiglia e sul tempo che scorre, sul passato che ci fa essere quello che siamo e costituisce la nostra memoria e la nostra appartenenza più profonda, ed è caratterizzato da un sentimento malinconico e dolce che consente all’autore di raccontare ed evocare, come raramente è riuscito ad altri in questi anni, cose piccole e grandi di ogni giorno, affetti e stupori, il continuo mistero della vita che si rinnova spostandoci, noi e le persone che amiamo, continuamente.

EROI – RECENSIONI

 

Claudio Damiani, IL GIORNALE – TEMPI
– 23/10/2008

 

Chiunque cerchi, lo trovi qui

 

 

 

Pierangela Rossi, AVVENIRE

 

Damiani canta l’eroe che vive nel cuore dei bambini

 

I versi di Eroi di Claudo Damiani apposti in quarta di copertina, che danno per scorcio una sintesi del libro poetico, vengono da parole dette al figlio Giovanni sul cielo: “Ma certo, certamente ci rivedremo, / io ti aspetterò e tu verrai, / e poi staremo lì, anche se non si sa bene in che modo, /anche se non si sa bene, non importa”. Una bellezza del libro di Damiani – questo in particolare sembra in certi punti scritto da un Laing che fosse ‘anche’ poeta cristiano -viene da pensieri religiosi ad alta voce, come fantasie in dialogo: “Papà, ma è vero che in Paradiso gli alberi non ci sono? /No, in Paradiso gli alberi ci sono. E come potremo stare senza gli alberi? “ , e sono forme riflessive, di interrogazione e risposta. Forse potrebbe sembrare prosa, ma è un vero libro di poesia. Ci sono improvvise accensioni nei versi, il religioso è sempre nominato con semplici parole, e quanto a ciò che strettamente religioso non è, ecco che in realtà a ben guardare lo è. E’ nelle forme umane che prende, come la famiglia. Il libro si inaugura e prosegue con componimenti sulle generazioni sempre con il senso pieno di ciò che ‘accomuna’. Persino la morte, così individuale, qui è comune quando viene accennata in una lezione di geografia a dei ragazzi. C’é in Damiani una vita ben ordinata, che sembrerebbe tutta di buoni sentimenti . Gli “eroi” del titolo sono i bambini, Domitilla e Giovanni, chiamati a compiere quell’atto eroico che è la vita: “ comunque la viviate, siate forti o deboli, / o vili o coraggiosi, voi sarete eroi”, ma ecco: quando a questi piccoli eroi toccherà saltare nel vuoto, in certe circostanze imprevedibili, saranno soli. Ma non proprio soli, ci sarà Dio, dice Damiani, a presiedere a quel salto. E’ un romanzo in versi dove tutto è portato a trasparenza: come dopo una notte a vegliare sui simboli accade una tranquilla, quasi smemorata passeggiata in giardino. Non è che il male sia assente dal libro: tra l’altro qui una madre -”da un documentario della carestia nel Sudan”- torna a cercare il suo bambino, che ha lasciato per andare a prendere del cibo, non lo trova. Ma è comunque una sovrabbondanza del bene ciò che il libro comunica. Damiani è arrivato a questa delicatezza poetica dopo La Miniera, il libro precedente di tre anni fa, un caso letterario, e che era un romanzo di formazione in versi. Claudio Damiani è del 1957, è nato a San Giovanni Rotondo e vive a Roma. Ha già pubblicato anche Fraturno (1987), La mia casa (1994) e ha curato un’edizione dell’Arte poetica di Orazio.

 

Antonio Veneziani, LA RINASCITA DELLA SINISTRA

 

Tanti versi di pietra, di lotta e di sentimenti

 

La poesia si può amare o detestare. Riesce però, sempre, a scoprire l’evidenza del laico miracolo. Succede con Antologia personale di Viittorio Gasmann, (4 cd e un libro di 176 pagine, Luca Sossella editore, lire 50mila). È un lavoro di grande interesse: c’è la poesia italiana tra ‘800 e ‘900, amata da Gasmann e non solo. Riguardo alla recitazione è lo stesso attore a dichiarare: “… Quanto all’annoso e uggioso quesito se la poesia sia o no recitabile, io non scorderò mai il senso di gioiosa libertà che emanava dalla recita di alcuni grandi dicitori che ho ascoltato”. Il libro ha una nota molto sentita di Luca Sossella, poeta in proprio. Oltre a Gasmann ci sono anche le voci di Sastri, Nuti, Pavese, Giuranna e le musiche di Nicola Piovani, insomma c’è materia e materiale. Delle ultime generazioni parla invece la sceneggiatura di Augusto Pantoni, Schegge vive (Il Segnale, pp. 80, lire 10mila). Il film non si è realizzato, troppo intelligente, forse. Pantoni, che di poesia ne sa, racconta, con l’ausilio di molti versi, la vita e l’opera della Scuola Romana: si va da Bellezza a Scartaghiande, dalla Rosselli alla Cavalli, da Bordini alla Sica. Un modo diverso di fare cinema e di antologizzare poeti. C’è anche una nota davvero interessante di Giulio Ferroni. Come lo è Il senso della lotta di Michel Houellebecq (Bompiani, pp. 220, lire 18mila). C’è vita, amore, sesso. C’è evocazione del passato e paure per il futuro. Con sguardo cinicamente poetico Houellebecq racconta “le notti nelle quali avevamo perso anche il senso della lotta” ma anche quelle in cui “le nostre mani tremano un po’ / comunque le nostre dita si cercano / e comunque i nostri occhi brillano”. Diversamente ma non troppo, di come succede ai fari di Camionisti a Romantica di Lamberto Sabatini (Ianua, pp. 96, lire 20mila). Sabatini già con Via Ruggine della lampadina ci aveva abituati a quel suo cantato dentro la marginalità, fatto di grazia e di durezza. Qui affonda ancora di più il coltello lle pieghe dell’esistenza per tirarne fuori versi romantico-sociali essenziali ed incisivi. Versi che lasciano il segno come certe frenate di camion. La vera poesia non concede errori, concede forse “Eroi” (Fazi, pp.80 lire 22mila). Claudio Damiani ha prodotto un romanzo in versi che racconta ed evoca con voce originale il mondo fanciullino. Le piccole grandi battaglie del vivere sono incise sui fogli con uno stupore e un’affabulazione rara. “Eroi” colpisce al cuore e al cervello perché non ha niente di eroico, se non la grandezza della poesia. Come i versi della poetessa Maria Guerra in Vocazione di vento (Fahrenheit 451, pp. 76, lire 8mila, con disegni da un codice Azteco). dal Chiapas giunge un vento di parole che a volte taglia la gola e altre lambisce il volto. Guerra sa che la poesia è acqua, è sangue, è pietra. Ma sa anche che chi “traffica” con la parola è un Lazzaro, irrimediabilmente solo. Come è sola Angelica, l’eroina del romanzo in versi liberi di Gemma Forti, Gli occhi della genziana, (Fermenti, pp. 158, lire 18mila). L’autrice, col procedere teatrale, ci mostra la borghesia campagnola, la guerra, il ritorno del potere papale, la condizione femminile. Tutto col fiato di una grande cantante lirica.

 

Daniele Piccini, LETTURE
– 04/01/2001

 

L’albero familiare di Claudio Damiani

 

Claudio Damiani ha sempre fatto poesia partendo da un intenerimento affettivo. Nei suoi primi lavori, a questa dimensione si accompagnava una forte cifra letteraria, come se l’ingenuità e felicità sentimentale coinvolgessero in una specie di euforia anche la lingua codificata della poesia. Ora, in Eroi, il poeta si astiene dalle marche letterarie più patenti e cerca di parlare un linguaggio comune, continuando a nutrirlo, tuttavia, delle “sbavature” e sfumature dell’emozione. Ciò significa che il poeta ricorre a una sintassi irregolare, sfocata e sfornata internamente dalla felicità della dizione, che é sempre tremante, in qualche modo fanciullesca. Al Fraturno delle prime raccolte si sostituisce, in funzione di orizzonte chiuso, di terra dell’identità e dell’apparenza amorosa, la paterna isola d’Elba, mentre le correnti tematiche nuove riguardano un forte sentimento della continuità familiare nel tempo. Fin qui Damiani aveva poetato soprattutto di cose, di paesaggi, di presenze naturali umanizzate, non molto di creature, personaggi in carne e ossa. Questa raccolta trabocca invece, come in un’autentica risalita lungo l’albero genealogico familiare, di volti, nomi, storie. Il padre morto e i nonni, e poi la moglie, i figlioletti, alla ricerca di una legge – così difficile da trovare – che dia senso al passaggio sulla terra, al nostro stringerci amorosamente l’uno all’altro per poi essere costretti ad andare, a perderci. Tale é, a ben guardare, il motore emotivo della raccolta, la questione che accende le domande più patetiche e sentite. L’unica altra raccolta recente italiana con tanta appassionata declinazione degli affetti familiari é Il bar del tempo di Davide Rondoni (Guanda, 1999). Proprio nel confronto si può misurare qualche debolezza di Damiani, nel senso che la sua voce tenera, accesa, modulata sullo stesso accento emozionale rischia di risultare qua e là un poco fragile e ripetitiva. Ma non mancano i momenti di stupita e densa felicità, che fanno di questo canzoniere – considerata anche la singolare direzione di ricerca di Damiani – una scommessa tutto sommato vinta.

 

LA VOCE DI MANTOVA

 

La biblioteca di Writer

 

Gli Eroi di Claudio Damiani operano in Fazi Editore. Come la Miniera di tempo fa anche questo é un libro che anima e arricchisce la lettura. Racconto in versi degli affetti e del viaggio nel tempo, dell’insostituibilità del passato, delle radici della memoria, il testo evoca la quotidianità. Qui, nel giro della durata e delle occasioni, la parola fonda il mistero, avanza lo stupore, chiama ad inattese sorprese di significato, dice che l’autore è voce importante, nuova. Sarà bene leggere, lasciarsi trasportare dalla scrittura.

 

Daniele Piccini, FAMIGLIA CRISTIANA
– 04/06/2001

 

Eroi

 

“Come sto adesso io qui davanti alla tomba di mio padre/ – né più né meno – starà mio figlio davanti alla mia tomba”. Damiani scrive un canzoniere centrato sulla continuità della vita, sul passaggio del testimone, sul ricordo. Il velo di sentimento che caratterizza questo nitido poeta nion viene meno ma cerca nuove ragioni di essere: nel senso di una tradizione, nel filo che unisce la morte al dovere di vivere, di traciare una vita.

 

Elio Grasso , VIBRISSE

 

Claudio Damiani, Eroi

 

Alla luce della terra, quella riflessa direttamente dal cielo estivo sopra l’Isola, lo spazio diventa immenso, senza che per questo esso perda l’intimità. La visione dei figli e della moglie addormentati prelude a un cammino nel proprio tempo, prima e dopo la vita, prima e dopo i discendenti e gli avi. E tutta l’aria si espande, leggera e tersa, come in ere già state, a racchiudere i nati e i morti in un racconto che diventa storia attraverso il dialogo, e la vista. Quest’ultima si fa strada fra la notte e il giorno, ne sente il respiro, si posa sui gesti semplici e difficili che accompagnano il quotidiano andare, fino a porgerli a un nuovo mito, che fa della ricerca prima istanza ed accoglienza. C’è spazio per la passeggiata sulle strade dell’Isola (l’Elba, in questo caso, diventa la nave di tutti, la perfetta e ospitale viaggiatrice che si sposta un po’ a Ovest e un po’ a Est), per la sosta al bar che alimenta il ricordo delle terre frantumate che furono già dei padri e che adesso si mostrano, in brevi squarci, fra i tavolini. “Lontano dai clamori” le parole d’oggi si nutrono dei gesti di ieri, fra muri ridipinti e volontà antiche di studio (Pascoli e Carducci, più che Napoleone e l’esilio). Il mito cresciuto intorno al bar Grìgolo è forse il centro di una patria che nutre i suoi eroi, e li fa parlare sopra il rumore della nave che adesso viaggia sul Mediterraneo. Gli eroi non sono né giovani né vecchi, ma piace a tutti stare a sentire lo scricchiolio dei passi, il respiro che dà il fiato a questo percorso dentro l’aria quieta a volte azzurra, a volte più candida per la brina. In piena luce si svolge tutto il racconto di Claudio Damiani, che dopo La miniera ha proseguito la ricerca di un cammino personale ma comune, nei passi sovrapposti degli antenati e dei figli. Vedere occupare le stesse orme, recuperate dal suolo argilloso, mettendo i piedi su un terreno che avvince e talvolta fa scivolare, ricorda al lettore che esiste un cibo a cui non si può sottrarsi né rimuovere dal proprio cuore. Si tratta di parole scambiate, di ricordi distesi sulla tolda ondulata che diventa la casa primaria, la casa dai destini comuni. Né prima né dopo la morte, il futuro si fa differente per chi parla e chi ascolta. I bambini soffiano col respiro frasi che resteranno, gli adulti stanno in silenzio e a bocca aperta, vicini a questo fiato salutare. L’autore stesso comprende che il risveglio della natura, e della storia ad essa intrecciata, deve all’arte poetica qualcosa di più che il proprio esibirsi. E che terra, aria e mare fanno parte della stessa storia che ha dato alla luce i nostri poeti.  

 

Stefano Lecchini , LA GAZZETTA DI PARMA
– 01/12/2001

«Eroi», poesie di Claudio Damiani

Nel nido della terra

 

Lo sguardo che ci veniva incontro dalle precedenti raccolte di Claudio Damiani, «Fraturno» e «La mia casa», poi consacrate nella più ampia silloge «La miniera» (’97), era uno sguardo limpido e creaturale, di una tenerezza davvero rara nel panorama della poesia italiana del secolo appena trascorso. Questo sguardo dava peraltro alimento a una voce: «ingenua», e proprio per questo capace di aderire con altrettanto limpida e trepida naturalezza all’incessante spettacolo del mondo. Ogni cosa, all’interno di questo sguardo e di questa voce, ci veniva restituita dolcemente miniaturizzata: e l’intera vicenda dell’esistenza era affidata alla nostra stupita gratitudine con il candore di un’infanzia perenne. Era il trionfo del diminutivo e del vezzeggiativo: laghetti, stradine, casette, piccoli cuori e teneri animali, sembravano messi lì, appositamente stilizzati a lievi tratti amichevoli, per convincerci dell’inesauribile bontà del trascorrere del Tutto. Ora, questa nuova raccolta edita da Fazi, «Eroi», ci mostra che lo sguardo di Damiani (San Giovanni Rotondo, ’57) si è fatto più maturo. Certo non dimentica di dar del «tu» al mondo: anche se l’Io (un Io ben attaccato alle proprie radici) torna a spostarsi, per condividerlo, verso il centro della scena. Neppure rinuncia alla fibrillazione emotiva – ma ne rapprende in qualche modo l’espressione. Intanto, Damiani è diventato padre: ed è una voce «paterna» quella che chiede, in questi versi, di essere ascoltata. Benché segnato dalla maturità, l’universo di Fraturno è rimasto intatto: e nonostante la morte si insinui fra le sue pieghe fino a sconvolgere e a far tramontare le figure che lo attraversano, dai versi quieti e ben ordinati, cuciti da semplici similitudini, che lo raccontano, emerge comunque una fiducia sempre risorgente nella continuità indistruttibile della vita – quella stessa continuità che lega padri e figli, nonni e nipoti, generazioni e generazioni, e che è anche fedeltà ad una terra al di là di ogni morte. Come non sempre Beppe Salvia, l’antico compagno di «Braci» cui viene qui dedicato un commosso ricordo, Damiani riesce a sentirsi «prossimo» a tutto: e fiori, uccelli, insetti, ciuffi d’erba e bambini sono qui, benigni, a splendere al sole di questa poesia. Nonostante il plein air, l’eroismo che promana dai versi è un eroismo in qualche modo domestico. Si è parlato di fedeltà ad una terra. Ma poi il campo si restringe ulteriormente: ed in particolare i luoghi circoscritti (la casa, il bar, un’isola, o una tomba) mostrano di essere la patria – la vera, unica patria. Perché, come Damiani sembra aver appreso dall’amatissimo Orazio e da Pascoli, non vi è altro, non vi può essere altro che il «nido», questa paradossale via d’accesso all’immenso, a proteggere il nostro sguardo innocente dagli sfregi e dalle tempeste del mondo.

 

Giuseppe Genna, CLARENCE.COM
– 01/12/2001

 

Eroi

 

E’ raro leggere un “giovane poeta”, ormai. Ci sorprendiamo, perciò, trovandoci tra le mani l’ultimo libro di poesie di Claudio Damiani, Eroi, che Fazi edita proponendo ai lettori uno dei pochi poeti italiani della nuova generazione che valga la pena di leggere. La miniera, il precedente titolo di Damiani, era una summa della sua opera poetica, un testo delicatissimo, ferocemente delicato, che riproponeva, in pieni anni Novanta, l’esperienza di avvicinamento stilistico al nulla di cui maestro era stato un grande dimenticato del decennio precedente, il divino Beppe Salvia. La sapienza metrica e l’apparente ma iperaggressiva inermità di Damiani ci ha sempre convinto: è l’eredità più pura della tradizione italiana secondo la sua declinazione più gelida e più stilisticamente accorta. Le microevoluzioni e gli slittamenti interni della poesia di Damiani sono ben rappresentativi di una certa poesia nazionale, che ha attualmente in Stefano Dal Bianco la sua scommessa più alta. A latere di questa linea, con la medesima sapienza metrica e la stessa accortezza ritmica, una linea più “calda” ed eversiva sta componendo un discorso poetico che – a nostro modestissimo parere – è la novità più avanzata e stravolgente dell’intera letteratura italiana contemporanea, e di cui Mario Benedetti (e, per certi versi, Antonio Riccardi) è una certezza solida e definitivamente acquisita. Viene un po’ da ridere che poeti che navigano ormai attorno ai quarant’anni non abbiano ancora trovato degna pubblicazione presso la grande editoria. Sia Dal Bianco sia Benedetti sia Damiani sono voci importanti e in qualunque altra nazione pubblicherebbero nelle collane che contano, esattamente come i loro colleghi coetanei in Francia o in Inghilterra che, sia detto per inciso, scrivono poesie ben meno importanti di questi tre italiani. E’ che da noi le collane che contano non contano davvero un bel niente e la poesia non se la fila nessuno, anche se l’Italia è all’avanguardia della letteratura planetaria essenzialmente per il suo discorso poetico. Torniamo a Eroi. E’ un libro di passaggio. Claudio Damiani, mercé la nascita dei due figli che sono protagonisti di questo nuovo libro, pare avere abbandonato le sue ossessioni primarie. E’ che quelle ossessioni emanavano del tutto naturalmente lo stile evanescente e incisivo di Damiani. Con Eroi è arrivata la maturità. L’autoscopia petrarchesca – nevrotica e umanistica – viene ora condotta sul soggetto esterno e Damiani tenta, forte di una strana metafisica che ha qualcosa della dottrina tao o di certo buddhismo, un approdo rasserenato al nulla. In questo, non riesce. Siccome Damiani non è né taoista né buddhista, lo scarto di profondità si avverte. Lo stile vacilla. Un esito potrebbe essere plausibile: è la poesia di Walser. Però sussiste tra le pieghe dei versi (questa volta più incerti) una sostanza ruvida e rabbiosa, un segreto sottilissimo controcanto all’irenismo a cui sembrerebbe felicemente arrivare la lirica di Damiani. E’ questo angolo buio, questo punto cieco che risulta, al termine della lettura, l’acquisizione più importante di un poeta che è già importante.

 

Andrea Di Consoli, L’AVANTI
– 12/04/2000

“Eroi”, la poesia di Claudio Damiani

La morte spiegata ai figli

 

Claudio Damiani (San Giovanni Rotondo, 1957) ha scritto un libro di poesie che, finalmente, ci dà l’occasione di dire quale grande poeta egli sia (ma questo lo hanno già detto in molti, primo fra tutti Arnaldo Colasanti, il direttore di “Nuovi Argomenti”). “Eroi” (Fazi, 78 pagine, 22.000 lire) è un libro importantissimo, forse uno dei più belli degli ultimi anni. Qual è la forza della poesia di Claudio? É la chiarezza, ovviamente, ma anche il nitore, la rotondità delle forme (delle idee), la solidità. In mezzo a tante cose informi, Damiani è uno dei pochi che abbia il coraggio di nominare le cose, di dirle, di accettarle per quello che sono (e qui ritorna il concetto di umiltà o, per dirla con Cordelli, di “fraternità”). Ecco, Damiani è uno scrittore “fraterno”, ciò di cui parla è intimamente legato alla nostra vita: e il lettore, alla fine, dopo tante scissioni, si ricongiunge con lo scrittore. Queste poesie sembrano sculture neoclassiche, o magari quadri di Sironi; anche la morte vi diviene valore “regale”, imperturbabile, oggettivo: di fronte alla vita Claudio Damiani sa mantenere la calma. Sbaglia chi consideri Damiani un poeta semplicistico, il poeta dell’incanto; la sua poesia si configura come momento di grande onestà (e di freddezza: la freddezza di chi guarda in faccia le cose). Non teme nulla, Damiani, anche se il tema ossessivo del libro è la morte. Ne è ossessionato ma non la teme. Sa che è una pedina della vita e che è un valore. Se la vita è un miracolo anche il suo opposto lo è. Allora chi sono gli “eroi” di Damiani? Sono i bambini, quelli che sono stati chiamati alla vita per poi dover affrontare, un giorno di là da venire, in solitudine, la morte. Siamo tutti “eroi”, pare dirci Damiani, tutti accomunati da questo identico destino (“Come sto adesso io davanti alla tomba di mio padre / – né più né meno – starà mio figlio davanti alla mia tomba”). In un mio articolo su “La miniera” (autoantologia di qualche anno fa) mi è capitato di definire il linguaggio di Claudio pre-grammaticale (lo paragonavo a quello degli emigranti meridionali in Svizzera che parlavano un italiano di base elementare, con poche congiunzioni, da semi-analfabeti, e quella loro parlata stentata mi è rimasta nelle orecchie negli anni, eppure loro riuscivano a dire tutto il necessario). Ebbene, la vita si può dire con poche parole e dire le cose equivale a dire valori. Nominare le cose significa creare valori e se la parola coincide con la cosa si ha che l’entità che sta in mezzo, e cioè il pensiero, diventa un valore (è solo la menzogna a distruggere i valori). Claudio Damiani con “Eroi” ha scritto un libro che definirei dantesco (tralascio, per motivi di spazio, pascoli e Petrarca): una discesa agli inferi a regola d’arte. Solo che qui i morti non sono i “forti”, ma i deboli, quelli che hanno segnato la nostra vita, quelli con i quali abbiamo vincoli di sangue. Il congiungimento con questi morti crea una “patria”, che poi è la capacità di riconoscersi come anelli di una lunga catena di secoli. Riportiamone una di queste poesie: “Dirono che tu morirai / e che tante e tante angosce ci separeranno. / Ma per quanta terra potrà frammentarsi fra noi / tu sempre a me ritornerai, / cercherai la strada di tuo padre / e sempre la ritroverai. / Così adesso io penso a mio padre / la cui vita ho conosciuto poco / esendo nato che lui era vecchio; / dopo tanta incomprensione / ritrovo la sua strada. / Ci sediamo sul ciglio a parlare. / Lui stupisce di me, come mai era stupito / da me impara tante cose”. Con questo linguaggio Claudio Damiani si è imposto come uno dei maggiori poeti attuali. Nessuno mai ce l’aveva raccontata con tanta chiarezza. A fine lettura si rimane quasi sconcertati per come lieve, “umana troppo umana”, si configura la consistenza della morte. La morte viene sdogananta, riabilitata, “valorizzata”. É un discorso semplice che, però, richiede una lucidità e una freddezza che molti razionalisti neanche sanno. Alla fine siamo tutti “eroi”, tutti accomunati da un identico destino (morire). E ai figli bisogna spiegarlo come una cosa naturale, come una cosa della vita.

 

Marco Lodoli, LA REPUBBLICA

 

Eroi d’umiltà lezioni minime di fine anno

 

Vaclav Havel, scrittore e presidente della Repubblica Ceca, ha pubblicato pochi giorni fa un bellissimo articolo sul nostro giornale: ha usato parole semplici e chiare per ricordarci semmai per comodità o superbia ce lo fossimo dimenticati, che siamo tutti gettati sotto la stessa volta misteriosa, e che “per affrontare alcuni dei più profondi problemi del mondo, dobbiamo anche noi volgere gli occhi in alto, chinando il capo con umiltà”. Ridurre la vita a una convulsa rincorsa di profitti e vantaggi privati significa tradire i legami naturali che ci uniscono a tutte le altre creature, per ritrovarci poi soli e disperati. “Ci resta solo una possibilità: cercare al nostro interno, come intorno a noi, un senso di responsabilità nei confronti del mondo… e fare buone azioni, non importa se visibili e riconoscibili”. Può sembrare un messaggio di pace di fine anno, frasi di cui disfarsi con una alzata di spalle, ma qualcosa in noi ascolta e annuisce, e riconosce il suono della verità in mezzo al fracasso delle infinite parole pronunciate a casaccio, solo per saturare l’etere. Uguale emozione ho provato leggendo il libro di Claudio Damiani, poeta romano, appena edito da Fazi. Il volume si intitola “Eroi” e dovrebbe rimanere a lungo tra le mani delle persone che cercano nella letteratura qualche risposta alle mille domande dell’esistenza. Damiani evita ogni fumoso sperimentalismo: come Havel e come i poeti classici, va dritto alla sostanza, tenendo le parole accanto alle cose. C’è una poesia che fa quasi male per quanto è vera: Damiani spiega ai suoi alunni che un giorno tutti dovremo morire, e loro reagiscono con gestacci e proteste, ma poi di colpo accettano: “… e sentii un’unità / anche però, sentii che ciò che più ci accomunava e ci rendeva simili / era non tanto la nascita o le condizioni o l’ambiente / ma questo destino comune, questo futuro identico per tutti. / E anche sentivo che non c’erano differenze / neanche sui tempi, nel senso che uno moriva prima e uno dopo, / ma tutti insieme andavamo incontro alla morte / come tenendoci per mano, cantando / con i capelli profumati, col capo cinto di fiori”

 

Marco Maugeri, STILOS-LA SICILIA
– 01/06/2001

 

Il Poeta che sconfisse la morte

 

S’intitola Eroi l’ultima raccolta di poesie di Claudio Damiani, uscito a tre anni di distanza da La Miniera, libro che riportava la poesia a una misura umile, quotidiana. Una posia che rinnova la lezione pascoliana, narrativa, dei “Poemetti” nel nome di un canto nuovo delle cose dove il poeta è sempre una specie di Francesco povero, aurorale, alla ricerca della voce giusta per il canto del mondo e delle sue creature. E francescana la poesia di Damiani lo è senza dubbio, e per Damiani infatti le creature sono motivo sufficiente per fare una buona poesia. A Damiani basta poco, una mucca che si appisola in un prato, le guance di due bambini che dormono beati sul braccio della madre. A Damiani si deve questo, così come gli si deve il recupero della migliore eredità pascoliana. Di un Pascoli cioé non più visto come il fragile difensore dei valori di un mondo incerto, rovinoso, sempre esposto a minacce e rovesciamenti, ma di un Pascoli adulto, paterno, padre cioé di una lingua nuova ,di una poesia che si fa forza con piccole speranze e ambizioni che trovano in se stesse la loro creatura, le ragioni del loro canto. Di che “eroi” si tratta, allora, nella poesia di Damiani? A una prima occhiata si rimane preplessi, fuorviati . Gli “eroi” di Damiani infatti non hanno nulla di invincibile, di olimpico. Sono gli eroi di tutti i giorni, nel senso che sono eroi tutti coloro che si fanno carico dei problemi di tutti i giorni. Ed è allora antieroica la sua umanità, perché sono antieroiche le ragioni stesse della sua scrittura poetica. Eroi sono allora i padri, le madri, i figli, ed eroe è (perché no?) lo stesso poeta; e il suo eroismo consiste proprio in questo, consiste cioé nello sgombrare il campo della poesia dai suoi sogni di gloria, dalle sue ambizioni, e nel farla voce di quelle piccole angosce e paure che sono le paure e le angosce di tutti. Una paura per tutte? La morte, il terrore di perdere le persone che amiamoie che più ci sono care. Nasce da quest’angoscia un libro come Eroi, e la poesia ne è a sua volta il viaggio al cuore, un affettuoso scongiuro. “Dicono che tu morirai/ e che tante e tante angosce ci separeranno. /Ma per quanta terra potrà mettersi fra noi /tu sempre a me tornerai / cercherai la strada di tuo padre / e sempre la ritroverai.”. Parole di un padre dette a un figlio, uno scabio fra due uomini, e già per questo uno scambio fra eroi. Affronta la morte Damiani , l’afferra come un toro e la costringe a tutti i luoghi minimi della vita quotidiana: le pareti di una casa, quelle dei ricordi, e anche le pareti di una scuola se capita. Costretta al’umanità, costretta cioé alla vita, la morte ne esce infiacchita, sconfitta. E questo non è facile, è anzi questa una cosa che richiede ostinazione, umiltà. Il poeta eroe ne viene fuori come nuovo, rinato, ma anche sconvolto e ferito. “ Sono steso sul letto e tu mi accarezzi/, tu mi lavi come un eroe morto / e mi cospargi d’olio”. E’ uno dei passaggi più drammatici della raccolta e ne svela tutta la pietà che l’ispira , una pietà decente, civile, una pietà se vogliamo michelangiolesca. Il poeta sembra adesso un lottatore, un pugile ferito e la poesia gli si adegua: il verso si scioglie e si riavvolge nella forma di testamento, una confessione confidata a pochi, detta quasi per caso. Cose che capitano nella poesia quando si accetta la chiarezza, quando si sceglie l’umiltà . Fatto questo, domata la bestia, si è pronti per tornare alle cose di sempre, anche a uscire fuori dall’angoscia, dalla paura. Il Signore ti tiene in braccio come un bambino addormentato. / E tu aspetti, tenendo pulita la casa, / tenendoti pronta come per uscire”. Storie piccole quelle di Damiani, ma anche in questo, storie di eroi.

 

Alba Donati, IL GIORNO-LA NAZIONE-IL RESTO DEL CARLINO

 

Claudio Damiani

 

Un grande sociologo, Zygmunt Baumann, qualche anno fa ha scritto un libro fondamentale per capire come la società in cui viviamo allontani da sé il pensiero della morte, e cioé del morire. “ Il teatro dell’immortalità” era un resoconto di modi, parole, esorcismi attraverso i quali alimentiamo l’illusione di un vitalismo infinito. E’ un fatto curioso che la poesia della nuova generazione parli decisamente un’altra lingua, anzi basi parte della sua forza sul pensiero della morte. Ma quella di Claudio Damiani, come quella di Antonio Riccardi, di Paolo Iacuzzi, di Davide Rondoni non è la forza oscura e oscena della morte, bensì il suo dorso chiaro, la quiete. Con una straordinaria mossa di rovesciamento la solitudine e l’assenza in cui si svolge il morire diviene tavola imbandita, girotondo fatto mano nella mano di chi è destinato a ritrovarsi e a non perdersi mai più. Damiani con la sua lingua antica, chiara e assoluta, col suo tono semplice e classico recupera la prima tradizione novecentesca, quella pascoliana con quella presenza pervasiva dei defunti ma la arricchisce di qualcosa di nuovo: di vita. Damiani non parla solo di chi non c’é più: egli parla di sé, dei suoi figli – in una esposizione autobiografica di nomi ai quali ognuno può sostituire i suoi propri – parla a loro di quel salto che dovranno fare un giorno , come da una giostra, o dalla punta di un arcobaleno. Nella lingua chiara di Damiani c’é un mistero, nella sua serenità c’é un segreto: egli produce in chi legge una dilatazione del sentire, un’espansione infinita dell’amore, eppure tra i suoi eucalipti e l’aria fresca può capitare di tremare, di avere, dopo tutto e ancora paura.

 

Giovanni Mariotti, CORRIERE DELLA SERA

 

Damiani, parole quotidiane. In musica

 

So poco dei poeti d’oggi, solo di tanto in tano mi capita di leggerne dei versi, qua o là. E così, una decina di anni fa, incappai in una poesia di Claudio Damiani. Da allora quella voce inconfondibile – chiara, calda, saggia, avvolgente, familiare, con una punta di lezio che la salva dal trasformarsi nella voce di un guru – è entrata nella mia vita. Sino a quest’ultima raccolta, Eroi, pubblicata da Fazi. Damiani non si preoccupa di essere moderno, tanto sa bene che è impossibile evitarlo; e non va in cerca di parole preziose e rare; usa quelle di tutti i giorni, mettendole in musica e dando loro un senso puro. Fossi un critico di poesia, vorrei scrivere su Eroi, e sulla raccolta precedente, La Miniera, un saggio bellissimo e intelligentissimo; ma visto che che non lo sono, mi sta bene anche questo poco spazio per dire ai molti, anzi ai “quasi-tutti” che ne ignorano l’esistenza: “Leggete Damiani!”.

 

Enzo Di Mauro, ALIAS – IL MANIFESTO

 

“Damiani”. Un cantico di brace nel cuore del moderno

 

Brace dovrebbe essere una parola cara a Claudio Damiani, cara al suo cuore e alla sua formazione. Una parola che è sentimento e sostanza di una poetica della consumazione, dello sfaldarsi inesorabile dei corpi e delle cose. “Eroi” (Fazi, pp. 78, L. 22.000), il suo nuovo libro, dice con classica nettezza come ogni strappo di tempo venga qui abolito e che – se si trattasse di cinema – ci sarebbero solo lunghi piani-sequenza e lente carrellate che attraversano spazi immensi, di rigoglioso verde, in cui passato e futuro si riconoscono nel gesto umanissimo di una giustizia implorata e finalmente resa con l’unità che ogni dovere (ogni lotta) richiede. Il miracolo del libro – compatto, poematico, circolare – restainnanzitutto in questo montaggio che non si vede, almeno sul piano tecnico. Il tempo – la sua consumazione – e la morte tagliano le pagine di Eroi, dove ogni movimento è un atto di riconoscimento in una maschera funebre che ci somiglia, prossima o remota non importa, e tuttavia fraternale dello specchio che riflette il nostro volto. Il titolo -bellissimo e semplice – non tragga in inganno. Nulla a che fare con l’eroismo tutto evoliano – torvo, pasticcione, goliardico, piagnucoloso di chi cerca per sé (inutilmente, tra l’indifferenza del mondo) una bella morte, ridicola intemperanza e patetica bellezza – di un poeta come (ad esempio) Giuseppe Conte. Damiani dice eroica la vita di ogni creatura, viltà e paura incluse. Eroica la resistenza del corpo, la sua fragilità. Anche la nozione di patria è ridotta al minimo, la patria sono i figli, gli amici, le care ombre. La patria è già adesso, nel libro, un’isola di morti, ed è anche come prepararsi ad abitarla. La patria è sentirsi un antenato. La poesia di Damiani ha un respiro classico, mai astratto, di assoluta linearità. I sogni e le visioni che affollano “Eroi” dispiegano con naturalezza una lunga tradizione poetica e la fanno nidificare nel cuore del moderno. Nel 1997 “La miniera” rivelò ai più Damiani (classe 1957) come un poeta decisivo della sua generazione, certo il più coraggioso, avendo in quel libro indimenticabile, saputo dare scacco al rischio sentimentale, alla violenza della memoria snervata e nostalgica. “Eroi” ne conferma e rafforza tutte le qualità.

Eroi - RASSEGNA STAMPA

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