Thomas Cahill
Giovanni XXIII
Traduzione di Elisa Buonaiuti
Una biografia che è anche, e soprattutto, un libro sulla storia della Chiesa. Thomas Cahill racconta al lettore la vita di Papa Giovanni XXIII, in modo erudito, ma al tempo stesso divertente e popolare. L’autore ha colto con arguzia i due aspetti dell’irresistibile carattere di Angelo Giuseppe Roncalli: il contadino corpulento nato tra la ruvida gente della campagna bergamasca e il prete la cui voce ha avuto nella storia religiosa e nella politica mondiale un ruolo indimenticabile, a fianco di John F. Kennedy e Nikita Kruscev. Cahill mostra come Giovanni XXIII ha accompagnato la Chiesa negli anni ’60, sconvolgendo i piani di Pio XII, il suo predecessore, paragonato in modo al senatore americano Joe McCarthy. Invece, già mentre avanzava lungo i ranghi ecclesiastici, Roncalli era riuscito a mediare tra la rigidità dell’antimodernismo e la sensibilità contemporanea. Alla fumata bianca del 1958, la maggior parte dei cattolici credeva che la sua sarebbe stata una figura di transizione, mentre si rivelò l’artefice di alcuni tra i più grandi cambiamenti della Chiesa, fino a riscrivere alcune delle dottrine fondamentali nel Concilio Vaticano II. La prosa felice e piacevole di Cahill offre aneddoti memorabili, perché ben intuisce lo spirito di Papa Giovanni e il suo modo irriverente di vivere tra gli intrighi del Vaticano: dallo chef del ristorante La Grenouille di Parigi, passando per l’amicizia con Jackie Kennedy. Diversamente sono inediti i passi che vedono nel cattolicesimo sociale di Papa Giovanni un’anticipazione della Teologia della liberazione e drammatici sono quelli che parlano delle migliaia di ebrei salvati con astuzia nel corso del nazismo come delegato apostolico in Turchia.
«L’affetto con cui Cahill tratta papa Giovanni è accompagnato dallo sprezzo per conservatori come Pio XII».«New York Times»
«Cahill usa la stessa prosa felice e l’approccio piacevolmente vivace alla storia che ha caratterizzato i suoi libri di maggiore successo».
«Publishers Weekly»
– 30/11/2006
Dalle fiction tv ai Vatican thriller
– 01/06/2005
L’apologeta americano di Giovanni XXIII dipinge a tinte fosche la Chiesa
Appena uscito in Italia, il libro ha suscitato polemiche negli am-bienti cattolici, accusato di superficialità e poco gradito per alcuni giudizi troppo netti. Il fatto è che questo Gio-vanni XXIII> (traduzione di Elisa Bonaiuti, Fazi, 2005, pp. 278, € 13,50) di Thomas Cahill sposa una tesi precisa ma parziale, alla quale viene sacrificata parte della complessità del quadro. L’autore, cioè, esaltando la figura di Papa Roncalli, fini-sce per contrapporle, in negativo, quan-to c’è stato, prima e dopo lo straordina-rio pontificato di Giovanni XXIII, nella storia della Chiesa. Cahill, già responsabi-le del settore religioso dell’editrice ameri-cana Doubleday, è autore di fortunati sag-gi di divulgazione storica e teologica. Ricordiamo, pubblicati da Fazi, i tre volumi Come gli irlandesi salvarono lo civiltà, Come gli ebrei cambiarono il mondoe Desiderio delle colline eteme. Il mondo prima e dopo Gesù, che fanno parte di un ambizioso progetto, in sette tomi, sulla storia della cultura occidentale. Nel complesso, al di là di alcune imprecisioni e di una certa fretta narrativa. questo nuovo libro su Giovanni XXIII appare animato dall’am-mirazione sincera di un cattolico, quale è Cahill, per un Papa che ha impresso una svolta decisiva alla vita della Chiesa.
In questo suo volume, prima della vi-ta di Angelo Roncalli, ci sono un’ottantina di pagine in cui è riassunta lo storia della Chiesa prima di lui. Non le sembra diffici-le riuscire a condensare quasi duemila an-ni di storia in uno spazio così scarso?
“Mi rendo conto che a un pubbli-co come quello italiano potrà sembrare che il libro pecchi di qualche ingenuità. Ma bisogna pensare che l’ho scritto per i lettori americani che, come è noto, so-no un po’ più ignoranti, su temi storici e religiosi, rispetto a quelli europei”.
Come definirebbe questo suo lavoro?
“Non si tratta di una biografia, ma d’un saggio militante, che offre la mia vi-sione personale di Giovanni XXIII den-tro la storia della Chiesa”.
Quale immagine ha voluto trasmet-tere di papa Giovanni?
“Molte persone che conoscevano da vicino Angelo Roncalli pensavano, pri-ma che diventasse Papa, che mancasse di acume, di finezza. Poi, con le iniziative straordinarie di cui si è fatto promotore (il Concilio in primis) , ha fatto cambiare idea a tutti. Era figlio di contadini e alla realtà rurale era legata la sua idea del sa-cerdozio: prete è colui che benedice, ac-compagna, sta vicino alla gente, soprattut-to alle persone più bisognose, nei mo-menti salienti della vita. Ha conservato questa visione del ministero sacerdotale anche quando è entrato nella diplomazia vaticana”.
Si riferisce a quanto è stato detto sulla sua presunta renitenza ad applicare, dopo lo guerra, le istruzioni vaticane relati-ve alla restituzione dei bambini ebrei bat-tezzati alle loro famiglie d’origine?
“Parlavo in generale, ma quanto al caso specifico, di cui si è molto discusso negli scorsi mesi e che tuttora rimane di controversa valutazione, non credo che abbia sfidato Pio XII. Certo è che per lui quella di figli di Dio era una condizione che riguardava tutti gli uomini, indipenden-temente dalla religione di appartenenza”.
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“Avevo 18 anni quando Roncalli di-ventò Papa. Prima di lui avevo conosciu-to Pio XII che mi appariva distante. Quando Giovanni XXIII si presentò al mondo fu subito chiaro che era iniziata una piccola “rivoluzione” nel modo di porsi e di comportarsi da parte del Papa. Scherzava su se stesso in pubblico, e per noi un Papa con il senso dell’umorismo era qualcosa d’inedito. Aveva però an-che la capacità di credere seriamente nel-la propria missione universale: “Servo dei servi”, cattolico, cioè universale”.
– 13/03/2005
Giovanni XXIII: la vita del pontefice padre del mondo
“Un uomo corpulento, non più giovane, dagli occhi brillanti e la voce gradevolmente sonora, ammantata di un’insolita dignità che sembrava sottolineare il lato giocoso della sua figura”.
Così Giovanni XXIII, ricordato come “il papa buono”, apparve ad un miliardo di cattolici al momento della sua elezione a successore di Pietro la sera del 28 ottobre del 1958.
Non era il candidato previsto ma per una di quelle imperscrutabili ragioni della strategia divina, il piccolo sacerdote bergamasco divenne il successore di Pietro e Vescovo di Roma.
Da questa posizione, quello che secondo certe logiche curiali avrebbe dovuto essere un Papa di transizione, avviò con le sue encicliche che avevano un carattere più pastorale che dogmatico e soprattutto con l’apertura del Concilio Vaticano II, un radicale e profondo rinnovamento della Chiesa, planando sul cuore dei semplici come un’ala di luce che assorbiva i clamori dell’umanità.
A questo Papa diverso da ogni altro Papa, lo scrittore americano Thomas Cahill, esperto di argomenti religiosi, ha dedicato un saggio biografico teso e lucido, tuffato nella storia passata e presente della Chiesa.
Incontriamo a Roma Thomas Cahill, e gli chiediamo in cosa consisteva i carisma di Giovanni XXIII.
“Lo straordinario carisma di Giovanni XXIII – spiega – è stato quello d’essere apparso a tutti come un cordiale essere umano. Tutti avevano l’impressione di conoscerlo personalmente, perché la sua amabilità eliminava ogni disagio o barriera: era il papa che andava dritto al cuore degli uomini, entrava nelle case di tutti con una parola gentile e un sorriso che dissipava ogni pena. Non era tanto un capo, ma una persona a braccio e si mostrava sempre spontanea e affettuosa. Forse il grande carisma della sua personalità, fu ancora più importante delle riforme che concepì e attuò, scaturite con naturalezza dal suo istinto templi e dalla sua grande sensibilità religiosa”.
Un papa del popolo e per il popolo, quanto di più umile si potesse immaginare nelle austere sale del Vaticano?
In Giovanni XXIII convincevano due precise identità. Non dimenticò mai di essere figlio di contadini e questa sua discendenza aveva una spiccata simpatia per i problemi delle persone povere e più bisognose di beni materiali, ma anche conforto. L’altro lato della sua identità era quello di essere un prete che nella sua mentalità equivaleva ad essere un guaritore, benedire, aiutare le persone nei loro problemi in ogni momento. Queste due identità in Giovanni XXIII si univano e creavano una fusione perfetta, una completa unicità.
Ma è proprio vero, come anche lei evidenzia nel suo libro, che il pontificato di Giovanni XXIII fu se non ostacolato, ritardato dalla burocrazia Vaticana?
Giovanni XXII affrontò sempre con pazienza e testardaggine l’opposizione della burocrazia interna del Vaticano. Era un’opposizione molto intelligente, nel senso che si svolgeva dietro le quinte con un sistema di resistenza passiva: facevano in modo di non far andare avanti le cose che loro non approvavano. La grande abilità di Giovanni XXIII fu quella di aggirare questa opposizione intransigente, perché la sua personalità riusciva a mettersi in contatto direttamente con le persone. In questo senso ancor prima dell’apertura del Concilio Vaticano II, si erano create delle aspettative così alte nella gente che tutti pensavano sarebbero successe grandi cose. All’apertura del Concilio invece nulla era veramente pronto, perché i burocrati avevano fatto di tutto per ostacolare e possibilmente far fallire un così ambizioso progetto.
Possiamo considerare il suo affetto per la Turchia una sorta di europeismo istintivo?
Più che europeista, lui era un universalista, vedeva cioè che qualsiasi membro dela razza umana bob era un estraneo, faceva parte del consesso generale del mondo, così come lui si sentiva parte della gente. Forse in quel momento non aveva una visione della Turchia come futura parte dell’Unione europea, ma amava i turchi ed era felice di stare in mezzo ai suoi fedeli.
Giovanni XXIII forse non era un politico, ma nella crisi di Cuba agì come tale, e la sua opera mediatrice fu molto importante per evitare uno scontro nucleare tra Stati Uniti e Unione Sovietica…
Giovanni XXIII aveva un naturale senso della discrezione e della diplomazia, e questo lo aiutò in molte occasioni. Lo possiamo definire anche politico, ma secondo me la definizione più giusta per lui è: umano. Riserverei la condizione di politico a molti suoi predecessori e successori, i papi che furono prima e dopo di lui. Nel libro spiego come molti papi in realtà non svolsero tanto il loro ruolo di leader religioso, spirituale, ma furono delle vere e proprie figure politiche. Questo ci aiuta a spiegare molto delle azioni, mentre Giovanni XXIII è un leader religioso di grande umanità, completamente immerso nella spiritualità del suo compito.
Ci sono stati altri Papa prima di lui che hanno avuto le sue stesse caratteristiche?
Dopo Gregorio Magno, papa nel VI secolo (il Manuale anche Angelo Roncalli consultava più di frequente era la pastorale, il suo capolavoro) possiamo citare Benedetto XIV, Pio VII, Leone XIII e Bendetto XV. Si tratta di pontefici relativamente recenti, a conferma della teoria di Roncalli sull’evoluzione spirituale nel corso della storia, sul nostro arrivare, gradualmente, a “capire meglio il Vangelo”.
E’ possibile un parallelo tra Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II?
Posso dire che Giovanni Paolo II è la più grande figura politica della seconda metà del ventesimo secolo. Nessun altro ha avuto un ruolo così importante e centrale nella caduta del comunismo, e quindi nel portare grandi e straordinari cambiamenti al mondo. Però, secondo me, non è una figura spirituale pari a quella di Giovanni XXIII che era una sorta di guaritore: una persona che riusciva a far sentire meglio tutti quanti come figli di Dio. Per la prima volta un papa di Roma fu percepito come il reale padre del mondo.
Quali furono i maggiori insegnamenti di Giovanni XXIII e cosa rimane oggi di questo grande Papa?
Una delle sue idee fondamentali era che non c’era nessun motivo di dividere le persone in categorie, cattolici e non cattolici, cristiani ed ebrei, Est e Ovest: tutte divisioni che possiamo fare facilmente ma in modo errato. Nel suo letto di morte disse: “Il segreto del mio sacerdozio sta nel Crocifisso. Quelle braccia allargate di Gesù sono state il programma del mio pontificato: esse dicono che Egli è morto per tutti, per tutti; nessuno è respinto dal suo amore, dal suo amore, dal suo perdono”. Questa è l’espressione dell’eguaglianza completa fra tutti gli uomini della quale lui alimentò la vocazione che esprimeva costantemente nelle sue azioni e nelle sue parole, con i gesti delle sue mani, con gli sguardi dei suoi occhi. La sua più grande eredità è sicuramente quella di aver incarnato al meglio nel suo periodo storico, il Vangelo.
– 03/03/2005
Giovanni XXIII secondo Thomas Cahill, che distribuisce pagelle ai Papi
Una scena ci mostra Angelo Roncalli ancora nunzio a Parigi “avvicinato da una donna che esibiva uno splendente decolletè e che aveva, in mezzo ai due floridi seni, un grande crocifisso”, esclamare: “Che Calvario!”. In un’altra, sempre del periodo parigino, c’è un carpentiere al lavoro vicino al suo ufficio che inizia a bestemmiare come un turco nel momento in cui si pesta il pollice col martello, e il futuro Giovanni XXIII gli va allora incontro severo per ammonirlo: “be’, che succede? Non potete anche voi dire ‘merda’ come fanno tutti?”. Poi lo rivediamo in Conclave subito dopo l’elezione, a prendere sottobraccio il tecnico dei telefoni che lo ha chiamato “Vostra Eminenza”, per bisbigliare in tono fraterno: “Che rimanga tre noi, non sono più ‘Vostra Eminenza’. Sono il Papa”. E da pontefice ormai insediato che discute sino alla noia con gli esperti il protocollo sull’eventualità di chiamare Jaqueline Kennedy “Mrs. Kennedy” oppure “Madame”, per poi ritrovarsela davanti, aprire le braccia ed uscirne con un plateale: “Jackie!”. Per non parlare di quanto poi gli chiedono quanta gente lavori in Vaticano, e lui sbotta con una battuta alla Bud Spencer: “La metà!”…
Insomma Thomas Cahill, divulgatore da best-seller, conferma di saper bene come variare il registro, a seconda del materiale trattato. E se nel suo primo straordinario successo “Come gli Irlandesi salvarono la civiltà” superò i due milioni di copie col muovere gli scenari come in un film di Cecil B. De Mille, per questo “Giovanni XXIII” (come gli altri libri di Cahill pubblicato in Italia da Fazi, 250 pagine, 15 euro) ha sostituito all’epica la levità, facendo del “papa buono” quasi un emulo di Padre Brown di Chesterton o del Don Camillo di Guareschi. “Era un contadino, figlio di contadini, ed era contemporaneamente un sacerdote, vedendo tale ruolo o quasi nell’ottica appunto contadina del guaritore”, spiega al Foglio. “Tra questi due ruoli c’era un rapporto diretto che lo rendeva ben distinto da quel tipo di complessità quasi schizofrenica spesso presente nel clero, e che gli dava una spontaneità straordinaria nel rapporto con la gente. Di qui la sua immensa popolarità”.
Tanta umana empatia tra Cahill e il protagonista del libro tende, però, a fuorviare il lettore. Chi si aspetta una biografia, trova invece una vera e propria storia del cattolicesimo e del papato, da San Pietro fino a Giovanni Paolo II e alle previsioni su un suo eventuale successore. Cahill autore di non piccole ambizioni. Il suo progetto è di spiegare al grande pubblico le radici della civiltà occidentale attraverso sette “punti di svolta”. In italiano sono comparsi i primi tre: dopo il libro sugli irlandesi, nel 1997, “Come gli ebrei cambiarono il mondo”, nel 1999, e “Desiderio delle coline eterne. Il mondo prima e dopo Gesù”, nel 2003. Ma in inglese è già uscito il quarto volume, sui Graci: “Sailing the Wine-Dark Sea: Why the Greeks Matter” (Random House). E si sa pure che è già alacremente all’opera sul quinto volume, che riguarda la trasformazione dei romani in noi italiani. “Ancora senza titolo”, spiega Cahill. “I titoli li do alla fine, quando vedo che cosa è uscito fuori”.
Non sarà allora che la biografia di Giovanni XXIII è in realtà il volume numero sei, sull’apporto della chiesa cattolica? “No, questo libro fuori dal progetto, nasce da una richiesta che mi era stata fatta a parte. Però è scritto per un pubblico americano, per di più in gran parte protestante. Bisogna dunque spiegare un po’ di retroscena. D’altra parte, è inevitabile che il lavoro che sto facendo sulle radici della civiltà occidentale abbia finito in un certo modo per interferire. Così come interferisce il particolare che il mio interesse principale sia l’evoluzione della sensibilità umana”.
Infatti, anche a non sapere che Cahill sta lavorando su noi italiani, qualche sospetto verrebbe per forza, considerando come notazioni idiosincratiche del carattere italiano
Saltino fuori in continuazione per spiegare agli americani la figura di Giovanni XXIII. “L’Italia è un paese di contrasti, serenamente accettati, dove si può avere uno zio vescovo e un altro rappresentante socialista in Parlamento, dove nemici all’apparenza mortali possono essere amici in segreto, come il parroco e il sindaco comunista delle storie di Don Camillo”, scrive ad esempio Cahill. E ancora: “Ciò non vuol dire che gli italiani conducano esistenze schizofreniche: sono invece persone sinceramente religiose e sinceramente ribelli. Per loro, una simile dissociazione implica una continuità, non una contraddizione”. Con la sua larga risata Cahill cerca allora di ribaltare l’intervista, chiedendoci a sua volta se troviamo il ritratto somigliante. Poi, tornando serio: “Nelle mie scorribande da un secolo all’altro, una delle domande che più mi ha intrigato è: come hanno fatto gli antichi romani a trasformarsi nei moderni italiani? Dal mo punto di vista sono molto differenti. I romani erano un popolo che conquistava il mondo, faceva schiavi, combatteva guerre…Comunque, credo che solo conoscendo il cattolicesimo popolare italiano si possa comprendere un personaggio come Giovanni XXIII.
Ogni popolo ha comunque le sue fissazioni. Si dice che quella degli americani consista in larga parte nel Rispetto ai precedenti libri, che trattavano di cose antiche e tutto sommato “innocue”, l’incursione nel contemporaneo con questa biografia di Giovanni XXIII ha guadagnato a Cahill un po’ di polemiche. A cominciare dall’approccio generale alla storia del papato, di impianto né cattolico né laico italiano, ma nettamente protestante. L’autore è cattolico (ha pure studiato dai gesuiti), ma la sa lunga: “Il pubblico americano è in gran parte protestante o influenzato dal protestantesimo. E io conosco bene il mio pubblico”. La figura di Giovanni XXIII, allora, è utilizzata come monumento polemico verso la maggioranza dei pontefici: in particolare verso il suo predecessore Pi XXII e verso Giovanni Paolo II. Chiediamo a Cahill se non ritenga di aver trattato questi personaggi in modo un po’ schematico. Certo, Pio XXII ebbe il problema di confrontarsi con Hitler e Stalin, e ciò lo portò a rigidezze che non lo resero particolarmente popolare. Però fu lui a innovare rispetto a una radicata tradizione antisemita della Chiesa, e fu lui il primo Papa ad accettare formalmente la democrazia. Allo stesso modo, forse è vero che la decisione di Giovanni Paolo II di togliere alle chiese protestanti lo status di “sorelle” in quanto non basate sulla successione apostolica è un passo indietro sulla via dell’ecumenismo. Però questo è anche il Papa delle scuse per gli abusi della Chiesa, della visita alla sinagoga di Roma, della preghiera nella moschea di Damasco, degli incontri ecumenici di preghiera anche con i non cristiani. “Su questi punti mi sono state fatte critiche affrettate e imprecise. Mi si accusa per esempio di aver definito Pio XII antisemita e pro-nazista. Niente di tutto questo. Pio XII aiutò gli ebrei e si oppose al nazismo, ma senza fare il grande gesto di denuncia che lo avrebbe portato alla rottura totale. Che sarebbe successo se lo avesse fatto? Rimane un grande interrogativo storico. Ma non lo fece, dando prova di poco coraggio. Per questo ho scritto che Giovanni Paolo II probabilmente non arriverà mai a santificare Pio XII: un uomo così coraggioso e dotato di una tale forza interiore come Giovanni Paolo II non può ammirare un debole come Pio XII. Quanto allo stesso Giovanni Paolo I, non sminuisco affatto la sua figura storica: solo l’aver contribuito alla sconfitta del comunismo ne fa un personaggio memorabile. Però, al di là delle critiche che gli rivolgo, osservo che si tratta di un grande Papa politico, ma non di un grande Papa religioso. Mentre la mia ammirazione a Giovanni XXIII è che si è trattato di un grande Papa religioso”.
– 30/01/2005
Cahill e Giovanni XXIII, occasione mancata per il biografo
Non è solo una delusione l’ultimo libro di Thomas Cahill tradotto in italiano (Giovanni XXIII, Fazi, pagine X + 270, euro 13,50, da martedì in libreria), ma un vero e proprio incidente di percorso. Colto e brillante divulgatore di cui Fazi da otto anni ha iniziato con successo a pubblicare le opere, l’autore è infatti conosciuto soprattutto per il bel saggio sul ruolo del monachesimo irlandese nella storia della cultura (Come gli Irlandesi salvarono la civiltà), nel quadro di un ampio progetto sulle grandi tradizioni di cui il mondo contemporaneo è tributario. Tanto più sconcertante appare questo volume, uscito nel 2002, che non avrebbe certo meritato una traduzione (né tanto meno il contributo della Comunità Europea, grazie al quale è stato stampato).
Abituato ai grandi affreschi, in questo caso Cahill si è però lasciato decisamente prendere la mano. Tanto è vero che al fine di “interpretare e collocare l’argomento nel contesto del suo tempo e della storia del cattolicesimo papale” il profilo biografico di Angelo Giuseppe Roncalli – dal 1958 al 1963 Papa con il nome di Giovanni XXIII – è preceduto da un prologo (“Prima di Giovanni”) che in una settantina di pagine condensa le vicende del cristianesimo romano da Pietro al 1881, l’anno in cui nasce Roncalli; e seguito da una sintesi (le pagine sono una ventina) che ripercorre l’ultimo quarantennio. Non è però la rapidità del tentativo – scritto in una prosa efficace e in genere ben resa dalla traduzione, nonostante alcune sviste – il punto debole del libro, quanto la sommarietà e l’incredibile superficialità dei giudizi.
Sono sufficienti un paio di esempi: “Se Innocenzo III può essere considerato un modello di pontefice risoluto che, nella consapevolezza dei propri limiti, riuscì comunque a combinare qualcosa di buono, non altrettanto si può dire, sul finire del XIII secolo, di Bonifacio VIII”, definito né più né meno “un megalomane interessato solo al proprio prestigio”. E se dal Medioevo si passa all’età contemporanea il giudizio di Cahill lascia addirittura sgomenti: “L’assurda affermazione dell'”Assunzione” di Maria, dogma basato su pie leggende e proclamato nel 1950 con la stessa leggerezza con cui Pio IX aveva proclamato quello dell’Immacolata Concezione, fu interpretata dai francesi come una sfida deliberatamente retrograda che il pontefice lanciava contro la loro spregevole modernità, una sorta di “andate-al-diavolo” ecclesiastico”.
Il ritratto di Roncalli e di Giovanni XXIII è simpatetico, ma non riesce in definitiva a rendere alcun servizio né alla storia né alla memoria del Papa che volle il concilio Vaticano II, fitto com’è di leggerezze, tratti caricaturali e grossolani errori. Nonostante le intenzioni e nonostante l’autore professi il “più grande debito di riconoscenza” all’arcivescovo Loris Francesco Capovilla – antico segretario del patriarca Roncalli e del Pontefice – il quale, se potrà sorridere nel leggersi “oggi deceduto”, non sarà altrettanto benevolo con il travisamento di molti fatti e circostanze.
Come quando Cahill scrive della beatificazione di Papa Roncalli, che Giovanni Paolo II ha voluto celebrare nel 2000: “Era il minimo che potesse fare, dal momento che tutto il mondo cattolico lo aveva già da tempo dichiarato santo. La cosa scioccante è però che, insieme a Giovanni XXIII, è stato beatificato anche Pio IX: Pio IX era un personaggio che nessuno avrebbe voluto beatificare, a parte forse alcuni rappresentanti dell’antica nobiltà romana decaduta e i proprietari della pizzeria Il Papa-Re a Trastevere, così chiamata in onore di Pio IX, l’ultimo “papa-re” italiano”. Ai quali però bisogna aggiungere lo stesso Giovanni XXIII, che volentieri avrebbe elevato agli onori degli altari proprio Pio IX, anche se Cahill mostra d’ignorarlo. In un libro pubblicato evidentemente solo per la fama dell’autore, in questo caso del tutto immeritata.