Thomas De Quincey

I Poeti dei Laghi

COD: 70efdf2ec9b0 Categorie: , , Tag:

Collana:
Numero collana:
15
Pagine:
320
Codice ISBN:
9788881120154
Prezzo cartaceo:
€ 13,00
Codice ISBN ePub:
9788864119854
Prezzo eBook:
€ 4.99
Data pubblicazione:
01-03-1996

A cura di Carola Su­sani

Thomas De Quincey mette a nudo debolezze e manie dei grandi poeti romantici Coleridge, Wordsworth e Southey da lui frequentati quando abitava nel Distretto dei Laghi. Ma questi ricordi letterari, apparsi fra il 1834 e il 1840 su alcune delle maggiori riviste inglesi, raccontano soprattutto il cammino di un’iniziazione alla vita e alla poesia, la storia di una passione. “Siamo uomini troppo sensati per litigare perché non amiamo in modo particolare ciascuno gli scritti dell’altro: siamo vicini di casa, o quello che s’intende per vicini in questo posto. Dimostriamoci pure le cortesie che si convengono a uomini di lettere; e, per ogni legame più intimo, tra di noi basterà sempre la distanza di tredici miglia”.

I POETI DEI LAGHI – RECENSIONI

SILVIA UGOLOTTI, LA GAZZETTA DI PARMA
– 05/01/1996

De Quincey in libreria

IL LAGO DEI POETI

 

Una suggestiva, quanto mai originale opportunità ci sembra il testo di Thomas De Quincey (1785-1830) dal titolo, I poeti dei laghi; nell’edizione originaria del 1863 Recollections of The Lakes and The Lakes Poets. E’ pubblicato ora per la prima volta in Italia (Fazi, 316 pagine, 26mila lire) in un elegante volume che porta in copertina un affascinante ritratto di William Wordsworth in atteggiamento assorto e meditativo. Si tratta di una prosa dal tono appassionato e rancoroso al tempo stesso, contenente le reminiscenze di De Quincey relative al periodo in cui abitò nel Distretto dei Laghi, a Grasmere, e dei suoi conseguenti incontri con un trio d’eccezione: Samuel Taylor Coleridge, William Wordsworth e Robert Southy, i poeti laghisti. Vicini di casa – a poche miglia di distanza l’una dall’altra stanno le loro abitazioni – esponenti della prima generazione dei poeti romantici, geniali e in qualche modo rivali come sembrano silenziosamente affermare dai modi e dagli sguardi: “Siamo uomini troppo sensati per litigare perché non amiamo in modo particolare ciascuno gli scritti dell’altro: siamo vicini di casa, e quello che s’intende per vicini in questo posto. Dimostriamoci pure le cortesie che si convengono a uomini di lettere; e per ogni legame più intimo, tra di noi basterà sempre la distanza di tredici miglia”. Thomas De Quincey, eccentrico e sognatore, incline per natura all’introspezione psicologica, rivela qui e nei suoi numerosi saggi una certa abilità a penetrare nello spirito di un altro scrittore, spesso per mezzo di un’intuizione emotiva. Autore di opere autobiografiche, Confessions of an English opiumeater in cui descrive i sogni e gli incubi provocati dall’uso prolungato dell’oppio, Autobiography e Suspiria de Profundis dove si mostra sorprendentemente attento ai complessi meccanismi che agiscono nella vita psichica, De Quincey si presenta più piacevole e interessante per il lettore moderno negli studi di carattere ben condotti e dettagliati, come le memorie dei laghi. Esse costituiscono un nucleo solido e compatto, e raccontano attraverso luoghi, persone, aneddoti la storia di un sogno a lungo vagheggiato e poi deluso. Il dramma di una sconfitta interiore. La precoce adesione con l’arte di Wordsworth e Coleridge, spiega Carola Susani curatrice dell’opera, rappresenta per il giovane Thomas il primo passo all’iniziazione poetica. Nella sua fantasia il Distretto dei Laghi con il suo tessuto di piccole e grandi storie letterarie legate agli autori delle Lyrical Ballads si materializza come “patria interiore”, immaginandosi d’essere “un fantasma – una seconda identità proiettata nella coscienza”. Nel mondo racchiuso tra Allan Bank, Grasmere, e Keswick trionfa per lo scrittore il cuore della poesia. Eppure, quando finalmente attorno a Thomas si stende il romantico paesaggio a cui si sentiva legato fin da ragazzo e l’incontro avviene, tutte le sue attese non trovano conferma. Egli si sente escluso da quel mondo e non trova l’accettazione che cercava, se non in un unico fugace momento, al centro di tutti i ricordi dei laghi. Seduti su blocchi di pietra tra Cumberland e Westmoreland, Wordsworth gli comunica l’inconsapevole rivelarsi della poesia nelle cose “Ho notato sin dai miei primi anni che, in alcuni casi, quando l’attenzione è concentrata su un atto di fissa osservazione, se ci si rilassa tutt’a un tratto… in quell’istante ogni bellezza, ogni oggetto suggestivo che colpisca gli occhi viene portato al cuore con una forza in altre circostanze ignota”. Quello che resta, le annotazioni biografiche su Coleridge, Wordsworth e Southy sono permeati di amara, ma sorridente ironia e ancor di più di rimpianto per ciò che non riuscì a raggiungere. Si sofferma a raccontare le loro debolezze, fatti all’apparenza riduttivi come la tendenza alla “cleptomania letteraria” di Coleridge, per nulla giustificabile dato che “egli filava quotidianamente, dal telaio del suo magico cervello, teorie di gran lunga più magnifiche”. E il ritratto fisico dedicato a Wordsworth sulle cui imperfezioni – spalle strette e cadenti, gambe imperfette e andatura obliqua – De Quincey indugia. Descrive con distacco apparente quanto Coleridge divenne schiavo dell’oppio, perdendo i contatti con se stesso e con il mondo intero, sottolinea l’egocentrismo di Wordsworth, l’irruenza istintiva della sorella Dorothy e l’apprensione morbosa di Southy per il figlio. Proprio in questo modo, dalla delusione e dal risentimento per il rifiuto dietro una mal celata ironia prende forma un’immagine dei suoi poeti ben più autentica e reverenziale di quella che traspare in superficie e li affida alla memoria in tutta la loro grandezza.

SILVIA MAGLIONI, L’INDICE DEI LIBRI DEL MESE
– 04/04/1996

 

THOMAS DE QUINCEY, I POETI DEI LAGHI

 

I ricordi letterari di Thomas De Quincey proposti in questa raccolta apparvero per la prima volta sul “Tait’s Edinburgh Magazine” tra il 1834 e il 1840 tratteggiando, per usare una sua espressione, una “narrazione vagabonda” che non si allontana mai però dal Distretto dei Laghi, patria onirica e letteraria, terra di “misteriosa pre – esistenza” ove De Quincey incontrerà gli idoli iniziatori della sua passione poetica. L’incontro con Wordsworth è racconto con la dedizione del giovane proselito che vede per la prima volta, “come un lampo di luce”, il proprio maestro. Toni entusiastici accompagnano anche la narrazione dell’incontro con Coleridge, che dilaga come un grande fiume “in un tendersi ininterrotto di argomentare eloquente”. Tuttavia, nel tracciare la biografia dei poeti dei Laghi e della loro vita familiare, De Quincey non è sempre così generoso: adorazione e risentimento spesso si sovrappongono per descrivere un mondo rimastogli in fondo remoto e inaccessibile. In modo assai poco indulgente racconta le debolezze di Coleridge e il suo naufragio scatenato dall’oppio, o certi aneddoti sulla giovinezza di Wordsworth che sfiorano il pettegolezzo. Le memorie di De Quincey offrono al lettore interessanti descrizioni e racconti della vita dei Laghi che intrappolano i due grandi poeti in una quotidianità molto lontana dall’usuale trascendenza romantica, albatros biografico che svolazza e sogghigna sopra i loro versi.

Pompeo Giannantonio, L’OSSERVATORIO ROMANO

Una raccolta di scritti di Thomas De Quincey

I poeti dei laghi

 

Nel cuore del Distretto dei Laghi sorge Dove Cottage, circondato da mitiche località di colline, laghi e valli, richi di fascino e privilegiati da un’esuberante natura. Quivi, all’inizio del secolo scorso, presero dimora i poeti Coleridge, Wordsworth e Southey con i quali s’incontrò Thomas De Quincey, tormentato e avventuroso scrittore inglese alla ricerca di una patria interiore “lontana nel cuore”. Con tali intenti De Quincey si procura incontri con Colerige, Wordsworth e Southey, “i poeti dei laghi”, perché dimoravano nel Distretto dei Laghi, di cui s’è detto. Thomas De Quincey (1785-1859) si formò una vasta ed eccentrica cultura, che profuse nelle opere maggiori e nei numerosi scritti dispersi in periodici londinesi e scozzesi. Gli articoli composti quando egli abitò a Grasmere, nel Distretto dei Laghi, furono raccolti per la prima volta sotto il titolo “Recolletions of The Lakes” and “The Lake Poets” e nella riedizione del 1862 presero il nome di “Recolllections of the Lake Poets”, da cui è derivato il titolo alla presente raccolta (“I poeti dei laghi”, Roma, Fazi Editore 1996). All’origine del volume c’è un gruppo di articoli scritti per ricordare Coleridge nel 1834, l’anno della sua morte. Questi visse nella “regione dei laghi; quel piccolo distretto montagnoso”, esaltato con l’entusiasmo della passione per il pittoresco da Gilpin il viaggiatore, e poi da Ann Radcliffe, quindi ammirato per altri motivi più letterari da William Wordsworth e da Coleridge. “Le Recollections” sono una piccola raccolta di ciò che la torrentizia penna di De Quincey riversò sulle riviste e ne costituisce la parte centrale e più interessante, che si riflette sulla biografia dell’autore, proteso alla ricerca di un mondo illusorio e inaccessibile. L’incontro precocissimo di De Quincey con la poesia di Wordsworth e di Coleridge segna il destino del nostro, che registra questo evento come la svolta della sua vita. Si attua per tale via la scoperta della nuova poesia inglese, di cui vuole conoscere tutti i segreti; scrive perciò a Wordsworth, e aveva appena diciotto anni, sollecitando un colloquio col più anziano letterato. Questi lo invita a Grasmere e per due volte il giovane intraprende il viaggio nelle vicinanze di Dove Cottage ma non osa affrontare Wordsworth e se ne torna a casa. Nel libro De Quincey documenta il suo entusiamo per l’opra di Wordsworth e il fervore con cui va alla ricerca nelle librerie e biblioteche degli scritti di Wordsworth e di Coleridge con il segreto disegno di emularli e di collocarsi un giorno fra di loro, immaginando di essere un “fantasma” nel Distretto dei Laghi, “come una seconda identità prouiettata dalla coscienza, che già vi risiedeva”. Il De Quincey traccia con mano sicura il profilo di Wordsworth, Coleridge e Southey citando aneddoti e accogliendo testimonianze, finalizzate alla chiarificazione di atteggiamenti e scelte di vita. Fu Wordsworths, che aveva un naturale legame con la regione per nascita, educazione e vincoli familiari, ad attrarre Coleridge nel Distretto dei Laghi; e Coleridge , dati i suoi rapporti con Southey, convinse quest’ultimo a far parte della “colonia dei laghi”. Da questa regione Coleridge si allontanò nel 1810 forse perché l’ubertoso paesaggio si era, col tempo, venuto confondendo con ricordi troppo dolorosi e con struggenti memorie personali, tanto che il presente entrava in collisione con il passato in modo duo e sconvolgente. Samuel Taylor Coleridge (1722-1834) ebbe un’intelligenza brillante, atta a penetrare in tutti i campi del sapere, teorico del romanticismo inglese anticipò una componente fondamentale della cultura vittoriana, esercitando grande influenza sulle generazioni successive. Appare inconfondibilmente dalle sue opere una fantasia eclettica, che abbraccia temi estetici o meditazioni metafisiche con grande competenza e opportune analisi. William Wordsworth (1770-1850) è l’altro poeta, presentato nel libro del De Quincey. Egli trascorse l’infanzia e l’adolescenza sempre a contatto della natura, che considerò amica e meravigliosa tanto segnare profondamente la sua storia intima e la sua poesia, vetta altissima della letteratura inglese. La natura, che il Distretto dei Laghi sintetizzava nel suo significato più autentico, era un anello di congiunzione tra lo spirito e l’universo; infatti “Wordsworth divenne un appassionato amante della natura, all’epoca in cui lo sviluppo delle sue capacità intellettuali rese possibile in lui combinare quelle passioni meditative con l’esperienza dei suoni e delle immagini”. In tal modo il paesaggio conquista l’intelligenza e il cuore dei poeti ed echeggia nelle loro liriche in tono ora grave ora gioioso, scandendo i ritmi biologici e meditativi. I luoghi e le persone, rievocati in anni di distanza, sono i protagonisti della vita e delle sue espressioni tormentate e fallimentari. Quindi le delusioni e le sconfitte esistenziali recano il marchio indelebile di una natura matrigna e insopprimibile. Nell’economia del racconto la voce di De Quincey è soffocata dall’elegiaco rimpianto per un mondo perduto, mentre la malinconia per i valori dispersi avvolge uomini e cose. Così il terzo poeta della letteraria colonia del Distretto Robert Southey (1774-1843) approda in quel lembo di terra felice dopo il fallimento del progetto di una comunità utopica (la Pantisocrazia) da fondare nel Nordamerica. Più che i giovanili poemi epici di soggetto esotico o romantico, che incontrarono i favori di W. Scott e G. Byron, alcune liriche di soggetto fantastico o familiare lo avvicinarono a Coleridge, con il quale ne compose anche alcune. L’unitario indirizzo poetico è l’elemento coagulante del discorso critico, ma anche il paesaggio del “Distretto” fa da cemento coesivo alle avventure e ai disegni dei protagonisti. I ricordi e gli episodi descrivono un itinerario singolare, in cui l’esercizio letterario costituisce la meta ultima del racconto e delle rievocazioni. La natura ubertosa e riposante suggerisce immagini, propone riflessioni, accende la fantasia contribuendo a creare un mondo di sogni e di elevazione spirituale. Nel paesaggio si specchia la coscienza lirica dei protagonisti e un’osmosi s’instaura tra uomini e cose in una perfetta armonia di sentimenti e di invenzioni tanto che la tragedia o la gioia si distribuisce equamente tra uomini e natura.

Masolino d’Amico, LA STAMPA

 

Eccentrici di mestiere

Scritti di Hazlitt e De Quincey

Benché non amici tra loro, e nemmeno proprio coetanei – i pochi anni che separano la loro nascita sono cruciali in quanto misero al riparo il secondo, venuto al mondo troppo tardi, da quella infatuazione per la Rivoluzione Francese e i suoi ideali che avrebbe infiammato in qualche modo tutta l’esistenza del primo – William Hazlitt (1778-1830) e Thomas De Quincey (1785-1859) ebbero molti tratti in comune, a partire dalla frequentazione reverente e in certi periodi adorante della coppia formata dai poeti Coleridge e Wordsworth: due genii che per quanto potessero rivelare debolezze umane a chi li scrutasse da vicino, apparivano come monumenti di determinazione artistica e intellettuale a loro, innamorati della letteratura ma indecisi sul come praticarla. Tanto Hazlitt che De Quincey diventarono infatti professionisti della penna difficili da definire con una formula sola, infaticabili poligrafgi su molti argomenti, specialisti di nessuno: critico soprattutto di teatro e di arte il primo, “causeur” tuttologo il secondo, furono entrambi esponenti della tendenza romantica a rapportare tutto a se stessi. Hazlitt scriveva di Shakespeare in base alle proprie emozioni (mi avvampano le guance, mi viene un nodo alla gola); e l’opera omnia di De Quincey costituisce in fondo una sterminata autobiografia, di cui il libro più famoso, le “Confessioni di un mangiatore d’oppio inglese”, non costituisce che un capitolo. Due volumetti Fazi, eleganti e ben curati (il primo da Fabio De Propris, l’altro da Carola Susani), consentono di ascoltare piacevolmente la voce di entrambi questi notevolissimi eccentrici. In uno, il malmostoso Hazlitt si esercita su alcuni tipici soggetti da “essay” britannico: Il pensiero e l’azione, Il fare testamento, L’effeminatezza del carattere. Sono pezzi che uscivano sulle riviste, e che vennero riuniti in una raccolta poi diventata celebre, “Table Talk”, da cui ora vengono estratti. I più gustosi sono probabilmente quelli intitolati rispettivamente “Sulle istituzioni” e “Sugli svantaggi della superiorità intellettuale”. Il primo svolge con logica ineccepibile l’apparente paradosso per cui mentre indivudulamente l’uomo é onesto, o perlomeno affidabile, non appena é al riparo di una istituzione, ossia fa parte di un corpo che lo ripara e che é in grado di esercitare potere (esercito, banca, università), commette senza rimorso le efferatezze peggiori. Il secondo espone con divertente sconsolatezza gli inconvenienti della “diversità” di chi fa di mestiere l’uomo di cultura, ossia lo specialista di qualcosa nella quale solo pochi possono giudicare dei suoi meriti, mentre la massa non può che disprezzarlo temerlo, o perlomeno diffidare di lui. I saggi di Hazlitt sono brevi e brillanti; gli scritti di De Quincey parallelamente proposti sono invece abbastanza verbosi, e contengono le reminiscenze dell’autore relative ai suoi incontri con i suoi numi Coleridge e Wordsworth, nonché col loro contemporaneo e in qualche modo rivale Robert Southey. Da ragazzo De Quincey si era recato in pellegrinaggio al cottage nella regione dei laghi dove Coleridge si era isolato, ma all’ultimo non aveva osato presentarsi. Tornò peraltro in seguito, e queste pagine contengono oltre a un diffuso ritratto dell’autore della “Ballata del vecchio marinaio”, arricchito da molti episodi su costui magari appresi di seconda mano e riferiti col beneficio del dubbio, la cronaca di molte passeggiate in quella regione anche dopo che Coleridge l’ebbe abbandonata, non di rado sotto la pioggia, conversando ora con Wordsworth e le sue intrepide donne. La descrizione di Coleridge fece scandalo quando uscì per la prima volta, tanto che in seguito De Quincey la attenuò (qui abbiamo la prima versione), per il catalogo delle debolezze del grand’uomo, schiavo del laudano, dipendenza di cui il più notorio drogato del suo tempo, per sua stessa ammissione, certo si intendeva; e appare riduttivo, perlomeno in superficie, anche lo schizzo dedicato a Wordsworth, sulle cui imperfezioni fisiche, spalle a fiasco e gambe “puntualmnete condannate da tutte le conoscitrici di gambe che io abbia mai sentito conferire sull’argomento”, De Quincey si sofferma. Ma il catalogo di queste debolezze fa parte dell’ammirazione con cui la generazione dei minori e dei nevrotici, di cui De Quincey fece parte, guardò a quei colossi; e in certi passi é irresistibile, per esempio nel confronto fra i due tipi di danno che entrambi quei lettori voraci di infliggere alla biblioteca di un amico che incautamente l’avesse messa a loro disposizione. Entrambi d’abitudine scrivevano sui libri altrui; ma mentre Coleridge li riempiva di osservazioni erudite e creative, Wordsworth vi annotava solo banalità, quando non li danneggiava anche in altro modo, come la volta che per impazienza si mise a tagliare le pagine di una edizione di Burke col coltello che aveva appena spalmato del burro.

Ronchey e Scaraffia, PANORAMA

Anime in viaggio

“I poeti dei laghi”

 

Nei primissimi anni dell’Ottocento, mentre Napoleone conquistava l’Europa, due folli poeti inglesi, samuel Taylor Coleridge e William Wordsworth, si erano chiamati fuori dalle preoccupazioni della società e vivevano in totale e brutale contatto con la natura, dentro piccole case di legno in uno straordinario paesaggio dell’Inghilterra pieno di laghi. Negli stessi anni, dal 1799 al 1807, un quindicenne inglese per natura altrettanto visionario, Thomas de Quincey, li leggeva e venerava con preveggenza, riconoscendo il loro nuovo genio della poesia inglese. A diciott’anni, studente di Oxford, si decise a inviare una lettera al Distretto dei Laghi e ad andare a vedere con i suoi occhi quella patria interiore, alla quale riteneva di appartenere “già risiedendovi come un fantasma”. Per due volte raggiunse a cavallo il Dove Cottage di Wordsworth e per due volte tornò indietro senza avere avuto il coraggio di presentarsi. Ebbe però un’emozione inconcepibile, una “ninfolessia”, nell’ammirare di nascosto il paesaggio di laghi, valli, montagne, i cui nomi avevano la stessa forza della toponomastica di John Milton e gli provocavano visioni sulle antichissime origini della poesia. L’adolescente si farà poi coraggio e incontrerà i poeti dei Laghi e anche Dorothy, la moglie di Wordsworth e amante di Coleridge. L’ammirazione adolescenziale si tramuterà in competizione, in polemica, fino a divenire rancore nei ritratti che al termine della vicenda metterà per iscritto: i ricordi dei laghi e dei loro poeti compongono un libro straordinario, ora per la prima volta, anche se non integralmente, tradotto in italiano. pur accogliendolo a vivere nella comunità, i Poeti dei Laghi non considereranno mai veramente lo studente di Oxford uno di loro. La natura stessa dei luoghi lo respingerà: non più in condizione di sostenere la bellezza, come Coleridge, si ritirerà in un territorio la cui contemplazione sarà del tutto sottomessa al dominio dell’io: quello dell’oppio.

Silvia Maglioni, L’INDICE DEI LIBRI DEL MESE
– 04/01/1996

 

Thomas De Quincey, I poeti dei Laghi, a cura di Carola Susani, Fazi, Roma 1995, pp. 318, Lit. 26.000

 

I ricordi letterari di Thomas De Quincey proposti in questa raccolta apparvero per la prima volta sul “Tait’s Edinburgh Magazine” tra il 1834 e il 1840 tratteggiando, per usare una sua espressione, una “narrazione vagabonda” che non si allontana mai però dal Distretto dei Laghi, patria onirica e letteraria, terra di “misteriosa pre-esistenza” ove De Quincey incontrerà gli idoli iniziatori della sua passione poetica. L’incontro con Wordsworth è raccontato con la dedizione del giovane proselito che vede per la prima volta, “come un lampo di luce”, il proprio maestro. Toni entusiastici accompagnano anche la narrazione dell’incontro con Coleridge, che dilaga come un grande fiume “in un tendersi ininterrotto di argomentare eloquente”. Tuttavia, nel tracciare la biografia dei poeti dei Laghi e della loro vita familiare, De Quincey non è sempre così generoso: adorazione e risentimento spesso si sovrappongono per descrivere un mondo rimastogli in fondo remoto e inaccessibile. In modo assai poco indulgente racconta le debolezze di Coleridge e il suo naufragio scatenato dall’oppio, o certi aneddoti sulla giovinezza di Wordsworth che sfiorano il pettegolezzo. Le memorie di De Quincey offrono al lettore interessanti descrizioni e racconti della vita dei Laghi che intrappolano i due grandi poeti in una quotidianità molto lontana dall’usuale trascendenza romantica, albatros biografico che svolazza e sogghigna sopra i loro versi.

IL FOGLIO
– 03/06/1996

 

I poeti dei laghi

 

Esiste sul Mare d’Irlanda, di fronte all’Isola dei gatti senza coda, all’Isola di Man, una penisola poco audace cui le carte geografiche attribuiscono il nome di Cumberland. Si tratta di un rilievo di origine vulcanica solcato da nove valli concentriche. Ciascuna di queste valli ospita uno o più laghi. Le circostanze geomorfiche hanno voluto che la penisola fosse più conosciuta come Lake District, il distretto dei laghi. Le circostanze storiche hanno voluto invece che la località, che non é tra le meno pittoresche né tra le meno piovose della Gran Bretagna, sia diventata un luogo della letteratura.Fra gli ultimi anni del ‘700 e i primi decenni dell’800, vi abitarono un gruppo di poeti che costituirono nelle loro diversità reciproche, una sorta di filone nell’ampia vena del romanticismo inglese: i poeti dei laghi. Samuel Taylor Coleridge, William Wordsworth e Robert Southey. Accanto a questi poeti visse per alcuni anni, con qualche risentimento, Thomas De Quincey. De Quincey é noto soprattutto per un suo titolo, “Confessioni di un mangiatore d’oppio”. Più per il titolo che per il libro, perché una certa prolissità e una inevitabile tendenza all’introspezione, che però alle astuzie future della psicoanalisi supplisce con le ingenuità frenologiche, rendono oggi la lettura faticosa. L’Ottocento, meno frettoloso, lesse con devozione e spavento, e imitò le vicende autobiografiche di una rovinosa discesa e di una faticosa risalta dall’inferno dell’oppio. Per non lasciarsi sedurre dal fascino dell’infrazione, bisogna ricordare che in quel tempo l’oppio si acquistava dallo speziale e veniva liberamente prescritto sotto forma di tintura, il laudano, per ogni minimo problema intestinale. Alle distruttive lusinghe del laudano restò avvinto anche uno dei poeti dei laghi, Coleridge, il cui “Kubla Khan” con le sue architetture fantastiche fu attribuito dall’autore stesso ai sogni “azzurri” dell’oppio. Ricerche più recenti, intese a dimostrare l’inefficacia delle droghe sulla creatività, hanno smontato il poema e rintracciato le diverse componenti in autori meno noti dell’epoca. L’operazione avrebbe deliziato De Quincey che, con la pretesa di difendere l’amico e protettore dall’accusa, non perde occasione nelle sue memorie di sottolineare la tendenza di Coleridge al furto. Persino la “Ballata del vecchio marinaio”, ci dice, non era del tutto farina del suo sacco, ma era stata ripresa dalle fantasie melaconiche di un certo Hutley, capitano in seconda, perseguitato dal rimorso di avere abbattuto un albatros. Coleridge rubava per vizio, senza averne bisogno. “Con le ricchezze dell’Eldorado, che gli giacevano da presso, avrebbe condisceso a rubare una manciata d’oro da chiunque possedesse un borsellino”. Tra descrizioni di gentilezze ricevute, di passeggiate a altezze iperboliche sule montagne del distretto che mai sognano di sfiorare i mille metri, De Quincey, che in fondo si sente escluso o deluso da una comunanza intellettuale da lungo desiderata, non risparmia a nessuno una buona parola, incapace, anche dopo anni, di dimenticare le particolarità sgradevoli dei suoi ospiti. In un atteggiamento ambiguo, sempre in bilico tra rispetto e dispetto, trova soprendente che Wordsworth non abbia che poche centinaia di libri sbrindellati e apra una copia intonsa delle opere di Edmund Burke con un coltello sporco di burro. Trova esibizionista che Coleridge annoti fitto i suoi volumi. Trova di gusto un po’ discutibile che Southey faccia rilegare e tratti i libri della sua biblioteca con lo stesso nitore un po’ femminile con cui si circonda di ninnoli. Trova da ridire su tutto, senza dimenticare di sperticarsi in lodi condizionate. Forse non aveva risolto lontani problemi di gioventù o forse, vivendo di collaborazioni giornalistiche, sapeva che quello era il mélange che piaceva ai lettori. Il mélange che ancora oggi attrae lettori lontani per gusto e problematiche verso le vicende dei poeti dei laghi.

I Poeti dei Laghi - RASSEGNA STAMPA

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