Alain-René Lesage
Il Diavolo zoppo
A cura di Idolina Landolfi
Il Diavolo zoppo di Lesage è un Cupido con le “gambe di capro, il viso allungato, il mento aguzzo, il colorito giallo e nero, il naso camuso”. Insomma un mostriciattolo che in una notte fa scoperchiare i tetti di una Parigi spagnoleggiante per mostrare a un giovane studente ciò che accade nel mondo. Con leggerezza e sottile ironia Alain-René Lesage tratteggia mirabili quadri dei vizi e delle vanità umane. “Così dicendo non fece altro che tendere il braccio destro, e immediatamente tutti i tetti scomparvero. Allora lo studente vide l’interno delle case come fosse mezzogiorno, allo stesso modo in cui col sollevare la crosta vediamo l’interno di un pasticcio”.
Due romanzi
LESAGE QUANTO E’ AFFABILE…
Nell’epoca del nascente romanzo, tra Sei e Settecento, gli esempi di quel genere destinato a tanta fortuna nel secolo successivo, si moltiplicano e danno già luogo al fenomeno del best-seller, il successo librario su larga scala. In Francia, la cui letteratura vanta nella priorità del “romanzo” meno titoli di quelli inglese, si assiste nondimeno a un clamoroso esempio di divulgazione di un’opera narrativa, a cavallo tra i due secoli. L’autore è Alain-René Lesage (1668 – 1747) e l’opera, anzi le due maggiori imprese romanzesche che vanno sotto il suo nome, accolte con straordinario consenso dai contemporanei, sono “Il diavolo zoppo e Gil Blas di Santillana (un capolavoro, quest’ultimo, e un caposaldo del romanzo).Diremo qualcosa della prima, nell’occasione di una nuova traduzione presso l’editore Fazi (“Il diavolo zoppo, pp 289, lire 28mila). La versione si deve a Idolina Landolfi, il cui nome suscita il ricordo dei memorabili esempi forniti dal padre Tommaso in questo settore. L’uno e l’altra appartengono a quella “famiglia” di traduttori che incarnano la lingua del testo originario, ne trasmettono le pulsazioni e ne riproducono il colore. E’un travestimento in qualche caso così perfetto che la distanza temporale e la differenza del lessico sembrano cancellate, dando l’impressione che la copia restituisca l’integrità del modello.Qual è la proprietà di un narratore non eccelso ma ben caratterizzato come Lesage? Qualcosa che non appartiene più al romanzo e che è appannaggio dei suoi primordi: la cordialità, l’affabilità del discorso. Diremo anche: il tempo e l’indulgenza concessi all’atto del narrare, le buone maniere del racconto, la pacata, sorridente civiltà dell’intrattenimento; l’aura della favola, infine, a metà tra il sopore e la veglia.Lesage narratore proviene dal teatro, dove diede abbondanti prove del suo primo talento. Sono un centinaio i suoi lavori per la scena, tra i quali uno solo è emerso durevolmente: “Turcaret” 1707),la commedia di costume che introduce nel teatro molieriano la satira sociale. E’, il suo, un tempo popolare, che rifugge i luoghi ufficiali e le cabale del mecenatismo di corte, per le piazze e le fiere parigine. Il gusto della rappresentazione diretta, i cui spunti è la strada ad offrire con lo spettacolo minuto e quotidiano della vita, dal teatro trapassa nelle narrazioni di Lesage, insieme alle reminiscenze spagnole del suo gran tradurre giovanile dai testi teatrali e picareschi di quella letteratura.Così, è “spagnolo” “Il diavolo zoppo” desunto e ricreato da quello di Luis Velez de Guevara. Lo spaesamento Reminiscenze spagnole del suo gran tradurre giovanile dai testi teatrali e picareschi di quella letteratura. Così, è “spagnolo” “Il diavolo zoppo”desunto e ricreato da quello di Luis Velez de Guevara. Lo spaesamento delle vicende a Madrid, dietro la quale si intravede chiaramente Parigi, favoriva l’apparente diversità, l’esotismo della nomenclatura e il falso bersaglio della satira (Montesquieu creerà il miraggio dell’orientalismo persian, per dei fini non diversi, ma molto più sostanziali). Lesage fu un sedentario, un padre di famiglia, un fantastico a tavolino. Il buon senso e la ragionevole moralità che lo distinguono, sono di tipo realistico e di provenienza piccolo-borghese (il padre era notaio e Alain-Renè non appartenne alla grande intellettualità, preilluminista, del secolo). La casistica del suo narrare è convenzionale; i tipi sono quelli della ritrattistica negativa di La Bruyère con accentuazioni, come è stato detto, da archivi della polizia; il riferimento psicologico è al luogo comune. Ma appartiene in proprio a Lesage la tempra schietta e bonaria del narratore socievole e discorsivo, osservatore instancabile dell’accidentale, arguto e compassionevole, disposto al sorriso e all’accomodamento della storia. Tutto ciò anima e illeggiadrisce le pagine del “Diavolo zoppo” (la cui seconda edizione ampliata, del 1726, ebbe un dilagante successo). Sui tetti, madrileni di nome e parigini di fatto, si incontrano lo studente Cleofas e il diavolo Asmodeo, claudicante, perbenista e sentenzioso. Il primo rende al secondo il servizio di trarlo da una fiala nella quale lo ha costretto l’arte di un mago. Libero e riconoscente, il demone offre alla vista del giovane la sua diabolica conoscenza del mondo, scoperchiandogli davanti case, tuguri, manicomi, palazzi e cimiteri, di cui illustrerà il contenuto, generalmente scandaloso e riprovevole, comico e tragico.E una successione quasi infinita di piccoli quadri, di scene occasionali, di anedotti minimi e di storie massime in cui agisce un’umanità astura e faccendiera, corrotta e traditrice, divisa tra la taverna e l’alcova, tra il crimine e il sollazzo. Il piacere della sequenza – che è perfino elencazione – dei casi, il piacere dell’esemplificazione incessante di situazioni e personaggi, domina la narrazione. Tutti i romanzi sono dentro al romanzo del Diavolo zoppo, tutti i volti della realtà urbana non passati in rassegna. E’ la proposta di una narrazione multiforme, caleidoscopica. Manca ancora, in Lesage, il romanzo “moderno”che, in Marivaux e Prèvost, sarà la scoperta del protagonista singolo, la centralità di una vita. C’è in Lesage, la gente, c’è il mondo e la strada; la novellistica racchiusa e accumulata nel romanzo; l’affollamente mulata nel romanzo; l’affollamento affabulatorio!…”Preoccupazioni, agitazioni, affanni che i poveri mortali si danno durante questa vita per colmare, il più piacevolmente possibile, il breve spazio che intercorre tra la nascita e la morte”.
Il Diavolo Zoppo
Zoppo il diavolo lo è diventato. Ha avuto la peggio in una disputa con un collega a proposito della vocazione di un giovane. Il vincitore Pillardoc, ha scaraventato giù dal cielo il povero Asmodeo come Giove aveva fatto con Vulcano. E, come Vulcano, Asmodeo è rimasto claudicante. Asmodeo non è un diavolo fortunato. Si è messo nei pasticci con un negromante a proposito di cariche accademiche e il negromante non solo è riuscito a fare passare il suo candidato ma lo ha imprigionato in una fiala. Qui lo trova don Cleofas studente che sta sfuggendo sui tetti a quattro spadaccini che vogliono fargli sposare una certa Tomasa presso la quale si è fatto trovare con le brache calate. Asmodeo è il diavolo che fa matrimoni ridicoli; unisce secchioni a minorenni, padroni con serve ragazze maldotate con teneri amanti privi di sostanze ; che ha introdotto nel mondo il lusso, il gioco d’azzardo e la chimica. Molti lo conoscono con il nome di Cupido ma in realtà pur potendo assumere l’aspetto che vuole è ben diviso dal giovanotto alato che ha conquistato Psiche. E’ un mostriciattolo alto due palmi vestito in modo stravagante. Così nel suo vero aspetto Asmodeo si presenta a don Cleofas. Gli ha promesso in cambio della liberazione di mostrargli il mondo come è. Comincia da se stesso. Per il resto è facile. Basta fare scomparire i tetti di Madrid e sorprendere la gente nell’intimità della casa quando ha deposto la maschera pubblica. Ecco donna Tomasa, per la quale lo studente ha rischiato il matrimonio. Sta cenando allegramente con i quattro spadaccini. Ecco un usuraio tanto insensibile quanto devoto. Ecco una bella donna che per coricarsi si toglie protesi di ogni sorta. Ecco… ecco uno scrittore che si industria a camuffare opere altrui per militare un ingegno non suo. Esattamente il contrario di Alain – Renè Lesage (1668-1747) che riconosce il suo debito verso “l’illustrissimo autore” Luis Velez de Guevara autore di un “Diablo cojuelo”, un diavolo zappetto. Senza volere investigare se qualche autore greco o latino possa rivendicare sul Velez la priorità dell’idea. Lesage ha in mente Apuleio e Luciano le “Metamorfosi” e l'”Asino”. Ha in mente i “Caratteri” di Teofrasto . Ha in mente l’appendice che Jean La Brusére ha raggiunto alla traduzione di Teofrasto. Lesage non condanna il rifacimento creativo, perché il rifacimento è la sua vocazione. Nel 1704 ha pubblicato le “Nuove avventure di Don Chisciotte della Mancia”, rifacimento di un rifacimento. Nel “Teatro Spagnolo” non si è peritato di rimaneggiare Lope de Vega, quando tra il 1717 e il 1735 uscirono i quattro libri della “Storia di Gil Blas di Santillana qualcuno volle cercare per forza un prototipo spagnolo. Che non esisteva. Lesage questa volta si era sbizzarrito aveva attinto al meglio della letteratura picaresca al meglio delle cronache del tempo per mettere in ridicolo i costumi della società francese del suo tempo. Da “Turcaret” (1709) invece, la commedia dell’ex cameriere diventato appaltatore delle imposte che si fa spennare rovinare dal suo stesso cameriere Frontino sarà Pierre-Augustin Caron de Beamarchais a mutuare il personaggio di Figaro che a sua volta… E’ il gioco della letteratura in cui la creatività non consisteva nella scoperta dell’insolito ma nella ricomposizione originale di elementi già noti. Ma se nella letteratura come nel romanzo picaresco gli uomini difficilmente sono riconoscenti dei benefici ottenuti lo stesso non vale per i diavoli. Per il diavolo zoppo almeno: che, come si ricorderà può prendere l’aspetto di don Cleofas salva da un incendio la dolce donna Serafina. Che, con cordiale riconoscenza ispira il nobile Don Pedro a dare in sposa la figlia a don Cleofas piccolo gentiluomo. Non è forse Asmodeo, il diavolo dei matrimoni stravaganti?
ALAIN – RENE’ LESAGE
Sui tetti di una Parigi prudentemente travestita da Madrid, un diavolo zoppo e uno studente osservano le vanità e le imposture della vita. “Il diavolo zoppo” di Alain – Renè Lesage è un libro che celebra una delle più grandi felicità dell’intelligenza: smascherare le convenzioni sociali, colpire a morte l’ipocrisia. Eppure è anche l’opera di un uomo che ci appare – pur autentico figlio del Settecento – permeato dall’amarezza di un completo disincanto. Il suo sguardo scoperchia i tetti della città e raggiunge i più segreti recessi del cuore umano, ma è pur sempre – mai dimenticarlo – lo sguardo di un diavolo. Un essere che, peraltro, spogliato di ogni luciferina grandezza, grottesco più che terribile, armato soltanto di una puntuale chiaroveggenza, assomiglia sempre di più a certi uomini comuni, quellia cui la natura ha fornito tutti i difetti dimenticandosi però di mettere in rilievo i pregi. Lesage denuncia con il libro, nella sua sorridente maniera, un rischio pericolosissimo: quel sogno di trasparenza che anima e agita la letteratura, non deve essere l’ulteriore, diabolico strumento dell’universale mistificazione. “Il diavolo zoppo” fornisce l’archetipo di una delle più costanti interrogazioni della narrativa moderna. E soprattutto ci fa sorridere ogni volta che i moralisti (o i bigotti) di turno ci parlano del cosiddetto “trionfo del bene” e dei soliti mezzi che occorrono per attuarlo. Storia vecchia. Che ogni generazione ascolta nella versione che gradisce.
– 08/10/1996
Dal Settecento francese il best seller di Alain – René Lesage
Il diavolo? E’ postmoderno
Dal Vecchio al Nuovo Mondo, sono così tante le rivoluzioni che si sono consumate nel corso del Settecento che qualcuna continua a passare inosservata. Per esempio quella che riguarda la rielaborazione in chiave “laica” – illuministica o semplicemente giocosa – di temi fino a quel momento caratteristici dell’immaginario cattolico. Un processo di secolarizzazione che tocca il suo apice in Inghilterra nella seconda metà del secolo, con la nascita del cosiddetto romanzo gotico, nel quale autori protestanti prendono a prestito dal cattolicesimo spunti suggestivi senza per questo sentirsi obbligati alla conversione.Già nei decenni precedenti, tuttavia, non é facile cogliere le avvisaglie di questo atteggiamento che verrebbe voglia di definire postmoderno ante litteram, considerato che utilizza materiali di varia provenienza ponendoli al di fuori del loro contesto originario. E’ il caso de “Il diavolo zoppo” di Alain- René Lesage, piccolo best seller del primo Settecento francese che l’editore romano Fazi manda in libreria nella nuova versione curata da Idolina Landolfi.Autore della fortunatissima “Storia di Gil Blas di Santillana”, Lesage (1668-1747) fu uno specialista nelle opere di ambientazione spagnola, al punto da firmare una continuazione delle avventure di don Chisciotte, rielaborando un libro attribuito ad Avellaneda. Anche “Il diavolo zoppo”, del resto, é un riadattamento dell’omonimo romanzo spagnolo di Luis Velez de Guevara, al quale Lesage indirizza la prefazione del libro. Dell’originale, “Il diavolo zoppo” francese conserva l’ambientazione in una Madrid nella quale non é difficile riconoscere una sorta di Parigi en travesti. Qui il giovane don Cleofas, reduce da una disavventura galante, finisce per trovare rifugio nel laboratorio di un alchimista, dove é imprigionato il diavolo Asmodeo, che presiede agli amori, meglio se illeciti. Il demone riesce a farsi liberare dal giovanotto, dandogli in premio una notte indimenticabile. Basta un gesto di Asmodeo e i tetti di Madrid si scoperchiano, lasciando vedere a don Cleofas il vero volto dei suoi concittadini: figlie che sghignazzano per la morte del padre, donne attempate che ricorrono a trucchi di ogni genere per abbellirisi, poetastri in mortale rivalità, amministratori che si arricchiscono alle spalle dei padroni…Asmodeo é, a suo modo, un diavolo moralista, che si compiace di mettere a nudo le debolezze umane. In un certo senso, é un precursore del Berliche di C.S. Lewis, ma con una differenza decisiva: se lo scrittore inglese si servirà della maschera infernale per un’opera apologetica, Lesage si accontenta di usare Asmodeo come un grande affabulatore. Tale almeno appare a don Cleofas, che si lascia condurre nel luoghi più tristi di Madrid (le carceri, il manicomio, il convento della Mercede, dove vengono riscattati gli schiavi) perché sa di ricavarne comunque qualche storia affascinante. Il paradosso, semmai, é che in più di un caso i racconti di Asmodeo finiscono con l’esaltare quei nobili sentimenti di cui il diavoletto zoppo dovrebbe essere irriducibile nemico. Anche il finale del libro, del resto, conserva questa tonalità dolceamara, con don Cleofas che riesce a impalmare la figlia di un nobiluomo che lo stesso Asmodeo ha salvato per suo conto dalle fiamme di un incendio. Certo, la Spagna di Lesage é ben diversa da quella, altrettanto posticcia, descritta da Jan Potocki nel “Manoscritto trovato a Saragozza”, capolavoro del fantastico settecentesco con più di una parentela con le inquietudini del romanzo gotico. Ma a ben vedere, forse, l’accostamento più significativo è quello tra “Il diavolo zoppo” e “La vita istruzioni per l’uso” di Georges Perec (1978). Anche in quel caso, infatti, la trama del libro era costruita dall’intrecciarsi di storie nelle diverse stanze di una casa, come se tetti e muri fossero diventati trasparenti. Un’altra conferma, forse, della “postmodernità” del Settecento.
Lesage, Il diavolo zoppo
Come mai gli autori che scrivono per il cosiddetto grande pubblico oggi fanno libri commerciali, mentre spesso, nel Seicento inglese e francese, capolavori? Forse dipende anche dal pubblico. Si indulge al pittoresco descrivendo quello che affollava il Teatro Globe alle prime di Shakespeare, ma si dimentica che i più erano esercitati dalla pratica della retorica e dei classici da apprezzare acrobazie metaforiche e vertigini lessicali. Non so quanti saranno in grado neanche di percepirle tra gli spettatori che affolleranno il resuscitato Globe, esercitati dalla pratica della tv. Lesage viene accusato, tra i primi in Francia, di scrivere romanzi per il grande pubblico, facendo del suo ingegno “un regolare mezzo di sussistenza”. “La storia di Gil Blas” di Santillana ebbe nel Settecento 75 edizioni e “Il diavolo zoppo” una quarantina. Ma era evidentemente un pubblico in grado di apprezzare, insieme con gli ingredienti avventurosi del romanzo picaresco, l’ironia sorniona e fulminea del suo autore, il riso beffardo sotto le cappe spagnole, la satira tagliente come le lame dei suoi duelli. In questo “Diavolo zoppo” del 1726, curato con finezza da Idolina Landolfi, il diavolo Asmodeo scoperchia una notte per uno studente tutti i tetti di Madrid e realizza il sogno dei narratori: vedere quello che gli uomini fanno nel segreto delle loro case, nelle prigioni, nei manicomi, nelle corti, conoscere le loro storie e le loro emozioni. Costumi, caratteri, destini vengono raccontati con la felicità visionaria dei maestri e l’asciuttezza epigrammatica dei moralisti classici. Grande Lesage, che secondo Gustave Lanson “non aveva ambizioni”. Forse gli bastava incantare il pubblico del suo secolo. E dei successivi.