Stefano Pistolini

Le provenienze dell’amore

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Vita, morte e postmortem di Nick Drake, misconosciuto cantautore inglese, molto sexy

Collana:
Numero collana:
18
Pagine:
204
Codice ISBN:
9788881120833
Prezzo cartaceo:
€ 11,00
Data pubblicazione:
01-02-2005

Inghilterra, primi anni Settanta: Beatles e Rolling Stones hanno aperto un varco alla nuova cultura giovanile dentro al rigido establishment britannico. Ma si tratta di un fenomeno non solo inglese: è una generazione che sta prendendo possesso di sé, del proprio posto nel mondo. Ci sono poi storie laterali, dove l’intimismo e la poesia diventano un tutt’uno con la musica e il terrore, o la gioia, di diventare “adulti”; ci sono personaggi come Nick Drake, tra tutti forse il più maledetto e delicato. Drake muore (suicida?) il 25 novembre 1974, a 26 anni, dopo avere pubblicato tre dischi, uno più straordinario dell’altro, nella più totale indifferenza. Ora, a quasi 25 anni di distanza, Nick Drake è considerato un mito: Le provenienze dell’amore ne racconta la storia e l’arte e rappresenta anche un’amara riflessione sulla fine dei sogni della generazione dei quarantenni di oggi.

LE PROVENIENZE DELL’AMORE – RECENSIONI

 

Alessandro Mezzena Lona , IL PICCOLO
– 10/02/1998

Libri tra le note “Le provenienze dell’amore”: una biografia narrativa scritta da Stefano Pistolini

Nick Drake, fuga dallo star-system

Vita, dischi, disperazione e morte di un cantautore inglese “di culto”

Chissà se, adesso, Nick Drake ha imparato a riderci sopra. Se lassù tra le stelle, dove galleggia libero il suo spirito, qualcuno lo ha avvertito che le più grandi rockstar degli anni Novanta lo venerano come un musicista di culto. Proprio lui che, nella notte tra il 24 e il 25 novembre del 1974, morì nel sonno dopo aver ingoiato un numero spropositato di pastiglie di Tryptizol. Perché la vita lo aveva deluso, perché i suoi dischi non se li era filati nessuno. Perché accettare che il mondo ti volti le spalle, a 26 anni, è praticamente impossibile. I poeti non sono fatti per vivere la realtà. Troppo squallida, deludente. E Nick, il ragazzo che scrisse alcune delle canzoni più intense, profonde, strazianti degli anni Settanta, fece in fretta a capire che nella “swingin’ London” non c’era posto per lui. Che lo star-system non avrebbe mai accolto a braccia aperte uno che trascorreva le sue giornate a nascondersi. Come racconta Stefano Pistolini nella sua bellissima biografia narrativa “Le provenienze dell’amore. Vita, morte e postmortem di Nick Drake misconosciuto cantautore inglese, molto sexy” pubblicata da Fazi (pagg. 203, lire 22 mila). Pensate la beffa. Nel 1995, ventun anni dopo la morte di Nick, una canzone di Drake, l’ipnotica “Know”, tratta del suo terzo e ultimo album “Pink Moon”, una sorta di straziante testamento in musica, diventa la colonna sonora dello spot pubblicitario della Nike. E autentiche icone del rock anni Novanta come Kurt Cobain dei Nirvana, poi morto suicida, e il rampantissimo Michael Stripe dei Rem considerano il cantautore inglese come uno dei loro spiriti guida. Come una sorta di profetico fratello maggiore perduto nel tempo. Per non dire Elton John, Robert Smith dei Cure, Paul Weller, Ian Curtis dei Joy Division, Tom Verlaine: tutti fan tardivi del “poor boy”. Peccato che tutto ciò sia successo a tempo scaduto. Perché la vita di Drake è stata un calvario. Figlio di una famiglia della piccola borghesia britannica, fratello di quella Gabrielle diventata, in seguito, una stella della tivù, Nick mise per la prima volta il naso alla finestra del mondo musicale nel settembre del 1969. Con un disco, “Five Leaves Left”, che ancora oggi conserva un fascino fortissimo. Denso di ballate per chitarra e voce, come “Way to Blue”, “The Thoughts of Mary Jane”, “Cello Song”, accompagnate dagli arrangiamenti per archi di quel geniaccio di Robert Kirby. E prodotte da Joe Boyd che, nel tempo, è diventato un vero boss negli States. Tanto che i Rem lo hanno chiamato per “Fables of the reconstruction”, l’album della definitiva consacrazione. Ma né il primo disco, né gli altri due, “Bryter Layter”, con le emozionanti “Hazey Jane I”, “Fly”, “Northern Sky”, in cui John Cale suona il piano, l’organo, e “Pink Moon”, ricco di penombra e disperazione, illuminato da sfolgoranti pietre preziose come “From the Morning”, “Place to Be”, “Know”, “Parasite”; riuscirono a spianare la strada di Nick verso il successo. Bello con un Jim Morrison non devastato da droga e alcol, maledettamente chiuso nel suo mondo di sogni e illusioni, incapace di esternare i suoi sentimenti, perso al confine tra la solitudine e il desiderio di farsi scrutare in fondo all’anima da qualcuno, Drake ha percorso la strada inversa ai suoi amici Fairport Convention, John Martyn, Sandy Danny. Lasciando che la sua fragilità sbattesse la porta in faccia a un mondo dove, per ottenere quello che desidera, devi venderti. Pezzo per pezzo. Non si può essere artisti e ragionieri del proprio successo. Alle interviste, Nick preferiva i lunghi vagabondaggi nella campagna. Ai concerti promozionali, il silenzio della sua camera. Infranto solo dalle note della chitarra. Adesso, quel mondo di luci e ipocrisie che è lo star-system sa che cos’ha perso lasciando scivolare Nick Drake verso le tenebre della disperazione. Della solitudine. E lo santifica, per lavarsi la coscienza.

 

ROMA C’È
– 10/01/1998

 

Drake: i segreti di un cantautore maledetto

 

Esistono libri brutti, mediocri, belli. E poi ci sono i libri importanti. ‘Le provenienze dell’Amore’, di Stefano Pistolini (uno dei maggiori studiosi italiani di culture giovanili) appartiene a quest’ultima, sguarnita categoria, ed unisce alla piacevolezza di uno stile sicuro e vibrante il merito di rendere omaggio alla figura, ancora poco conosciuta in Italia, del geniale cantautore inglese Nick Drake? E perché attorno ad un personaggio tanto schivo, rimasto sostanzialmente estraneo al grande panorama musicale della fine degli anni Sessanta, si è creato un culto sempre crescente? Stefano Pistolini cerca di rispondere a quelle domande, affiancando ad una rigorosa ricostruzione biografica, fondata sulle testimonianze di familiari, amici e collaboratori del musicista, una appassionante e appassionata rielaborazione personale dei dati in suo possesso. Non a caso, il libro si apre con l’incontro, sullo sfondo di una Milano agitata dalle inquietudini dei primi anni Sessanta, fra pistolini studente liceale e la musica di Nick. L’ascolto dei tre straordinari dischi (‘Five Leaves Left, Bryter Layter e Pink Moon’, poi raccolti nel cofanetto ‘Fruit Tree’ – ‘The Complete Recorder Works’) che Drake realizzò nell’arco della sua breve e sfortunata parabola professionale si intreccia con la formazione intellettuale e sentimentale di Pistolini, e l’approfondimento della poetica del cantautore inglese si fa pretesto per una digressione più ampia sui riferimenti culturali di un’intera generazione.

 

GAZZETTA DEL SUD
– 10/01/1998

 

Vita e morte di un cantautore inglese

 

Di Stefano Pistolini, Fazi Editore manda in libreria l’affascinante e coinvolgente “Le provenienze dell’amore” (pp. 200, L: 22.000), il cui lungo sottotitolo recita testualmente: “Vita, morte e post mortem di Nick Drake, misconosciuto cantautore inglese, molto sexy”. Il regno de “Le provenienze dell’amore” è l’Inghilterra dei primi anni Settanta: Beatles e Rolling Stones hanno aperto un varco alla nuova cultura giovanile dentro il rigido establishment britannico. Ma si tratta di un fenomeno non solo inglese: è una generazione che sta prendendo possesso di sé, del proprio posto nel mondo. Ci sono poi storie laterali, dove l’intimismo e la poesia diventano un tutt’uno con la musica e il terrore, o la gioia di diventare “adulti”; ci sono personaggi come Nick Drake, tra tutti forse il più maledetto e delicato, il più indifeso di fronte alle regole dello show business. Nick Drake muore (suicida?) il 25 novembre 1974, a 26 anni, dopo avere pubblicato tre soli dischi, uno più straordinario dell’altro, dopo che la sua arte è passata in una indifferenza crudele cui il suo cuore non ha retto. A quasi venticinque anni di distanza, Nick è considerato un mito, è l’artista preferito di star come Kurt Cobain, il cantante dei Nirvana, anche lui suicida, di Michael Stipe dei Rem, su internet gli dedicano centinaia di siti, i suoi dischi magicamente sembrano non invecchiare. C’è poi un altra storia e parte anch’essa dagli anni Settanta, ma dall’Italia, Milano: è la storia di chi scrive, dell’incontro con la musica di Nick Drake, dei primi amori di adolescente e, ancora, della scoperta di sé. “Le provenienze dell’amore”, è il racconto travolgente di tutto questo, ma è anche un’amara riflessione sulla fine dei sogni, su quella generazione dei quarantenni, che oggi è al vertice della vita politica e culturale in Italia come in Inghilterra. Stefano Pistolini, giorni, lista e scrittore, è tra i maggiori studiosi italiani di culture giovanili. Per Feltrinelli ha pubblicato “sprecati”.

 

Giovanna Zucconi, MARIE CLAIRE
– 10/01/1998

 

“Le provenienze dell’amore” di Stefano Pistolini

 

Ovvero, come dice il sottotitolo, “Vita, morte e postmortem di Nick Drake, misconosciuto cantautore inglese, molto sexy”. E oggi molto di culto. Ma nel ’74 , quando muore a 24 anni con tre straordinari dischi all’attivo, se ne accorgono in pochi. Eppure, sostiene l’autore, era uno dei più geniali, il più maledetto e delicato. Un cuore-bambino che non ha retto ai terrori e alle regole dell’età adulta. Ma che con la sua musica ci aiuta a diventar grandi.

 

Federico Guglielmi, IL MUCCHIO SELVAGGIO
– 10/01/1998

 

Le provenienze dell’amore

 

Desta curiosità e meraviglia che, a più di vent’anni dalla sua morte, Nick Drake continui ad essere protagonista di articoli, di copertine di riviste e tributi di vario genere. E di libri come questa singolare e toccante biografia di Stefano Pistolini, esperto e appassionato osservatore di questioni musicali e culturali, che ad un ampio riassunto delle vicende umane ed artistiche – allestito sulla base di pubblicazioni pre-esistenti, ma non per questo meno efficace – accompagna spaccati di vita vissuta dell’autore in un felice incontro di rigore storico e ricordi personali opportunamente romanzati. Si legge con grande piacere, Le provenienze dell’amore. Non solo per la scorrevolezza di una prosa brillantemente asciutta, ma anche e soprattutto per le sua capacità evocative: capacità che saranno apprezzate in ogni sfumatura da chi conosce (e quindi ama) il visionario menestrello di Five Leaves Left, Bryter Layter, Pink Moon e del postumo Time Of No Reply, e che inevitabilmente spingeranno chi non ha mai avuto occasione di sentirlo all’ascolto delle sue purtroppo poco numerose creazioni, e quindi di approfondire la materia con l’ausilio dell’utile guida che fa da appendice all’opera. Insomma, un corposo e intrigante promemoria, o una preziosa chiave d’accesso al mondo – apparentemente bianco/nero ma in realtà policromo – di questo “misterioso cantautore inglese, misconosciuto e morto prematuramente. Un giovane eccezionale, avvolto da un’aura di dorata malinconia. Autore di musiche senza tempo, splendide, geniali e commoventi. E, tra le altre cose, molto molto sexy.” Comunque, da non perdere.

 

Riccardo Bertoncelli, LA STAMPA
– 10/01/1998

 

Drake, fiamme rock dall’oscurità

 

Sommersi come siamo da musiche e personaggi in rapido volo, tendiamo a dimenticare. Tempo pochi anni, anche pochi mesi, non ricordiamo più certe scintille che ci avevano scosso, nomi che per un attimo erano sembrati perfettamente «attuali». Però succede una cosa strana. Mentre questi strani idoli da classifica tramontano, ci sono artisti marginali, dai sotterranei che riescono a tener desta la loro fiammella. Nessuna radio o tv li promuove, solo il tam tam degli appassionati: un telegrafo senza fili capace di attraversare anni e generazioni. È accaduto così per Nick Drake, sta ancora accadendo, nonostante quell’introverso cantautore britannico abbia inciso in vita sua non più di una trentina di canzoni e sia morto ormai da 24 anni. Un tenero culto lo avvolge da sempre e si è orami esteso a chi non era neanche nato ai giorni dei suoi tre, misconosciutissimi, album: e tocca Paesi come il nostro dove all’epoca della sua specie di «carriera», fra il 1969 e il 1972, Drake vendette poche migliaia di copie. Così non stupisce che ora escano in contemporanea un libro e un disco che lo riguardano, molto diversi fra loro ma tesi entrambi a confermare una piccola verità: anche da un piccolo guscio di provincia, anche con piccole ballate malinconiche, a voce bassa, si può parlare chiaro e forte per la storia. Il libro l’ha scritto Stefano Pistolini per Fazi editore e si chiama Le provenienze dell’amore. Non è una biografia in senso stretto, chi volesse quella sa di poter contare da anni sull’opera fondamentale di Patrick Humphries. È un curioso, interessante montaggio fra storia personale dell’autore e vita e morte del suo eroe, fra la grigia Milano dei primi anni di piombo, la spumeggiante Londra dell’epoca glam e Tanworth-In-Arden, il greve villaggio un po’ teutonico dove Drake crebbe, morì e che per molti versi ne plasmo la sensibilità. Gli spunti più belli il libro li offre proprio quando il montaggio si fa serrato, quando si esce dalla pista del racconto cronologico e si va alla ricerca di impressioni, di ricordi, di spettri. Lì Pistolini mantiene la sua promessa di non avere scritto una biografia canonica, quanto una storia «ricostruita rispettando la verità, ma dando credito anche alla memoria, attribuendo valore al galleggiamento, alla decomposizione delle emozioni». Un modo, fra l’altro, di fare piccola letteratura confermando l’importanza della musica per i giovani scrittori. È da anni che il rock marchia con i suoi timbri le pagine di molte storie dei nuovi libri e non è un caso che Enrico Brizzi abbai rubato a un album dei cure il titolo del suo ultimo romanzo. Qui si procede «dall’altra parte»: una storia di musica eccede il suo limite, invade lo spazio della vita personale, si fa ricordo, fantasia, anche allucinazione. L’autore arriva a immaginare che Drake non morì effettivamente per un’overdose di antidepressivi, che probabilmente fu suicidio, ma allestì una macabra messinscena per ritrovare la sua libertà e sparire di circolazione, osservando da quel paradossale «dopo» la rivalutazione della sua opera tanto trascurata in vita. Purtroppo non è una gran trovata e nemmeno tanto originale, rubata com’è alla celebre biografia fiction di Jim Morrison di Hopkins e Sugerman. Di tutto c’è bisogno fuorché di altri revenants di quel genere e guai se qualcuno trasformasse questa fantasticheria in una leggenda metropolitana, come appunto nel caso del signor Doors. Il disco su Drake è più convenzionale: un tributo di giovane band italiane voluto da Baracca & Burattini, sull’arco non di tutta la produzione ma del primo album, che da Five Leaves Left diventa Five Leaves Theft. Un’opera ineguale, come spesso accade in questi casi, con passione, ingenuità, forzature, che i fans della prima ora guarderanno forse storto perché va a toccare un luogo sacro della mitologia drakiana e perché veste con tinte accese, anche forti, quelle che in origine erano fragili miniature con colori d’acqua. Ma il punto non è questo. Il punto è ancora una volta la forza di convincimento di un lontano eroe romantico, capace di fiammeggiare nell’oscurità dove ha sempre abitato; e la voglia di indipendenza dei giovani musicisti, che per i loro viaggi sonori non prendono più le highways arcifamose della leggenda rock ma vie laterali, sentieri poco battuti, strade buie come questa, che porta in un remoto luogo dello Stratfordshire e a una strana storia di tanto tempo fa.

 

Alba Solaro, L’UNITÀ
– 10/12/1998

Una biografia insolita racconta la tragica storia di Nick Drake, “misconosciuto cantautore inglese” poi diventato artista di culto. Dalla Milano degli anni ’70, cercando un irraggiungibile musicista, tormentato dalla follia e scomparso giovanissimo

Vita e morte di un eroe romantico distrutto dalla swingin’ London

 

Raramente le biografie dei musicisti rock sono interessanti. Spesso raccontano cose già note. Nel migliore dei casi sono degli ottimi lavori di giornalismo. «Le provenienze dell’amore», il libro che Stefano Pistolini ha dedicato alla vita, la morte, «e il post-mortem» di Nick Drake, «misconosciuto cantautore inglese molto sexy» dei primi anni Settanta, morto giovanissimo e diventato un «artista di culto» solo dopo la sua scomparsa può sembrare una biografia rock, e in parte lo è. Ma è anche molto altro. È un racconto in cui l’indagine giornalistica sfuma nei ricordi personali dell’autore, il biografismo nell’autobiografismo, il viaggio nella memoria nell’analisi dei culti giovanili; pagina dopo pagina ci si inoltra nel mondo chiuso ed enigmatico del giovane Drake, si segue la sua lenta discesa in quella landa desolata che è la follia, illuminata solo dalle canzoni («la sua musica sgorga dalla depressione», scrive l’autore), e alla fine un po’ quel suo insondabile disagio ci resta attaccato sulla pelle. La scelta fatta da Pistolini di raccontare proprio Drake è emblematica, perché è il personaggio stesso che ci porta lontano dalla retorica della biografia rock. Lui non era davvero l’artista maledetto, sopra le righe, votato a una spettacolare autocombustione come Jim Morrison dei Doors, Jimi Hendrix, o Sid Vicious dei Sex Pistols, tutti morti di overdose d’eroina al culmine di esistenze segante dall’eccesso e dal successo. Nick Drake è morto di overdose, ma delle pasticche con cui stava curando la sua depressione, una notte del 1974, nel letto della sua stanza da bambino, nella vecchia casa grande dei genitori, mentre sul piatto stava girando il disco dei «Concerti Brandeburghesi» di Bach , il suo preferito. Aveva solo ventisei anni e tre album alale spalle, uno più bello dell’altro, ma che non gli avevano dato quella popolarità che lui, pur schivo e solitario, inseguiva e desiderava. In realtà, ci spiega Pistolini, Drake incarna il prototipo dell’eroe romantico: bello, timido e gentile come un poeta pre-raffaellita (ma il suo visionario preferito è William Blake), chiuso in sé, irraggiungibile, destinato a morire giovane, e dotato di quella speciale capacità di dar voce alle inquietudine che migliaia di ragazzi hanno provato senza saper esprimere. Per farci entrare nel mondo di Drake l’autore ci guida priam nel suo, nei ricordi della sua personale adolescenza, ed è questo uno dei momenti più felici del libro. Lo «scenario della scoperta» è una Milano di fine anni Sessanta, grigia, «scura e rombante», che fa da fondale alle «disavventure» tragicomiche come un fumetto di Pazienza, di un Pisolini liceale, intabarrato nell’eskimo, alle prese con una cotta per una compagna di classe. Dall’invito insperato una sera a casa di lei, all’ascolto e la scoperta folgorante dei dischi di Nick Drake («bastano un paio di pezzi per farmi innamorare per il resto della vita»), ed ecco che il salto temporale è compiuto. Siamo sospinti anche noi in quegli anni e scivoliamo senza stacchi dalla Milano «dura e difficile» (dove però «la musica di Drake ci sta benissimo, sembra fatta apposta, scivola giù tra le righe dei grupi studenteschi che guardano oltre i confini della città, che progettano la lontananza e il distacco, che hanno letto Burroughs e Jerry Rubin…») a una rutilante swingin’ Londra, fra Beatles e Rolling Stones, minigonne e droghe psichedeliche. Drake sembra capitato per caso in quest’epoca. Più che alla mondanità della metropoli, egli appartiene alla quiete della campagna, alala sua bucolica cittadina, Tanworh-in-Arden,due ore di macchina da Londra, «un buen retiro per pensionati facoltosi». È qui che lo vediamo crescere, un’infanzia felice, con i genitori Molly e Rodney, che incoraggeranno la sua precoce passione per la musica e dopo la sua morte diventeranno i custodi della sua memoria, con la sorella Gabrielle, oggi popolare volto della tv britannica. Pistolini racconta con affetto il passaggio di Nick al liceo, i suoi primi concerti da studente, accompagnato dalla chitarra acustica e da qualche violinista, l’incontro fondamentale con il geniale produttore Joe Boyd, scopritore dei Fairport Convention, che crederà subito nel suo talento e diventerà una sorta di secondo padre, poi l’amicizia del cantautore John Martyn e la moglie Beverly, l’incontro con Francose Hardy, gli sprazzi felici di vacanza in Francia e in Marocco, ma anche l’incapacità di liberarsi del suo disagio, la decisione di smettere di fare concerti, ala elusione per la fredda accoglienza che il pubblico riserva alle splendide ballate tra folk e jazz dei suoi dischi («Five leaves left», «Bryter layter» e l’ultimo, il minimale e cupissimo «Pink Moon»), l’aggravarsi della sua depressione in veri e propri stati catatonici, il ritorno alla casa paterna, la morte forse incidentale, forse un suicidio, e infine la nascita del suo culto, e la sua riscoperta da parte della giovani generazioni pop. Forse non è un caso che proprio in questi giorni esca in Italai anche un omaggio discografico realizzato da gruppi rock come Yo Yo mundi, Virginiana Miller, Sonica, che hanno reinciso le canzoni del suo secondo album ribattezzandolo «Five leaves theft». Pistolini chiude il suo libro giocando con una vecchia fantasia rock: e se Drake non fosse morto? Se avesse inscenato il suo suicidio per rifarsi una vita da qualche altra parte? È solo un gioco, ma è bello congedarsi da quel giovane affascinante e «avvolto da un’aura di dorata malinconia», lasciandolo sulla banchina di Marsiglia in attesa di un traghetto per il Marocco, lontano dalle sue canzoni e dalla sua tristezza.

 

Filippo La Porta, MUSICA DI REPUBBLICA
– 10/01/1998

 

Il pessimismo cosmico lo avvicina a Leopardi

 

Dove lo troviamo in 30 anni di musica pop un artista capace di coniugare le ballate di Dylan e l’allegorismo visionario di William Blake, il double-picking chitarristico dei Brandeburghesi, il white-blues di Spencer Davis e il mito di Sisifo di Camus? Il libro di Stefano Pistolini (Le provenienze dell’amore – vita morte e postmortem di Nick Drake. Fazi Editore, L. 22.000) può essere letto come autoritratto generazionale, come immagine vivida di un periodo particolarmente creativo per il rock e infine come costruzione di un personaggio fascinoso e inquietante (di cui si narra perfino la ipotetica messa in scena della propria morte). Nick Drake nasce in Birmania nel 1948 da ingegnere giramondo e da un’appassionata di teatro e di music, poi si trasferisce in un inglesissimo villaggio nei pressi di Birmingham dove rivela un precoce talento musicale; studia nelle migliori scuole del Regno Unito, fino ad entrare a Cambridge; ha una belezza angelica, una struttura possente, un’andatura dinoccolata. È colto e predestinato all’eccellenza, ma anche disadattato (muore suicida a 26 anni). Il giovane Nick appare fin dall’inizio dotato di una sensibilità dolente e fragilissima: consapevole ella sua vocazione artistica ma anche dell’infermità della sua condizione umana. Insomma: quasi impossibile non identificarsi. La sua infatti non è una storia dark di eccessi autodistruttivi e abusi di alcol, ma l’esistenza di un adolescente in cui convivono “normalmente” ansia di assoluto e salute fisica, eccentricità e iscrizione agli studi, desiderio di fuga e voglia di successo. Il fatto è che fin da piccolo, ci avverte Pistolini, quel bambino intelligente e immerso nella natura dimostra «una propensione verso la dimensione dolorosa della vita». Strano. Non sarà che la placida sonnolenta Tanworth-in-Arden si trovi dalle parti di Recanati? Un parallelo suggerito forse dall’anniversario della nascita di Leopardi, altro adolescente ombroso di provincia per lo più incompreso dai suoi contemporanei (e capace di trasformare la malinconia più luttuosa in bellezza del canto), ma quando si legge della presa di coscienza «della propria destinazione al cosmico annullamento», si sente qualcosa di familiare. Quando Pistolini racconta della sua adolescenza fine anni Sessanta in una Milano «scura e rombante» dove era complicato essere ragazzi, tra i beat, un improbabile kamasutra e la swinging Londra, e dove si era comunque predisposti a un «esodo mentale», c’è il rischio di un eccesso di sentimentalismo e di rugiadosa effusività. Forse, a pensarci bene, è mancata in Italia quella durezza e quella estrema, inconsolata solitudine: anche negli anni successivi al ’68 non si stava mai soli con se stessi. E così ciò che in Nick Drake era esistenza (dolorosamente) vissuta diventa, da noi, soltanto letteratura. Ripercorrendo la biografia di Nick si ha davvero la sensazione della fine di un’epoca. Può darsi che abbia ispirato Elton John e Kurt Cobain, ma dov’è finita la candida utopia fatta di naturale ritrosia ad ogni autopromozione e di malinconia così poco spettacolare

 

John Vignola, ROCKERILLA
– 10/01/1998

Stefano Pistolini

“Le provenienze dell’amore”

 

Ovvero come dice il sottotitolo, “vita, morte e postmortem di Nick Drake”, un volume tutt’altro che sommario che è anzitutto un profondo atto d’amore. L’incipit è autobiografico, primi ani ’70, l’autore immerso in un’adolescenza di musicofilo incallito, la scoperta sbalorditiva dei dischi di Drake, unita al primo vero amore della vita, nella descrizione di una Londra aperta e comunicativa che non c’è più. Parentesi. Succede così anche a noi che abbiamo la sfortuna di appartenere a una generazione quasi vaccinata contro le emozioni, si stringa il cuore a leggere le descrizioni di un piccolo mondo antico, che avremmo volentieri conosciuto al posto dell’attuale. Chiusa. La passione per il cantante di Tamworth-in-Arden fa quindi da giustificazione per fede a tutto il resto del libro, una rivisitazione della sua vita e del suo progressivo allontanamento da qualsiasi possibilità di continuare davvero a coltivarla. L’incedere di Pistolini è in effetti sapiente e equilibrato: mette a fuoco – anche attraverso le dichiarazioni di alcuni dei co-protagonisti (il mitico Joe Boyd, John Martin, suo grande amico, i genitori, la sorella…) – il tortuoso incedere di Nick nel vicolo cieco della propria esistenza (o della propria mente) e si sofferma con misura sulla sua arte. Riesce, insomma, a comunicare il valore di un’esperienza sicuramente lontana da ogni forma di impegno o comunicativa sociale, ma con tanti riflessi di attualità emotiva, che ne alimentano la vividità. Nessuna immagine in movimento; pochi eventi dettagliati ci restano del cantautore: da questi nasce il soppalco da cui guardare la capitolazione annunciata di un artista tanto grande quanto poco incline al rapporto con gli altri, figuriamoci a costruirsi una carriera nell’aggressivo mondo della popular music inglese. La sua morte è tutto il contrario di quelle eccessive dei grandi martiri del rock: si consuma per sottrazione progressiva come quella di un pesce lontano dall’acqua. Scritto da uno con lo status di ‘critico-rock laureato’ (e che quindi poteva fare molto peggio con la scusa della divulgazione musicale), “Le provenienze dell’amore” conforta davvero, lontano com’è da tanti volumetti generici e tutti uguali che affondano la qualità del giornalismo musicale in Italia. Ne riparleremo, visto che, per quelle strane trasmissioni telepatiche, che talvolta solcano il mondo dei suoni, altre menti (e gruppi), qui in Italia, si stanno avvicinando al signor Drake…

Le provenienze dell’amore - RASSEGNA STAMPA

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