Robert Dessaix

Lettere di notte

COD: 58a2fc6ed39f Categoria: Tag:

Collana:
Numero collana:
19
Pagine:
276
Codice ISBN:
9788881120864
Prezzo cartaceo:
€ 13,00
Data pubblicazione:
01-06-2004

Traduzione di Paolo Bartoloni

R. è un giornalista. È colto, gay, conduce una vita agiata e sessualmente avventurosa, pur mantenendo una felice e stabile convivenza con il suo partner Peter e il bassotto Basilico. Un giorno un dottore gli dice che è sieropositivo: R. parte da solo per la Svizzera e l’Italia. E da Venezia, di notte, scrive a un amico di Melbourne venti lettere, nelle quali la forza del racconto e il fascino delle digressioni sembrano scongiurare la morte, come un moderno Mille e una notte. La narrazione di Dessaix, sospesa tra saggio brillante, diario di viaggio, romanzo d’avventura, costringe a una lettura tutta d’un fiato. Meglio se notturna.

«… riflessioni sul vivere e sul morire, su letteratura e vita, su figure che la sensibilità allucinata della fine imminente riveste di nuova luce… una visione straniata della vita che resta… un altro esempio della socialità andata perduta: la socialità del dolore e della sofferenza, dello spegnersi in compagnia di altri».
Sergio Perosa, «Il Corriere della Sera»

«Un libro complesso e coinvolgente, di una straordinaria raffinatezza letteraria…»
Maurizio Bartocci, «Il manifesto»

LETTERE DI NOTTE – RECENSIONI

 

Maurizio Bartocci, IL MANIFESTO
– 11/07/1998

 

Lettere italiane per l’Australia

Robert Dessaix e le radici europee di un paese complesso

Autore di saggi e racconti, giornalista letterario, produttore e conduttore di programmi radiofonici, ha recentemente curato per la Abc Books “Speaking their Minds: Intellectuals and the Pubblic Culture in Australia”, un volume di scritti che rivendica la necessità di un legame solido tra la funzione pubblica degli intellettuali australiani e il pubblico benessere. Ha pubblicato un’autobiografia, “A Mother’s Disgrace”, e per la Oxford University ha curato “Australian Gay and Lesbian Writing: an Anthology”. Nato a Melbourne, agent provocateur della cultura australiana, Robert Dessaix è autore di “Lettere di notte” (pp. 276, £.26.000), da qualche giorno in libreria, pubblicato dall’editore Fazi nell’impeccabile e intonata traduzione di Paolo Bartoloni. Un libro complesso e coinvolgente, di una straordinaria raffinatezza letteraria, che racconta di R., un giornalista gay, agiato e colto, che vede andare a pezzi la propria vita quando scopre di essere sieropositivo. Quando ogni cosa subisce un vorticoso capovolgimento e tutto “sembra irrilevante a eccezione della morte”. Acquietatasi la tempesta emotiva, R. decide d’intraprendere un viaggio in Svizzera e in Italia. E da Venezia, di notte, nella stanza del suo albergo, impugna la penna e scrive diciannove lettere e una cartolina a un amico di Melbourne. Un torrente in piena che convoglia emozioni, aneddoti spiritosi, due racconti nel racconto a metà tra il “Decamerone” e le “Mille e una notte”, affrontando il tema dell’amore e della morte Come definirebbe il suo libro? C’è una parola russa che potrebbe definirlo al meglio: “zapiski”. L’equivalente inglese potrebbe essere notes, “appunti”; si tratta di un genere particolare attraversato da voci speciali che ci parlano di verità assai turbolente. Voci però di cui non possiamo fidarci. E’ questo che mi attira. Sono le persone inaffidabili quelle di cui ci fidiamo di più, dubitando di chi invece, forse, conosce la verità. E’ una forma letteraria che mi ha sempre affascinato. Ho sempre pensato che non avrei mai potuto scrivere romanzi di 500 pagine, per paura di annoiare il lettore. Ma i “zapiski” hanno una qualità di movimento, fugacità. Credo che questo sia un libro molto russo, anche se parla dell’Italia ed è scritto da un australiano. Perché il libro è ambientato in Italia? Perché i fatti che narro mi sono successi veramente, anche se non nella precisa sequenza del libro, proprio in Italia prima che mi diagnosticassero l’Hiv. Dopo la diagnosi ho rifatto il viaggio un’avventura. Tutto quello che avevo era la storia della valigia rotta. Ma subito dopo qualcos’altro si è rotto nella mia vita e ho voluto portare questo grande tema della morte nella storia, ma bisognava raccontarlo in una cornice italiana. Credo che non esista nessun altro luogo in cui la civiltà possa essere interpretata in così tanti e svariati modi e dove ci si possa interrogare su come pensiamo la nostra maniera di essere civilizzati e sugli aspetti “primitivi” che permangono in ognuno di noi. In questo senso credo di aver affrontato e compreso molte delle mie paure proprio in Italia. E’ per questo che nel libro viene continuamente fuori il nome di Laurence Sterne? Perché quel viaggio sentimentale, in un certo senso, non era che il pretesto per la ricerca di sé, un motivo di autoesplorazione? E’ proprio così. Sterne mi piace perché, a parte l’umorismo, il fatto che non prende mai troppo sul serio il suo viaggio, e benché il libro s’intitoli “Viaggio sentimentale lungo la Francia e l’Italia”, il protagonista di fatto in Italia non ci arriverà mai. La cosa mi affascina moltissimo perché amo scrivere del non-conseguimento, del non-compimento, del non-accumulamento, e Sterne era un modello ideale. Ho imparato molto anche da Gogol. Lui affronta la questione dell’esistenza di Dio senza mai nominare Dio. Nomina ciò che la gente mangia, la polvere sulle pieghe di una scarpa, ma lo fa in modo così magistrale che arriva ad affermare, senza mai nominare Dio, che nulla ha importanza se Dio non esiste. Questo è il modo in cui mi piacerebbe scrivere di cose importanti. E quando uno scrive della morte, il punto fondamentale non è la morte in sé ma l’atto di affrontarla. E io intendo farlo senza usare la parola. Per questo nel libro non sono mai pronunciate le parole Aids e sieropositivo? Certo. Se lo facessi, diventerebbe un romanzo su di me A nessuno importa di me, ad eccezione di mia madre, del mio partner e del mio cane. Il lettore non vuole sentir parlare di me, ma di lui. Bisogna, dunque, trovare il modo di parlare di gente che neanche conosci. Ed ecco perché non è necessario dargli un nome. Tutti si trovano davanti a questo genere di situazione, ma per ognuno avrà un nome differente. Tempo e spazio sembrano due termini ricorrenti nel suo libro. Per certi versi tutta la narrazione appare come una riflessione sul tempo. Quando ci si trova faccia a faccia con la morte, il tempo è una freccia monodirezionale. E quella freccia, prima o poi, andrà a colpire il muro e il movimento sarà interrotto. Quindi uno vuole pensare il tempo in modo diverso, non così lineare. Uno dei meriti del post-modernismo è stato quello di liberarci un po’ dallo schema lineare del raccontare le storie. Il mio narrare vuole esprimere la consapevolezza della non-linearità. Tempo e spazio sono sostanzialmente la stessa cosa, due aspetti dell’assoluto materiale. E allo stesso modo cerco di sovvertire lo spazio e muovermi in maniera non lineare, in modo che l’intensità del momento si faccia più importante della sua durata. Il nocciolo risiede nella complessità e nell’intensità delle nostre azioni e della nostra vita. E’ quello che cerco di dire quando rifletto sul tempo, chiedendo al lettore di non pensare alla durata, ma all’intensità e alla complessità del momento. Quanto c’è di australiano in “Lettere di notte”? Pochissimo e moltissimo. Pochissimo nel senso che, mi pare, non faccia parte di quella tradizione letteraria australiana venata di realismo. Non ci sono canguri e koala, uomini in canottiera con lattine di birra, deserto e spiagge sterminate. Mancano quegli stereotipi che americani ed europei amano leggere dell’Australia. Ma l’intera questione ruota intorno all’importanza del retaggio europeo degli australiani. Io sono un australiano di origine russa e francese. Oggi in Australia si fa un gran parlare della creazione di una tradizione nazionale e di “aboriginality”. Tuttavia credo che il nostro patrimonio europeo sia di vitale importanza per capire chi siamo in quanto australiani. L’Australia è un paese complesso e chi vuole identificarsi con Tolstoj, Dante, o Elisabetta I, credo abbia il diritto di farlo. Oggi pare si debba rifiutare queste radici europee a tutti i costi. Facciamo parte dell’Asia, si dice. Ma io mi sento a casa qui, non a Hong Kong. L’Australia è una combinazione di culture – italiana, rumena, greca – , di persone che condividono tradizioni che vengono dall’Europa. Tradizioni che mi arricchiscono e mi spingono a parlarne e scriverne.

 

Carlo Carlino, GAZZETTA DEL SUD

“Lettere di notte”, l’ultimo romanzo dello scrittore australiano

Il viaggio di Robert Dessaix alla scoperta della morte

 

“Era giunto il momento, avevo deciso di assaporare la felicità, per quanto ancora mi fosse possibile”. Il proposito di R., brillante e colto giornalista che vive a Melbourne, gay, che conduce una vita agiata e un’appagante convivenza con il suo partner, Peter, è determinato da una notizia sconvolgente e improvvisa. Un giorno qualunque di settembre, il suo medico gli comunica che è sieropositivo. Una tempesta di sensazioni si abbatte sull’uomo: “Era come se mi avessero sbudellato”. Subito, però, superato lo shock iniziale con il conforto di Peter, riacquistata la forza, lascia Melbourne per un lungo viaggio. Ha deciso che invece battersi con la morte o di consegnarsi passivamente a esse, di affrontare insieme al suo spettro gli scampoli di vita che ancora gli rimangono, anche per chiedersi come si potrebbe vivere consapevoli del poco tempo che ormai si ha a disposizione. La prima destinazione è la Svizzera, Zurigo, luogo fin troppo “agghindato” che non concede molto alle sensazioni capaci di “nutrire l’anima”. Perciò meglio spostarsi verso sud, raggiungere, la “magica” Venezia dall’aria “vetrosa” e poi Padova. Dalla città lagunare, di notte, indirizza ad un amico in Australia venti lettere in cui ripercorre a ritroso la sua disavventura, passando sotto la lente d’ingrandimento gli accadimenti di quel viaggio, quasi un pellegrinaggio nel vecchio mondo. Le missive si popolano di incontri affascinanti e di personaggi reali circondati però da un qualcosa di misterioso e di fantastico, con un racconto sempre teso, fitto di intrecci, vigoroso e ammaliante, non privo di ironia, come per allontanare la morte che incombe inesorabile. È questa molto succintamente, la trama del libro di Robert Dessaix, “Lettere di notte”, edito da Fazi (traduzione di Paolo Bortoloni, pp. 276, lire 26.000). Una trama che però non dà il senso di questo intenso e suggestivo romanzo dalle mille sfaccettature, come le avventure e i racconti fantasiosi che si susseguono tumultuosamente nelle missive, che partono da una storia parzialmente autobiografica che Dessaix, riconosciuto come uno dei maggiori scrittori australiani di oggi, e popolare moderatore della trasmissione letteraria della Abc “Book and writings”, ha saputo intrecciare con stile elegante. Infatti, in questa storia di diario di viaggio che sa di romanzo di formazione, d’avventura, Dessaix intercala intense pagine narrative ad altre di sapiente taglio saggistico, in un itinerario tra aneddotico e favoloso all’ombra della scoperta e della morte. Ecco l’incontro a Zurigo con la scrittrice Patricia Highsmith, o la cena con l’amico Henry, a sua volta intimo di Bruce Chatwin, che gli racconta il lento declino e la morte dell’autore de “In Patagonia” – quasi una metafora del racconto di Dessaix -. E ancora la storia ricca di magia e di avventure dell’amuleto erotico di Rachel o le incredibili avventure o le incredibili avventure della baronessa di Saint Léger, sempre in viaggio e alle prese con nuovi mariti, l’incontro con Salman Rushdie per un’intervista; e ancora la leggenda di Camilla Scamozzi, splendida cortigiana veneziana vissuta nel Settecento, ricostruita con minuziosi particolari in uno scenario suggestivo, e infine l’originale interpretazione delle avventure di Giacomo Casanova, “smanioso di felicità” fatta dal professore Eschenbaum, un colto tedesco che ricorda il personaggio di “Morte a Venezia” di Thomas Mann. Un’altra metafora della morte, che invece di essere una tragica conclusione come per Mann, per Dessaix diventa la conclusione di un lungo itinerario, con un coinciso messaggio: “Sto arrivando”. Incontri e storie che si accavallano mentre il protagonista, immerso nella lettura della “Divina Commedia” dantesca, esorcista la paura fine, convinto che la morte può insegnare qualcosa, e ripropone il vedere come origine della gioia e il viaggio come scoperta, come straneamento, in grado di farci assaporare al meglio la nostra esistenza. Ma attraverso la malattia che diventa metafora di altre dissoluzioni, Dessaix ci fa anche riflettere senza clamore sulla nostra sorte e sulle meraviglie del mondo, sul senso della nostra effimera provvisorietà. Perché in fondo il piacere dà gioia, non felicità e la vita può essere vissuta proprio come un viaggio, non solo per raggiungere un luogo e scoprire nuovi posti e accumulare nuove esperienze, ma solo per assaporare ogni istante della nostra breve esistenza.

 

Giorgetta Dorfles, IL PICCOLO

Fazi traduce il polifonico romanzo di Robert Dessaix

“Lettere di notte”, per sfuggire al forte richiamo della Morte

 

Di fronte a una sentenza di morte quale può essere la reazione di chi non ha il conforto della fede? Ci si può rassegnare e assecondare il processo di disfacimento o lottare aggrappandosi alle cure, anche se potranno solo ritardare uno stato morboso irreversibile. Oppure trovare una via di scampo intermedia, come si racconta in “Lettere di notte”, best seller dello scrittore australiano Robert Dessaix, ora tradotto per la Fazi Editore (pagg. 274, lire 26 mila). Nel sogno che interpreta il suo approccio alla malattia, di fronte alla simbolica belva feroce, il protagonista le salta in groppa e si trova a cavalcare non la classica tigre, ma un leone. Questa corsa nella giungla corrisponde, in realtà a un viaggio: infatti, il giornalista gay, diventato sieropositivo, lascia l’Australia e parte alla volta della Svizzera, per approdare quindi nel Paese di Dante; lo accompagna, nel suo improvviso misurarsi con la “selva oscura”, la lettura della “commedia” e il senso dell’intera esperienza viene descritto nelle lettere al compagno. Secondo la teoria del professore tedesco incontrato nell’albergo veneziano, esistono due tipi di viaggio: quello nello stile di Marco Polo, che aveva girato il mondo solo per studiare i costumi locali in vista di possibili relazioni commerciali, e quello di Casanova. Per il grande seduttore il viaggio era, soprattutto, un modo per sentirsi vivo: una ricerca di “momenti senza tempo, di istanti esaltanti in cui il passato e il futuro cessano di essere”. È questa l’alternativa che si addice al nostro giornalista: affrontare l’atto del viaggiare come dilatazione della coscienza, espansione del proprio io circoscritto. Sa bene, infatti, che non ha senso per lui fare collezione di gadget, di souvenir, che non gli serve più di approfondire la cultura, affinare il suo senso estetico. Viaggiare per vivere completamente al presente, per assaporare la perspicuità di ogni istante che abitualmente viene macinata dagli ingranaggi della routine. E allora, sarà irrilevante ammirare la perfezione delle linee del Palladio o il prezioso cromatismo di Giotto, piuttosto che osservare le pettinature, i vestiti, le andature di una folla sconosciuta. Osceno appare l’arrembaggio alle città italiane: alla mercificazione di ogni opera d’arte, basiliche comprese, fa riscontro la devozione quasi religiosa dei forzati del turismo, che seguono con scrupolo gli itinerari dettati dalle guide. La struttura del libro si scompone in una serie di scatole cinesi: i momenti e i luoghi che fluttuano in questa sorta di sospensione temporale si sovrappongono intersecandosi in modo da provocare dei continui scarti nel racconto. Anche i personaggi incontrati estraggono dalle scatole altre storie, che portano indietro di secoli, per seguire i passaggi di mano di un amuleto misterioso o la scomparsa di un’avvenente cortigiana durante la performance di un mago. Storie che vivono di vita propria, quasi degli universi paralleli dove scantonare in questa rocambolesca fuga dalla morte. Il tono delle lettere è colloquiale, ma non disdegna la descrizione minuta, la citazione dotta, la speculazione filosofica. Un libro che affronta con perizia diversi registri di scrittura, dal saggio al pamphlet, dal romanzo d’avventura al diario di viaggio, senza perdere in omogeneità per la struttura ellittica che avvolge ogni divagazione attorno al nodo centrale: quell’io narrante perseguitato dal continuo pulsare del richiamo di morte, quasi “un ininterrotto mormorio”. Ma quali esperienze scaturiscono da questo girovagare? Il protagonista apprenderà con stupore che la sua spregiudicata razionalità convive con una vena di misticismo. Ritroverà l’attitudine alla gioia, ricavata dal vivere in modo intenso, contrapposta alla più labile felicità . e, nell’attraversare l’Inferno in terra, scoprirà un una sorta di Paradiso in un’isola del Lago Maggiore. Riuscirà anche a riconciliarsi con l’accezione dantesca di Dio, non più accigliato “supersanto”, ma concetto quasi geometrico: “Un punto che irradia luce all’infinito”.

 

Robert Dessaix, LA REPUBBLICA
– 11/06/1998

Parla Robert Dessaix, scrittore sieropositivo ieri alla Cima

“La mia terapia si chiama verità”

 

“GLI ANNI più belli della mia vita sono iniziati da quando ho saputo di essere sieropositivo. Accade spesso in chi scopre di avere l’hiv del sangue: perché si capisce che non è importante quanto si vive, ma come, e con quale profondità”. Capelli grigi, occhi di un azzurro accecante, lo scrittore australiano Robert Desaix parla con la lentezza dei saggi. Parla e si meraviglia di come il suo libro “Lettere di notte” pubblica da Fazi e presentato ieri sera alla Libreria Cima, conquisti soprattutto il pubblico giovane: “Sarà perché ho fatto molta tv e radio, ma in Australia sono il beniamino di signore di mezza età, alle quali sottopongo argomenti duri come la malattia, l’omosessualità: loro accettano di buon grado, ed è un segnale molto importante. Com’è importante il fatto che questo adottato nelle scuole”. Esperto di letteratura russa, finissimo conduttore di una trasmissione radiofonica sui libri per la Abc, in “Lettere di notte” (che è stato tra i maggiori best seller australiani degli ultimi anni) Dessaix racconta di un coltissimo giornalista gay che, non appena viene a conoscenza della malattia, intraprende un viaggio in Italia. Da qui invierà a un amico venti lettere e una cartolina dove la forza del racconto di aneddoti, esperienze di vita, dissertazioni dotte (su Patricia Highsmith, sul concetto di racconto in Salman Rushdie, sul “Viaggio sentimentale di Sterne) e un pizzico d’inevitabile estetismo dandy riescono ad alleviare l’angoscia della morte. Se non, addirittura, a scongiurarla. Gli fanno compagnia la “Divina Commedia” di Dante e l’ossessione di un Paradiso possibile anche qui, sulla terra, tra comuni mortali e accaniti peccatori. Lo cerca nelle isole che si trova a visitare, nei giardini, negli orti botanici, nei dipinti di Giotto, nelle piccole piazze delle città, quelle al riparo dal turismo di massa, dall’ossessione per il cibo e il bel vestire degli italiani; lo cerca, prima di tutto, in se stesso: “Spesso si confonde il paradiso con il giardino dell’Eden. In quest’ultimo si può ottenere solo la felicità, che non costa molto; il Paradiso è un territorio dove si vive una gioia senza tempo, è il luogo dove si arriva ad essere tuttuno con la verità: lo dice Dante e io condivido questo concetto che, se vogliamo, è molto buddista e poco cattolico. Quello è il paradiso in cui credo”. Il viaggio del protagonista passa da Locarno e poi Vicenza, Padova, infine Venezia “in omaggio a Thomas Mann che ce l’ha raccontata come la città dell’amore impossibile e della peste, del contagio, del virus. Ma in “Lettere” non nomino mai la parola Aids: ho voluto che ognuno avesse un margine di libertà nell’interpretare la malattia che colpisce il protagonista. Vorrei che ogni lettore si facesse una propria opinione in merito. Perché questo non è solo n romanzo sull’hiv: è, prima di tutto, un libro sulla vita in presenza della morte”.

 

A. Spadaro, LA CIVILTÀ CATTOLICA
– 08/05/2000

 

Robert Dessaix, Lettere di notte

 

Il protagonista autobiografico di “Lettere di notte” è un australiano colto che conduce una vita agiata e sessualmente avventurosa. Un giorno riceve da un medico cinese una diagnosi: è sieropositivo. Le prime pagine del romanzo sono proprio il tentativo, certo non facile, di descrivere gli effetti di una simile diagnosi su un essere umano. Dopo la tempesta di sensazioni, il protagonista parte da solo per un viaggio in Europa e dalla Svizzera attraversa il nord d’Italia verso Venezia. Dalla città della laguna, di notte, egli scrive a un amico di Melbourne lettere in cui, oltre a comunicare impressioni di viaggio, esprime le proprie riflessioni sulla morte e sulla ricerca di una sorta di paradiso perduto. Incontri, vicende, paesaggi e storie sembrano svolgere il ruolo di antagonista contro il pensiero della morte (è molto utile a questo proposito la lettura di un saggio presente in internet all’indirizzo http://www.arts.monash.edu.au/gsandss/slavic/aids.html). Il romanzo segue una doppia linea di ispirazione: quella legata alla verità di una condizione esistenziale, guardata e sperimentata con estrema verità e sincerità, e quella legata a un tentativo di mascherare tale condizione con atteggiamenti un po’ snobistici, che vanno a scagliarsi contro la pietas popolare dei pellegrini di Sant’Antonio a Padova, la quotidianità più semplice e più vera e persino alcune espressioni della Divina Commedia, letta in maniera, si, personale, ma a tratti francamente troppo ingenua. Anche i paesaggi sono inquadrati all’interno delle cartoline turistiche e gli incontri con personaggi come Patricia Highsmith e Salman Rushdie o con baronesse, professori e simili fanno parte di una sorta di meccanismo di fuga sostanziato dall’idea di bellezza. Ciò che sfugge è la domanda da cui questo libro sembra nascere: il problema del proprio rapporto con la propria morte. Dessaix tenta di eluderlo (ma, fortunatamente, non può che restare fuori dalla pur buona macchina narrativa dell’A. Se tuttavia andiamo al fondo della divagazione, ci rendiamo conto che la tragedia della fuga è ancora più forte di quella dell’accettazione. Il riferimento alla Commedia dantesca apre il volume proprio con la citazione del Canto I dell’Inferno con tutte le sue immagini di “selva oscura”, “selva selvaggia e aspra e forte” che tant’è amara che poco è più morte”. E queste immagini diventano, ad esempio, figura dell’assurdità che si porta dietro “il bisogno di dare un senso alle cose” (p.107) e a volte capita “di essere talmente svuotati che dentro non si muove proprio nulla” (p.109). Dessaix ha momenti di estrema autenticità, che devono essere segnalati al lettore, come, ad esempio, quando si sofferma sulla percezione del tempo: “Quando la vita si allunga senza che se ne possa vedere la fine, allora non importa se si fanno cose che in fondo non hanno nessun senso (…). Se uno vuole, può dare un senso a queste cose collegandole ad altre il cui senso non si ha ancora avuto il tempo di analizzare. (…) Quando la fine è invece chiaramente visibile, allora tutto si restringe. Almeno, questo è quello che è successo a me. Non c’è più tempo di chiedere al domani di dare un senso alle cose. (…). L’urgenza è stata la prima cosa a cadere. (…) Mi sento più un punto nello spazio che un corpo che va da qualche parte. Così, è il momento presente, quello che vivo, a cui devo dare un senso” (p. 121 s). Sono riflessioni di questo tipo a dare al testo il giusto dell’autenticità e che alla fine, nell’ultima lettera del libro, fanno comprendere che tutti i modi per fuggire alla fine “stancano”: parecchie settimane, ho sentito chiaramente di essere stanco… non dell’Europa, esattamente, ma dell’accumulo di storie, di battaglie, di trattati, di famiglie, di duchesse, di dipinti, di chiese e di palazzi (…). E “stanco” non è nemmeno la parola giusta, forse saturo è meglio (…)”. (p. 259 s). Alla fine resiste un bisogno di quotidianità e di contatto con se stessi che costituisce la tensione più vera tra quelle presenti nelle pagine di “Lettere di notte”.

 

Fulvio Panzeri, LETTURE
– 04/01/2000

 

Il malato di Aids scrive a un amico

 

Dall’Australia arriva un romanzo che trae la sua forza dalla necessità di sfuggire alla disperazione e di riconquistare un’idea di speranza reale, quella stessa che il protagonista a conclusione del libro definisce come una “parola noiosa” in quanto gli pone innanzi anche la ragione ultima della vita. Dice: ” Il problema della speranza – avere speranza in che cosa, quanto crederci – è il problema angoscioso per gente come me”. Infatti deve affrontare la condizione di sieropositivo e si interroga su cosa sperare, e arriva alla consapevolezza che l’importante non né sperare né disperare, ma riuscire a intuire la vita in tutta la sua pienezza. A questa conclusione giunge dopo un viaggio in Europa tra Svizzera e Italia, prima sul lago Maggiore poi a Padova e Venezia. Il romanzo si compone di lunghe lettere scritte a un amico di Melbourne che possono essere lette come frammenti di diario di un viaggio intorno all’idea di bellezza che è anche un modo per tenere lontana l’idea ossessiva della morte.Ogni luogo visitato diventa la ricognizione di storie e di incontri reali o immaginari, cercando di frugare in esistenze esemplari o eccentriche. Così abbiamo, in Svizzera, il resoconto del suggestivo incontro con la scrittrice Patricia Highsmith e un’intervista a Salman Rushdie, la visita a un’isola lacustre, piccola e particolarissima per il suo orto botanico creazione di una stravagante baronessa; rivive poi in queste pagine la leggenda di una cortigiana veneziana che scompare durante i giochi di prestigio di un mago. Accompagna il viaggio la lettura della “Commedia” dantesca, un elemento rivelatore e illuminante, in questo romanzo il cui merito è quello di una tensione narrativa che, al fondo, fa emergere in modo non esplicito, in una tragica ambivalenza, il senso d’angoscia verso una morte presentita come inesorabile traccia notturna.

 

Franco Marcoaldi, LA REPUBBLICA

 

Scrittore troppo dandy

“Lettere di notte” di Robert Dessaix

Spiace dover contraddire l’autorevole Vogue Australia, ma Lettere di notte di Robert Dessaix (traduzione di Paolo Bortoloni, Fazi editore, pagg.274, lire 26.000) non è “un vero capolavoro”, giudizio che l’editore italiano ha legittimamente evidenziato nella quarta di copertina. Nel romanzo si narra la tragica vicenda di un giornalista gay, colto e benestante, il quale per lungo tempo ha saputo combinare una vita sessuale piuttosto disordinata a una serena convivenza con Peter, il proprio partner. Ma purtroppo per lui un certo giorno viene a sapere di essere sieropositivo. Insomma, una storia ahimè non rara nei nostri anni, e che dunque parecchi hanno conosciuto e vissuto in modo diretto o indiretto. E forse proprio per questo l’itinerario intrapreso da Dessaix, una volta venuto a conoscenza del fatto che la sua vita è ineluttabilmente a scadenza, non risulta del tutto convincente. O meglio, indica un approccio che, anziché assumere fino in fondo il terribile peso dell’incontro con la morte, pare volerlo eludere attraverso uin capriccioso pellegrinaggio letterario il cui modello dichiarato di picarismo intellettuale è il grandissimo Sterne. Sorvoliamo pure sull’uso di inerti cliché, forse per noi particolarmente fastidiosi perché relativi a paesaggi urbani domestici (“la magia di Venezia”, “le magnificenze palladiane di Vicenza”). Faremmo torto di Dessaix nel non riconoscergli una scrittura spesso e volentieri suadente, leggera, aggraziata. No, è soprattutto quel susseguirsi di incontri con baronesse, bizzarri professori e famosi scrittori (da Patricia Highsmith a Salman Rushdie), mai o quasi mai per arrivare a porsi e porre le domande ultime, finali, che ci rende un po’ estraneo questo romanzo (pure ben congegnato). L’editore italiano suggerisce l’ipotesi che questo tumultuoso accavallarsi di continue digressioni e impreviste avventure finisca per dar vita a una sorta di moderna Mille e una notte, a un viaggio senza fine che si rivela l’arma migliore per combattere lo spettro della morte. Mi sbaglierò, ma io vi intravvedo invece i rischi di un dandysmo intellettuale dove l’incontro tra al vita e la letteratura, anziché aiutare il protagonista pericolosamente i piani in occasione della fatale e definitiva resa dei conti.

 

Sergio Perosa, CORRIERE DELLA SERA

 

Dessaix, viaggio in Europa per afferrare la vita che fugge

 

L’annuncio che si ha l’Aids è come lo scoppio devastante di un motore d’aereo in volo; i minuti o le ore che restano sono verso un atterraggio di fortuna, più spesso verso l’impatto cosciente con la morte. Sconvolto da quell’annuncio, il protagonista di Dessaix, lascia la natia Australia per l’Europa: la Locarno linda e ordinata come un pezzetto di Paradiso sterilizzato. Vicenza che appare stranamente, per la città di Palladio. Luogo oscuro di perdizione e di incubo, Padova come tentazione della spiritualità o del rifugio nella religione, Venezia, infine come ultima irradiazione della bellezza e luogo deputato per morire, con più di qualche richiamo al romanzo “La morte a Venezia” di Thomas Mann. Il libro è costruito sulla lettere che il protagonista invia al suo compagno in patria, per ragguagliarlo di sé e dei suoi incontri con personaggi immaginari del presente e del passato – come la baronessa San Léger o la cortigiana veneziana Camilla Scamozzi – ma esse sono soprattutto ricetto di riflessioni sul vivere e sul morire, su vita e letteratura, su figure che al sensibilità allucinata della fine imminente riveste di nuova luce: Salman Rushdie, o Casanova, ad esempio, ossessionato non dalla sequela di orgasmi, ma dal mistero del tempo, dalla ricerca di istanti esaltanti in cui passato e futuro cessano di essere. Nel colloquio ravvicinato o a distanza con loro prende corpo una visione straniata della vita che resta, o di ciò che ci attende in un aldilà del tutto ipotetico; si ha come il senso di una discesa alla soglie dell’Ade, quasi un presagire altri mondi nella perdita del proprio. I celebri testi del passato sulla peste (Defoe, Manzoni) sono rievocazioni corali, di massa, viste dall’esterno. Nei molti romanzi sull’Aids è l’esperienza singola, individuale, che sta al centro; la malattia, come la morte, relegata al privato, da tenere nascosta. Un altro esempio della socialità andata perduta: la socialità del dolore e della sofferenza, dello spegnersi della compagnia degli altri.

Lettere di notte - RASSEGNA STAMPA

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