Robert Reich

Perché i liberal vinceranno ancora

COD: 8efb100a295c Categoria: Tag:

Collana:
Numero collana:
88
Pagine:
260
Codice ISBN:
9788881125562
Prezzo cartaceo:
€ 19,00
Data pubblicazione:
01-10-2004

Traduzione di Francesca Minutiello
Prefazione di Walter Veltroni

Un appassionato e incalzante appello al coraggio dei progressisti americani, perché tornino ad essere di nuovo protagonisti dopo il periodo dell’ascesa al potere dell’amministrazione repubblicana. Robert B. Reich descrive in modo molto efficace la posta in gioco e le ragioni per cui i liberal svolgeranno ancora un ruolo di primo piano nella politica degli Stati Uniti. Infatti Reich è convinto che il conservatorismo radicale non sia pericoloso soltanto per l’intero globo, ma anche per l’America. Coloro che l’autore chiama ironicamente “radcons” hanno la presunzione di combattere le guerre preventive destabilizzando gli equilibri internazionali. Ecco allora che, limitando le libertà civili, non soltanto mostrano l’arroganza di chi soffoca il dissenso interno, ma operano a colpi d’ingiustizia tagliando i servizi sociali per poi diminuire le imposte alle classi agiate. Dipingere Bush come un lestofante capace di tirare le fila di un tragico complotto non è sufficiente per illuminare le ragioni della tradizione liberal. L’autore mostra in modo energico e articolato che i valori degli anni Sessanta devono entrare di nuovo a far parte del governo americano. Questi non corrispondono alla caricatura che nel linguaggio della destra significa tutt’oggi lassismo morale e permissività sessuale, al contrario il progressismo americano ha funzionato da contrappeso, proteggendo il capitalismo dai suoi eccessi. Con quei principi, i liberal possono cominciare a risalire la scala della politica: riprendendo la forza delle loro idee, organizzando i cittadini che non hanno rappresentanza, per minimizzare l’abuso dell’opulenza e del potere nel sistema politico degli Stati Uniti.

PERCHÉ I LIBERAL VINCERANNO ANCORA – RECENSIONI

 

Nicola Cacace, L’UNITÀ
– 23/05/2009

 

Gli USA insegnano

E’ sbagliato seguire i sondaggi

 

 

Anna Maria Giordano, LA SICILIA
– 14/10/2004

 

Reich: Prevenire il terrorismo. Solo così potremo debellarlo

 


Robert Reich è stato già tre volte al governo coi democratici e il suo ministero nell’Amministrazione Clinton è stato il più efficiente e produttivo. Tutto fa pensare che dopo il 2 novembre potrebbe tornare a lavoro al fianco di Kerry se vincesse. Ma chi è veramente quest’uomo? Una sera Reich è tornato a casa molto tardi dal lavoro e ha trovato un biglietto di suo figlio Sam: «Svegliami – diceva – così almeno saprò che sei tornato». A quel punto ha pensato che forse si stava perdendo qualcosa. E ha deciso di ritrovarlo. Seminando stupore e incredulità ha mollato il suo posto di ministro del Lavoro nell’Amministrazione (cui si deve in parte la creazione di milioni di posti di lavoro durante il mandato di Bill Clinton) e ha rivelato in un libro, «L’infelicità del successo» edito in Italia da Fazi, la sua scelta e la sua «scoperta». In questi giorni Reich, docente alla Brandeis University di Boston, ora consigliere di Kerry, è in Italia per l’uscita del suo nuovo libro «Perché i liberal vinceranno ancora», sempre di Fazi.
Il titolo del suo libro è un po’ un grido di battaglia, un appello alla mobilitazione. Servirà?
«I liberali americani devono avere il coraggio delle proprie azioni. E la maggior parte delle persone non si sente liberal ma condivide gli stessi valori. I sondaggi pubblicati nel libro mostrano che gli americani pensano che ci debba essere una netta separazione tra Stato e chiesa, che la copertura assicurativa sociale per i meno abbienti debba essere gratuita, che la concentrazione sempre maggiore dei poteri politici sia un ostacolo alla democrazia. E, soprattutto, che la guerra in Iraq sia stato un grande errore e che possa essere la causa di una nuova ventata di terrorismo. Resto convinto che i valori degli anni ’60 devono di nuovo entrare nel governo dell’America».
Cosa intende per «patriottismo positivo», un concetto espresso nel suo saggio?
«Significa riconoscere un senso di responsabilità verso le persone che appartengono alla nostra nazione ma anche a quelle che appartengono a Paesi e culture diverse. In tal senso, il patriottismo positivo si distingue da quello negativo in quanto questo significa essenzialmente pensare che il nostro Paese sia migliore di tutti gli altri e che gli altri siano solo concorrenti o nemici».
Quale potrebbe essere allora la guerra al terrorismo dei liberal al governo?
«Prevenirlo: i democratici e i liberali lavorerebbero con gli altri Paesi per prevenire il terrorismo in un ambito internazionale e in un’ottica multilaterale. Per guardare alle cause del terrorismo soprattutto in quelle parti del mondo dove la fame e la rabbia generano comportamenti radicali. Ovviamente il terrorismo è per tutti un grande male, ma va affrontato non solo con una politica di sicurezza e di polizia internazionale, ma anche con la diplomazia e con la ricerca delle cause. Non con l’interventismo armato e unilaterale».
Una ricetta per Kerry.
«Kerry é diventato molto più efficiente ed efficace nel portare avanti il suo programma. Deve soprattutto continuare a porre l’accento sulla diversità tra i valori democratici e quelli dei repubblicani. Penso poi che se Kerry vincerà la sua politica in materia di lavoro sarà un proseguimento della politica attuata da Clinton. Ha gli stessi consiglieri, incluso me informalmente, e vuole completare il lavoro iniziato dall’ex presidente, compreso il programma di rendere la copertura sanitaria gratuita per tutti. Con l’Amministrazione Clinton sono stati creati 22 milioni di posti di lavoro e dall’inizio del governo Bush gli Usa ne hanno invece persi oltre un milione e mezzo. Un presidente non é ovviamente responsabile del numero di posti lavoro creati o persi, ma certo c’è un legame diretto tra la sua politica economica e i risultati. E Bush ha portato solo a dei fallimenti».
Su cosa punta Bush?
«L’unico modo per vincere che ormai resta a Bush è quello di alimentare la paura facendo leva sul discorso del terrorismo. Ma il punto è che la politica militare, belligerante e unilaterale di Bush ci ha solamente alienato la cultura araba e ha prodotto l’attuale radicalizzazione della politica araba, rendendo tutti noi meno sicuri».

 

Anna MAria Giordano, IL MATTINO
– 14/10/2004

 

Reich: una sveglia per i liberal americani contro i radcons

 

NTERVISTA ALL’EX CONSIGLIERE DI CLINTON

Anna Maria Giordano
Robert Reich è stato già tre volte al governo coi democratici e il suo ministero nell’amministrazione Clinton è stato il più efficiente e produttivo. Tutto fa pensare che dopo il 2 novembre potrebbe tornare a lavoro con Kerry, se vincesse. Ma chi è veramente quest’uomo? Una sera Reich è tornato a casa tardi dal lavoro e ha trovato un biglietto di suo figlio Sam: «Svegliami – diceva – così almeno saprò che sei tornato». A quel punto ha pensato che forse si stava perdendo qualcosa e ha deciso di ritrovarlo. Seminando stupore e incredulità ha mollato il suo posto di ministro del Lavoro e ha rivelato ne L’infelicità del successo (ed. Fazi), la sua scelta e la sua «scoperta». Reich, docente all’università di Boston e consigliere di Kerry, è in Italia per l’uscita del suo nuovo libro Perché i liberal vinceranno ancora, sempre di Fazi.
Il titolo del suo libro è un po’ un grido di battaglia, un appello alla mobilitazione. Servirà?
«I liberali americani devono avere il coraggio delle proprie azioni. E la maggior parte delle persone non si sente liberal ma ne condivide i valori. I sondaggi pubblicati nel libro mostrano che gli americani pensano che ci debba essere una netta separazione tra stato e chiesa, che la copertura assicurativa sociale per i meno abbienti debba essere gratuita, che la concentrazione sempre maggiore dei poteri politici sia un ostacolo alla democrazia. E, soprattutto, che la guerra in Iraq sia stato un grande errore».
Parliamo dei neocons.
«Io li chiamo ”radcons”: il loro conservatorismo radicale è pericoloso non solo per l’America ma per l’intero globo. Ma dipingere Bush come un lestofante capace di tirare le fila di un tragico complotto non basta a illuminare le ragioni della tradizione liberal. Resto convinto che i valori degli anni ’60 devono di nuovo entrare nel governo dell’America».
Cosa intende per «patriottismo positivo», un concetto espresso nel suo saggio?
«Significa riconoscere responsabilità verso le persone che appartengono alla nostra nazione ma anche a quelle che appartengono a paesi e culture diverse. In tal senso il patriottismo positivo si distingue da quello negativo, che consiste nel ritenere il nostro paese migliore di tutti, mentre gli altri sono solo concorrenti o nemici».
Quale potrebbe essere la guerra al terrorismo dei liberal al governo?
«I democratici e i liberali lavorerebbero con gli altri paesi per prevenire il terrorismo in un ambito internazionale e in un’ottica multilaterale. Per guardare alle cause del terrorismo soprattutto in quelle parti del mondo dove la fame e la rabbia generano comportamenti radicali. Il terrorismo va affrontato non solo con una politica di sicurezza e di polizia internazionale ma anche con la diplomazia e con la ricerca delle cause, non con l’interventismo armato e unilaterale».
Una ricetta per Kerry?
«Deve soprattutto continuare a porre l’accento sulla diversità tra i valori democratici e quelli dei repubblicani. Se vincerà, la sua politica sarà un proseguimento di quella di Clinton. Ha gli stessi consiglieri, incluso me informalmente, e vuole completare il lavoro iniziato dall’ex presidente, compresa la copertura sanitaria gratuita per tutti. Con l’amministrazione Clinton sono stati creati 22 milioni di posti di lavoro e dall’inizio del governo Bush gli Usa ne hanno invece persi oltre un milione e mezzo. Bush ha portato solo a dei fallimenti».

 

Stefano Gulmanelli, AVVENIRE
– 02/10/2004

 

«I democratici siano più decisi»

 

Robert Reich

«I democratici siano più decisi»

L’ex ministro del Lavoro di Clinton: «Dobbiamo ritirarci dal Golfo appena possibile»

Di Stefano Gulmanelli

E’ uno dei più noti studiosi americani di economia e società nonché editorialista del New Yorker e del Wall Street Journal. Ma è anche un “insider” del potere americano, che ben conosce, essendo stato segretario al Lavoro di Bill Clinton. Nel suo ultimo libro, Perché i liberal vinceranno ancora, (pubblicato in Italia da Fazi Editore), Robert Reich assume posizioni durissime contro l’attuale assetto di potere negli Usa.
In Europa anche i critici degli Usa danno per scontato che quella americana è una grande democrazia. Lei nel suo libro dice che gli Stati Uniti sono sul punto di divenire un’oligarchia in mano a un misto di potere economico incontrollato e fanatismo ideologico. Un quadro fosco e insolito…
Insolito non direi. La democrazia americana ha già vissuto crisi serie. È avvenuto negli anni della guerra del Vietnam e del maccartismo; o, a fine Ottocento, con i “robber barons” che gestivano l’industria americana corrompendo la politica; o durante la guerra civile. Ma ho fiducia nella nostra democrazia: in tutte queste occasioni ha mostrato di potersi correggere da sola. Il mio libro è un’esortazione a che anche oggi ci sia una correzione. Perché i “radcon”, i conservatori radicali che comandano in America, se non vengono fermati diventeranno una minaccia per la democrazia.
Ci sono differenze fra questa amministrazione repubblicana e quelle precedenti di Reagan e Bush padre?
Allora il governo americano era un sistema davvero bi-partitico, con i giusti contrappesi: i democratici controllavano il Congresso e incidevano sulla nomina di gran parte dei membri della Corte Suprema. Inoltre nel Partito repubblicano non mancavano i moderati e persino i liberal. Ora invece la leadership è assolutamente e fanaticamente conservatrice.
Per alcuni questa amministrazione se confermata andrebbe su posizioni più moderate. Lei invece dice: se rieletti non avranno più remore. Cosa farebbero che non hanno fatto o voluto fare nel primo mandato?
Potrebbero attaccare l’Iran, forse la Siria e magari la Corea del nord. Lo hanno dimostrato: il loro interesse per la diplomazia è nullo. In campo economico renderebbero definitivi i tagli alle tasse per i più ricchi, spostando così il peso sulla classe media lavoratrice. Infine continuerebbero nella politica di restrizioni delle libertà civili e dell’incuranza per le problematiche ambientali.
Lei sprona i democratici a non correre «al centro», ma ad avere il coraggio di prendere posizioni capaci di attrarre il grande partito dei non votanti. Indichi tre punti che i democratici non hanno ancora osato proporre?
Dire chiaro e tondo che ci dobbiamo ritirare dall’Iraq appena possibile. Dichiarare che gli Usa non possono non firmare il protocollo di Kyoto sull’ambiente, o almeno devono negoziarne una versione che poi finalmente firmano. Infine chiarire che la distribuzione della ricchezza negli Usa è vergognosa e pericolosa per la democrazia e che quindi il sistema fiscale va ripensato in senso veramente re-distributivo.
Nel libro lei sottolinea come la moralità proposta – e imposta – dai Radcons sia falsa, e conviva con tutta una serie di immoralità. Ha qualche esempio?
Certo. E’ immorale che i dirigenti d’azienda guadagnino 10 milioni di dollari l’anno mentre tagliano gli stipendi dei dipendenti. È immorale che in una nazione come la nostra vi siano milioni di bambini e ragazzini senza le assicurazioni e le protesioni basilari: cibo e casa decente, un sistema sanitario e scuole adeguate. Ed è immorale che gli Usa dicano che possono attaccare – unilateralmente e preventivamente – chiunque se solo lo decidono, senza curarsi del diritto internazionale.—————-

 

 

BENEDETTO VECCHI, IL MANIFESTO
– 01/10/2004

 

La guerra civile di George W

 


Un’intervista con Robert Reich, ex-ministro del lavoro dell’amministrazione Clinton, in Italia per presentare il libro «Perché i liberal vinceranno ancora». L’ascesa dei conservatori radicali, il controllo che esercitano sui media e l’uso della guerra irachena per nascondere le crescenti diseguaglianze sociali

L’ironia non difetta certo in Robert Reich. Democratico e economista liberal è stato ministro del lavoro nell’amministrazione Clinton fino a quando non abbandonò l’incarico subito dopo che il Congresso stravolse il progetto sulla riforma del sistema sanitario dell’ex-governatore dell’Arkansas e di Hilary Clinton. E con ironia ricorda quando, in visita a una fabbrica, annunciò che erano stati creati milioni di nuovi posti di lavoro. L’operaio di fronte a lui rispose: «Si, lo so, ne faccio tre per guadagnare quello che serve per vivere decorosamente», lasciandolo di stucco. Nel suo nuovo libro Perché i liberal vinceranno ancora (Fazi editore), Reich cita l’episodio per sottolineare la distanza, a volte drammatica, tra i democratici e la vita quotidiana di milioni di uomini e donne. Il volume, in libreria a partire da oggi, è un pamphlet contro i conservatori radicali al governo alla Casa Bianca. Da buon liberal Reich è però un inguaribile ottimista e ritiene che i progressisti hanno tutte le carte in regola per tornare a essere protagonisti della vita politica americana. «I democratici hanno salvato già due volte il capitalismo dai suoi eccessi: agli inizi del Novecento, quando i robber barons avevano corrotto il sistema politico e dopo la grande recessione del 1929. Ora si tratta di compiere la stessa operazione, ripristinando la fiducia in un sistema di vita minato da scandali, perdita di libertà e di tolleranza». Reich è noto al pubblico italiano anche per altri due libri. Il primo, L’economia delle nazioni (Edizioni Sole 24 ore), è un affresco con colori pastello sulle sfide poste dall’economia della conoscenza e di come abbia modificato profondamente il mercato del lavoro statunitense. Il secondo, L’infelicità del successo (Fazi), era invece il campanello d’allarme sugli effetti collaterali di quella stessa economia della conoscenza così enfatizzata qualche anno prima: superlavoro, diseguaglianza sociale crescente, aumento della povertà e dell’esercito dei working poor. Ora Reich ritiene che la vita americana debba essere riportata sui binari giusti della tolleranza interna e della cooperazione internazionale partendo dallo sconfitta dei radcon, cioè dei conservatori radicali.
Nel libro, lei sostiene che la forza dei radcon sta nell’aver saputo interpretare la rabbia di una parte consistente della popolazione americana. Può spiegare meglio il suo pensiero?
L’economia statunitense è cresciuta vorticosamente negli ultimi tre, quattro lustri. Eppure, con l’esplosione della bolla finanziaria gran parte della middle class ha visto i propri redditi diminuire. Inoltre, più le corporations perdevano in borsa, più il reddito del top management si impennava verso l’azimut. Molte imprese, per di più, alteravano i bilanci per arraffare gli investimenti dei piccoli azionisti: la perdita di fiducia si è così trasformata in rabbia e ansia per il futuro. Con l’11 settembre gli Stati uniti si sono sentiti sotto tiro. I radcon hanno cavalcato l’onda della frustrazione e della rabbia, proponendo parole d’ordine chiare e comprensibili a tutti. «Vogliamo gli Stati uniti forti e sicuri», «vogliamo abbassare le tasse», «i vostri soldi sono vostri e non devono esser spesi per mantenere chi non vuol lavorare sodo»: questi i leit motiv della propaganda repubblicana che hanno favorito il consenso elettorale verso Reagan e Bush padre negli anni `80, e ora di Bush figlio.
I conservatori radicali hanno operato una tenace e paziente «lotta di classe» dal punto di vista culturale. Hanno fatto appello a un immaginario spirito americano, dove non c’è spazio per la tolleranza e l’attenzione verso i poveri. Si sono scagliati contro i gay, il femminismo, l’aborto e gli interventi statali a sostegno dei più poveri, invocando sicurezza e ordine. Per anni e anni hanno puntato l’indice verso i «traditori» interni, colpevoli – nella loro martellante propaganda -, di consegnare il paese nelle mani degli «anormali», cioè chiunque, uomo o donna, praticasse il sesso al di fuori del matrimonio, mentre i loro opinion maker parlavano di collusione con il nemico quando si esprimeva una posizione «pacifista». I responsabili della perdita di acquisto dei salari della middle class sono diventate le ragazze-madri o i «liberal» che parlavano di multilateralismo.
Di fronte a questa martellante campagna politica, i liberal e il partito democratico si sono limitati a rintuzzare i conservatori radicali, ritirandosi quasi inorriditi quando la polemica diventava accesa. Più i radcon alzavano la voce, più dicevano falsità, più i democratici si ritiravano in buon ordine, quasi avessero paura di manifestare le loro idee. Eppure tutti i sondaggi dicono che i valori liberal hanno la maggioranza dei consensi, come documento nel libro. Ad esempio, nelle elezioni presidenziali del 2000, le aree urbane della East e della West Coast hanno votato Gore, mentre l’America profonda ha votato Bush. Il voto popolare ha dato ragione a Gore, ma la Corte suprema no. E qui veniamo alla lunga gestazione della vittoria dei repubblicani.
Reagan prima, Bush padre poi hanno nominato giudici superconservatori, spostando la bilancia a favore dei repubblicani. Mai nella storia statunitense la Corte Suprema è stata così politicizzata. Poi è stato riformata la legge sui finanziamenti dei candidati nelle elezioni di ogni ordine e grado e un fiume di soldi è affluito ai candidati repubblicani. I radcon hanno saputo sfruttare l’alleanza tra il grande business e l’estrema destra evangelica, usando un linguaggio semplice con profonde venature populiste e xenofobe. Per quanto riguarda il presente, la guerra in Iraq voluta dai repubblicani è usata da Bush per evitare di parlare della crisi economica, delle diseguaglianze sociali, del fatto che quasi 45 milioni di americani non hanno la copertura sanitaria, che i salari sono fermi da anni. Se infine guardiamo ai media, scopriamo che gran parte dei network televisivi e radiofonici sono sotto il controllo dei radcon. Sul loro operato vale la frase di Orwell: se ripeti all’infinito una bugia, quella diverrà la verità.
Oltre a questa «guerra civile culturale» ce ne è un’altra che non trova molto spazio nella discussione pubblica. Mi riferisco a una strisciante guerra sociale. Sembra infatti che i radon abbiano dichiarato guerra alla classe operaia e alla middle-class…
Si, possiamo vederla anche così. Le diseguaglianze sociali sono aumentate e continuano ad aggravarsi. I radcon hanno abbassato le tasse, eliminando la progressività del sistema di tassazione americano. Ora un manager con uno stipendio di alcuni milioni di dollari paga le stesse tasse di chi guadagna 100-200 mila dollari l’anno. Se poi ci spostiamo alla base della piramide sociale scopriamo che un operaio con un salario poco sopra la soglia della povertà paga in percentuale più tasse di chi guadagna trenta, quaranta volte tanto. Tutto ciò lo dobbiamo ai repubblicani.
Nel libro «L’economia delle nazioni» lei faceva un’apologia dell’economia della conoscenza. E’ stato il periodo d’oro della «new economy», mentre la retorica sulla deregulation e la liberalizzazione dei mercati ha raggiunto il suo apice. Fattori che hanno favorito la crescita delle diseguaglianze sociali. Non crede?
Certo, è stato così. E tuttavia io sostenevo un’altra cosa. Cioè che gli Stati uniti erano al centro di un’economia sempre più interdipendente e che non valeva tanto la pena difendere il made in Usa, quanto diventare un luogo dell’eccellenza nella ricerca e sviluppo, nell’innovazione. Il governo doveva investire nell’educazione, nel miglioramento delle scuole pubbliche, nel favorire l’accesso alle università private a chi lo meritava anche se non poteva pagare le rette scolastiche. Eravamo di fronte a un fenomeno inarrestabile, la globalizzazione, e pensavo e penso tuttora che per meglio reggere la sua forza d’urto gli Stati uniti dovevano investire nella formazione intesa in senso lato: centri d’eccellenza sicuramente, ma anche ottime scuole pubbliche. Le scelte delle diverse amministrazioni sono andate in un’altra direzione e le nostre scuole non sono certo un esempio che stimola l’imitazione.
Gli analisti-simbolici di cui lei parla spesso manifestano uno stile di vita tollerante e cosmopolita, ma poi hanno appoggiato un nazionalista come Bush. Insomma, cosmopolitismo, tolleranza, ma appoggio ai repubblicani: non è una contraddizione?
C’è stata sicuramente un’alleanza tra il grande business e il partito repubblicano, ma questo partito è dominato dall’estrema destra evangelica. Per le grandi imprese è come aver venduto l’anima al diavolo. Nell’immediato hanno visto ridurre le tasse: ma in futuro cosa accadrà? Quando si restringono gli spazi di libertà, quando si limita il dissenso si crea un clima sfavorevole agli affari. I conservatori sono nazionalisti, i liberal no. Una regressione nazionalista danneggia e non favorisce l’economia.
La sicurezza nazionale è stata usata per legittimare la guerra preventiva. Ma in Iraq gli Stati uniti non sembra che stiano vincendo la guerra…
Si, non stiamo vincendo la guerra. E fa bene Kerry a dire che l’intervento in Iraq è stato un madornale errore. I democratici devono dire di più: che Bush padre aveva fatto bene a non entrare a Baghdad, perché aveva capito benissimo che sarebbe accaduto quello che sta succedendo ora.

 

Perché i liberal vinceranno ancora - RASSEGNA STAMPA

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