Mario Gamba
Questa sera o mai
Storie di musica contemporanea
Una inedita, informale e brillante “guida all’ascolto” delle più significative esperienze contemporanee in campo musicale. Attraverso le proprie esperienze d’ascolto, finemente e piacevolmente narrate, Mario Gamba guida il lettore in un eccitante itinerario attraverso i migliori risultati della musica “alta” e del jazz di oggi. Secondo l’autore, per restituire all’ascoltatore il piacere della musica contemporanea, non ci si può esimere da una critica corrosiva delle istituzioni musicali, che in Italia – come in altri paesi – continuano a privilegiare da un lato un ormai ripetitivo repertorio classico, dall’altro i versanti più accademici e asfittici della musica d’oggi. Racconti di eventi, note polemiche, interviste, brevi saggi: gli scritti che compongono il libro scorrono l’uno dopo l’altro come elementi di uno stupefacente polittico, le cui figure si chiamano John Cage e Anthony Braxton, Arnold Schönberg e Miles Davis, Luigi Nono e Heiner Goebbels, Giorgio Battistelli e Cecil Taylor, Pierre Boulez, Bruno Maderna, Keith Jarrett e tanti altri, disciplinati e ribelli.
– 01/03/2004
Questa sera o mai – Storie di musica contemporanea
Un testo da leggere tutto d’un fiato, senza indugiare nella ricerca di analisi dettagliate, pieno com’è d’intuizioni (più che di riflessioni) sull’agire musicale di oggi, su una contemporaneità di cui, sin dal titolo, viene evidenziata/privilegiata la dimensione unica e irripetibile, quella tipica di un’improvvisazione o di un’esecuzione non costretta nelle inflessibili maglie di una partitura: “Questa sera o mai” muove da questa prospettiva verso le propaggini più radicali non soltanto del jazz, ma anche della musica cosiddetta eurocolta.
Un libro che non si riduce a mera cronaca, ma raccoglie brillanti annotazioni sugli argomenti più disparati lungo quindici capitoli in forma di suites, incorniciate tra una premessa metodologica e un’intervista che fà da epilogo chiarificatore.
Una pecca del lavoro di Mario Gamba, collaboratore del Manifesto e del TG3, si può rintracciare nella polarizzazione, piuttosto drastica, se non anacronistica – a volte evidente, in altri casi coglibile in filigrana – tra i termini di “avanguardia” e “reazione”, nell’insistito e semplificatorio richiamo a (vere o presunte) “rivolte musicali”- per dirla con l’autore – capaci di mettere “in crisi le istituzioni” (ma spesso, aggiungiamo, non altrettanto capaci di resistere alla tentazione di diventare istituzioni esse stesse).
Non appare, infatti, condivisibile la pretesa di incasellare questo o quel personaggio nell’una o nell’altra categoria: a Coltrane, per esempio, si imputa di non riuscire a “spezzare l’ultima gabbia di regole compositive-improvvisative, le ultime tracce della tonalità e della modalità” (questo si legge a pag. 17): ma c’è da chiedersi se qui non vi sia una forzatura delle intenzioni dell’ultimo periodo musicale del sassofonista, non contestualizzate dall’autore nel processo di ricerca ancora in fieri (purtroppo interrotto dalla morte prematura) e soprattutto non riconducibili alla dicotomia “avanguardia/non avanguardia”.
A questa non sfuggono nemmeno i “razionalisti pentiti” come Boulez, di cui si decanta, da un lato, il “vitalismo” delle ultime opere, e se ne critica, dall’altro (forse a ragione, ma con indebita confusione di piani) come “conservatore” l’irrigidimento nei confronti della popular music e del rock in particolare.
Più acuta la suite del secondo capitolo, che potremmo intitolare “il tempo e la durata”, focalizzata sullo scarto tra la percezione psicologica dell’evento musicale e il tempo quantificabile nel quale esso si svolge: interessante, in questo contesto, il confronto tra le opere smisurate dell’ultimo Morton Feldman o di LaMonte Young e quelle miniaturizzate di Webern o beffardamente private di ogni dimensione temporale da Ligeti.
“Engagé” è il titolo della terza “suite”, dove si legge, sotto il velo del disincanto, qualche (per certi versi legittima) nostalgia per l’impegno politico e sociale dell’intellettuale dei decenni precedenti.
Una perla è il frammento d’intervista del 1988 a Luigi Nono, dove il compositore veneziano valorizza la molteplicità e la veridicità delle istanze rivendicative del presente e rigetta le etichette del “riflusso” e della delusione, tutto proiettato (senza pose iperrazionaliste o dogmaticamente “radicali”) nella ricerca sul live electronics e sulla spazializzazione del suono.
Seguono -tutte abbastanza condivisibili, ma meritevoli di sviluppi più ampi- alcune divagazioni sulla difficoltà di raccontare la contemporaneità musicale a fronte della risonanza massmediatica riservata alle arti visive: ci si chiede, però, se quest’ultima non sia sovrastimata dall’autore e, soprattutto, se gli ostacoli all’informazione musicale e a un più attivo coinvolgimento dell’ascoltatore non siano da addebitarsi, oltre che all’intrinseca difficoltà della materia trattata, anche alla sempre più grave marginalizzazione dell’educazione ai suoni nell’Italia odierna).
Alle critiche pungenti verso la direzione consolatoria e retorica intrapresa dal minimalismo di Philip Glass e Steve Reich – che pure, con l’arma di una apparente semplicità, avevano negli anni ’60 e ’70 sbrecciato l’ipertrofico cerebralismo dell’avanguardia accademica – si avvicendano veloci assaggi di musiche e musicisti molto diversi, assaggi che non soddisfano la “fame” di conoscenza di chi vorrebbe accostarvisi né aggiungono altri elementi di reale comprensione a quanti desiderassero approfondire ciò che già sanno.
Ecco quindi susseguirsi un ritratto appena abbozzato di Keith Jarrett, fugaci schizzi sulla libertà dai codici e dai formalismi di Maderna e, soprattutto, un flash, pur interessante nella sua brevità, sul Lovely sound, quello, cioè tipico, secondo Gamba, di artisti che, soprattutto negli anni ’80, hanno inciso per l’etichetta americana Lovely (da David Behrman a Robert Ashley passando per Blue Gene Tyranny).
Un’estetica legata a dimessa quotidianità, a una medietà senza troppi velleitarismi “extra-ordinari” accomunerebbe questi autori; ma contro questa classificazione depongono altre incisioni di lavori eterodossi e sfuggenti alle abituali categorie, come quelli dell’ex artista fluxus Yasunao Tone o le audaci e per nulla carezzevoli sperimentazioni circuitali di David Tudor e Gordon Mumma: su queste sarebbe utile, per il disattento panorama italiano, un’adeguata opera d’informazione.
L’attenzione al superamento dei confini fra rock e “musica colta sperimentale”, poi, è limitata a poche pagine su Frank Zappa e Demetrio Stratos, senza menzionare gli Henry Cow e l’esperienza Rock in Opposition, o i Magma, solo per citare gli esempi più emblematici nel cosiddetto art-rock.
C’è spazio anche per qualche divagazione sulle innovazioni apportate al rapporto tra arti visive e musica, in ambiti e con metodi diversi (ma accomunati dalla reciproca autonomia tra le due dimensioni estetiche), dall’accoppiata John Cage-Merce Cunningham, da Iannis Xenakis, dalla film-maker Edna Politi (protagonista di una delle purtroppo brevi , ma spesso chiarificatrici, interviste presenti nel libro).
Rigidi schematismi – di una rigidezza non dissimile da quella che si rimprovera a bersagli polemici quali Riccardo Muti e Alessandro Baricco, o Maurizio Pollini e Pierre Boulez, sulla cui refrattarietà rispettivamente alla musica atonale o al pop vengono spese considerazioni di dubbio interesse per chi non ami sfruculiare le idiosincrasie altrui – ritornano nelle pagine dedicate agli autori ribattezzati frettolosamente come casseurs.
È un’ etichetta cucita su personalità troppo eterogenee, quali Henry Cowell, Harry Partch, Mauricio Kagel, Arnold Schoenberg, Cathy Berberian, Han Bennink.
All’originalità dello sforzo creativo di ciascuno di questi protagonisti del novecento è dedicato non più di qualche rapido tratto di penna, laddove l’attenzione si incentra su una (pretesa) volontà di radicale demolizione dei codici e delle abitudini musicali precostituite.
In ambito jazzistico, rapidi cenni, con taglio originale, inframezzati da cronache/critiche concertistiche, vengono dedicati agli spunti innovativi (specie per quanto riguarda l’approccio alla dimensione solistica), introdotti dal post-free: un’altra ricostruzione fittizia – nella quale sono indistintamente collocate le poetiche di Anthony Braxton, George Lewis, Steve Lacy, Evan Parker, che viene fatta oggetto di parallelismi, non ulteriormente elaborati, con opere di compositori “colti” europei.
Le dicotomie e gli anacronismi si sciolgono altrove: nell’eloquenza delle fotografie che corredano il testo e, soprattutto, nell’intervista finale a John Cage – uno dei (pretesi) casseurs– la cui disarmante arguzia non viene meno neppure nella pagina scritta.
Utile a non perdere la bussola nel mare di nomi e aneddoti si rivela la succinta discografia ragionata che chiude il libro.
– 03/07/2003
Incursioni nella musica ribelle
Mi intendo poco di musica e per niente di “musica contemporanea”. Anche se sul temine, giusto ma parziale, s’interroga l’autore, da sempre musicologo per il manifesto, Alias, e per il Tg3. Parziale perché raccoglie tutto e niente, e perché difficilmente rientra in uno dei codici attraverso i quali si “legge” (si ascolta) la musica. Mario Gamba propone una lettura non convenzionale e neppure necessariamente colta ma il più possibile “sovversiva”, cioè fuori dai canoni, fuori dalle regole del mercato, fuori dalle categorie obbligate. “Contro i musei della cultura polverosa ed esclusiva – scrive – contro i musei del moderatismo populista”, Gamba propone una ricognizione di ciò che “ci aggredisce, ci fa pensare, ci ammalia, sconvolge tutti i nostri piani d’ascolto”. Convinto che le rivolte musicali non nascano necessariamente nei laboratori “colti”, l’autore di Questa sera o mai è andato a cercare tutto quello che tracima fuori dalla cosiddetta musica popolare: nel caos, nell’indeterminatezza, nella ricerca incompiuta. E mescolando racconti, interventi, interviste, brevi saggi: un’evasione dall’accademia anche se mascherata da avanguardia, ma anche dalla normalità del presente, che è invece ricco e assoluto. E’ senza dubbio un libro “competente” ma al tempo stesso non è solo per addetti ai lavori, dal momento che si legge come un grande racconto, che non ha una fine e forse neppure un inizio, ma che si srotola intrecciando culture e armonie e che comunica ritmi e propone incursioni inedite. Ricca e interessante anche la sezione finale, dedicata alla discografia minima che raccoglie gli autori e i gruppi migliori.
– 02/08/2003
“Questa sera o mai”, un assolo in prosa dedicato alla musica contemporanea
A pagina 26 di Questa sera o mai, Storie di musica contemporanea, Fazi editore, 147 pagine, 15,50 euro, Mario Gamba chiude il suo primo capitolo con un invitante P.S. “Avanguardia sì. Quella di Roscoe Mitchell e Patty Pravo, quella di John Cage e Patty Smith, il modo dissoluto e sovversivo di studiare linguaggi e provarli in pubblico che riguarda tutti quelli che non ci stanno. Moltitudini. Altro che élite. Altro che roba difficile (come direbbe Alessandro Baricco, il conformista). Musica facile: da conflitto, da pensiero non bizantino, diretto e stravolto come sono i flussi del pensiero discordante e comunicante”.
E’ un assolo ben concertato, ritmico, veloce, trasfigurato, prorompente e generatore di altri assoli a sorpresa fino Alla fine, capitolo che chiude il libro con un duetto in punta di piedi tra Gamba e Cage, John Cage.
Mario Gamba che musicista non è, ma navigato narratore di musica e ritrattore di musicisti certamente sì, e da tanto, scrive per il Manifesto, Alias e il TG3. Le foto di Marcello Mencarini illustrano con visioni oblique le pagine del libro, in copertina si affaccia un pianola-giocattolo su grandi fogli di pentagramma e un complicato diagramma in primo piano, object trouvè di Salvatore Sciarrino. Giorgio Battistelli, Frank Zappa, Pierre Boulez, Merce Cunningham, Sylvano Bussotti e Moana Pozzi ci guardano in ben fuori dalle accademie e dai conservatori.
Insieme a loro, Luigi Nono, Philph Glass, Anthony Braxton, Iannis Xenakis e altri musicisti d’oggi, dell’oggi di prima, di quello del Novecento e di quello d’adesso, transitano, in libertà di pensiero e d’azione, nell’ampia – velocemente incessante – suite di questa scrittura che sfugge alla codificata forma del saggio scientifico e del trattato accademico. Se la si legge con gli occhi scorre automatica ed elettrica fin dentro l’Ulisse di Joyce, padre anche di tanta musica contemporanea priva di punteggiatura, di codici, di grammatica figurativa, di struttura sintattica. Se si legge ad alta voce suona e strepita come l’Art Ensemble, Heiner Goebbels o Cecil Taylor.
La posta in gioco, in ogni movimento di questo libro è alta: stendere una mappa asistematica e plurisensoriale per orientarsi come individui o come pubblico nelle seduzioni offerte dalla migliore forma di musica possibile, la musica radicale. Quella che supera la storica rottura dell’ordine tonale, non quella che lo restaura. Può trattarsi di Bruno Maderna, Luciano Berio, Franco Donatoni, Karlheinz Stockhausen, Keith Jarrett, Demetrio Stratos ma da qualche parte nei loro corpus di note, suoni, rumori, voci, silenzi si nascondono zone erogene che – pigiate come pistoni di tromba o tasti di piano – scatenano vibrazioni inaspettate, inaudite, fuori dal comune senso del pudore musicale accademico e filarmonico.
Musica del desiderio nella sonante sinuosa scrittura di Mario Gamba che produce un’accellerazione delle sensazioni uditive, tattili e visive per l’abbraccio frequente con teatro, video, pittura, poesia. La moltiplicazione dei sensi filosofici e corporei è assicurata – insieme ad una migliore disposizione al contatto vitale – tra un affanno materiale e uno esistenziale. Sarebbe piaciuto Questa sera o mai a Giacomo Leopardi e a Marco Manca, ai paroliberisti e ai rumoristi futuristi. In chiusura una discografia “personale e leggermente faziosa” – e per questo preziosa – suggerisce esperimenti a lettori curiosi e ascoltatori speciali, percorsi e ricerche pratiche del Punto G nel polimorfo, plurilingue, polimaterico corpo della musica contemporanea. Il libro è stato presentato lo scorso 15 luglio sul palco di Umbria Jazz alla presenza di Mariapia De Vito, Francesco Mandica, Letizia Renzini.
– 30/08/2003
Gamba, Frammenti di storia Musicale
“Il coro degli anatroccoli” si chiama la micro pianola (otto tastini con altrettante testoline di paperelle tutte colorate ) scelta come immagine di copertina di questo libro che non è, come si potrebbe a questo punto supporre, un catalogo di strumenti giocattolo ma un raccolta di Storie di musica contemporanea. sfogliando, poi, la sezione fotografica, contenente bei ritratti creativi di alcuni dei musicisti raccontati, il lettore incuriosito scopre trattarsi di un dettaglio dello scatto dedicato al compositore Salvatore Sciarrino, irriducibile estremista nella ricerca dei linguaggi musicali, che, per intenderci, ha intitolata una sua ultima, monumentale composizione . E un signore del genere, che immaginiamo compunto e perennemente accigliato, si fa ritrarre, lui sullo sfondo, con in primo piano un oggettino simile? I conti non tornano: o l’esimio maestro ha improvvisamente perso la bussola oppure l’immaginario collettivo è completamente fuori strada. Gamba propende senza mezzi termini per questa seconda ipotesi. Ci tiene molto a sfatare il luogo comune che vuole le musiche più libere del ‘900, quelle nate in antitesi al manierismo dell’accademia dentro e fuori dai conservatori, insopportabilmente seriose. Da qui la scelta impellente di una copertina così emblematica: suoni radicali sì ma giocosi, sconnessioni sintattiche senza limiti dispensate con leggerezza e ironia. Con una tale premessa, un uomo solo poteva essere il nume tutelare di tutto il libro e così è stato: John Cage. La sua idea di una musica della contemporaneità ricca e stimolante, come quella di Gamba, prevede l’agire indisturbato della casualità, l’essere sempre in grado di lasciarsi sorprendere senza mai chiudersi pregiudizialmente rispetto a nulla. Che è poi una visione filosofica non solo di come dovrebbe essere il processo creativo nell’arte ma, in definitiva, della vita stessa. Altro fuorviante preconcetto da smantellare: questa musica è incomprensibile. Il problema è un altro: “Il guaio di molti lavoratori contemporanei non è che sono difficili ma che sono scolastici. Quindi moderati. Quindi noiosi”.
Il libro contiene una serie di piccoli saggi, brevi resoconti di eventi musicali, frammenti di interviste e recensioni di dischi redatti con una scrittura arguta, colta e stimolante, piena di rimandi extramusicali, capace di dispensare incondizionati elogi ma anche caustiche stroncature. Il tutto assemblato adottando una struttura di composizione simile a quella della suite. Infatti, rispetto al titolo del capitolo, peraltro quasi sempre di carattere evocativo (“ In mare aperto”, “ Morte a Venezia?”…), i” movimenti” eterogenei del discorso, pur mantenendo un’evidente unità di fondo, si sviluppano in maniera autonoma. Le ultime pagine riservate ad una dettagliata “ Discografia minima”, ideale compendio pratico al resto del libro, un utilissimo strumento per procedere, scegliendo il meglio, con i necessari ascolti per riscoprire o scoprire integralmente alcuni capolavori della musica contemporanea, con le firme che vanno da Luciano Berio a Billie Holiday, da Arnold Schonberg a Demetrio Stratos.
– 16/06/2003
Il critico Gamba “Clima sbagliato all’Auditorium”
“Parlando di luoghi per la fruizione della musica a Roma, molte cose ci sono da dire. Da qualche tempo la tavola musicale romana è riccamente imbandita, anche se, per esempio durante il periodo estivo, si rischia la sovrabbondanza e perciò l’imbarazzo nella scelta dell’evento da seguire. Negli ultimi anni, locali come La Palma, uno dei più interessanti, hanno contribuito a riportare i migliori rappresentanti della scena jazzistica e non solo. Ma la nuova delusione è il nuovo Auditorium. Bellissima costruzione architettonica, un grande dispendio di intelligenza ingegneristica, ma un vero errore culturale. E’ un luogo a metà tra un sacrario e un istituto penitenziario. Addetti in divisa, dotati di radio che ti guidano all’interno della struttura senza perderti d’occhio un istante e una certa aria orwelliana che tutto induce meno che a quell’idea di libertà e di anarchia che la musica necessita”.
Mario Gamba, giornalista del tg3, esperto di musica, è l’autore diQuesta sera o mai(fazi editore), un’inedita e brillante “guida all’ascolto” che si presenta stasera alle ore 21, alla libreria Bibli, in via dei Fienaroli 28, con il critico letterario Andrea Cortellessa e i musicologi Guido Barbieri e Giordano Montecchi.
Attraverso le proprie esperienze d’ascolto, Gamba guida il lettore in un itinerario attraverso i migliori risultati della musica “alta” e del jazz di oggi. Non ci si può esimere da una critica corrosiva delle istituzioni musicali, però, secondo l’autore, che in Italia come in altri paesi continuano a privilegiare un ormai ripetitivo repertorio classico e i versanti più “asfittici” della musica di oggi.
“L’ambiente musicale romano – dice – è molto meno provinciale di quello di altre città italiane. Ma la separazione è il guaio principale. I musicisti e gli esperti di musica, come un po’ ovunque, vivono separati. Con appena qualche eccezione di commistione e interesse per discipline diverse, come nel caso del bravo Liugi Ceccarelli che spazia dalla musica elettronica alle percussioni balinesi o ai riferimenti all’heavy metal. L’interruzione dei compartimenti stagni tra i diversi stili musicali è un buon segnale, ma ci vorrà ancora del tempo prima che si arrivi ad un vero spazio sonoro comune che determini una reale rivoluzione”.
– 17/06/2003
Cos’hanno in comune Zappa e Nono? Semplice: la loro musica fa ancora Paura
Ci voleva il libro di Mario Gamba Questa sera o mai (Fazi editore) per sfatare il vecchio adagio a proposito della musica contemporanea: musica noiosa, distante dal pubblico, rarefatta al punto di dissolversi in una brodaglia intellettualistica, lasciata macerare con più di un pizzico di noia. Luogo comune che diventa luogo aperto, “mare aperto” come ci lascia intravedere Gamba in questa raccolta di saggi che ripropongono un buon teorema spesso dimenticato dalla contemporaneità critica, non da quella musicale: quello della musica come concetto, non solo mercato. Scartavetrata dal conformismo la storia di molti musicisti appare in questo libro non una semplice carrellata ma una via crucis affatto dolorosa dove le stazioni sono le memorie di un critico sui generis come è l’autore: meravigliosamente sperso fra una distrazione proverbiale ed un acume non comune. Spiazzante la sua conoscenza musicale, incalzante il suo lirismo narrativo, teatrale quando ha il coraggio di definire conformista uno come Baricco, che questa musica ha veicolato all’insegna dell’è difficile, ma ve la spiego io, così anche voi, povere palle di sterco, capirete-. Ed è proprio questo il merito di un libro così, anticattedratico ed approssimativo, Questa sera o mai non pretende di spiegare nulla, nulla pretende di insegnarci, se non che la musica, indissolubilmente, è parte del tessuto connettivo del novecento, dunque afflato culturale, memoria, disillusione, eversione. Fuori i nomi: Luigi Nono, Pierre Boulez, John Cage, ma anche Frank Zappa e Keith Jarrett, insieme a Patty Smith. Cosa hanno in comune? L’idea di una rivoluzione, forse sopita solo dalla distanza che questi artisti hanno creato con il loro distacco dalla realtà vivificante della comunità auditiva, azzardando, del popolo. E’ qui che il libro si inserisce, nel tentativo, riuscitissimo, di colmare questa distanza, di proporci suggestioni che possano flirtare con la nostra curiosità, coinvolgendoci. Parlando della scuola di Darmstadt, del puntillismo o del concerto di Colonia di Jarrett, Gamba tira fuori una penna epica e romantica che per contrasto si adatta clamorosamente alla seriosità degli argomenti. Pagine che costeggiano rive e derive narrative, quasi da romanzo di formazione. Perché forse si può essere romantici anche ascoltando in cuffia una composizione di Sciarrino, la sfida, anzi, sembra essere proprio questa. Per tutti quelli che non vogliono sentirsi carne da macello, come le famose vacche del Wisconsin celebrate da Muti e Baricco, quelle che danno più latte quando ascoltano musica “veramente classica”.
– 14/06/2003
Musiche sregolate
Questa sera o mai, ultima fatica di Mario Gamba, si può leggere davvero in una sola notte. Vi è disegnato un paesaggio variegato, composto da musicisti “non popolari” (e il termine assume più significati), che presto assumono le sembianze di “personaggi principali” di un racconto, quello della musica contemporanea più radicale e ‘desiderante’, nel quale fanno capolino e vengono riproposti con frequenza inversamente proporzionale alla retorica del loro linguaggio compositivo.
Gli autori che meglio mantengono la promessa entrano in scena subito, fin dal primo capitolo: Heiner Goebbels, Pierre Boulez, György Kurtàg… . Vi si affiancano alcuni mostri sacri, numi tutelari dell’avanguardia: John Cage, La Monte Young, Morton Feldman, Karlheinz Stockhausen ed altri, numerosi, che sono contemporanei in una più vasta accezione del termine, precisata in alcuni statement fusi nel testo, sorta di dorsale ‘estetica’ del volume. Tra questi, la convinzione che le regole “costringono, inutile negarlo. Mai quanto i modi di pensare, di essere, di insegnare che finiscono per introdurre regole ovunque, anche dove sembrano fuori luogo per definizione: così le abbiamo tonali, atonali, dodecafoniche, rumoriste, aleatorie. Resta spazio per ribellioni creative”. L’idea di ‘rivolta’ ricorre generosamente: “le rivolte musicali non mancano. Contro i musei della cultura polverosa ed esclusiva, contro i musei del moderatismo populista”. Ed è proprio così, dacché il presupposto della cosiddetta ‘difficoltà’ di certa musica d’avanguardia, e la ‘facilitazione’ un po’ meretricia con la quale si producono musiche col solo intento di facilitarne la fruizione alla fine poggia sul falso presupposto che la gente comune, il ‘popolo’ appunto, non possa essere in grado di accogliere, capire, amare anche le strutture complesse o radicali (dove il termine ‘complesso’ implica un dato quantitativo e non un giudizio di qualità). E tuttavia apparve tra gli apostoli dell’antimperialismo militante un Cornelius Cardew che attaccò proprio Stockhausen e Cage, e poi andò a suonare nelle fabbriche, ripescando armonia e arpeggi minori. Ma Gamba è raffinato, non pone la questione della tonalità come dirimente, perlomeno non nel testo, laddove numerosissimi esempi lo conducono ad apprezzare brani che, pur tonali, appaiono comunque ‘radicali’, ribelli, forse eversivi. Dove l’intento sia invece quello di ‘restaurare’ un ordine già frantumato, allora sarà la musica non tonale ad avere maggiori possibilità di trasformarsi secondo Gamba in avventura di comunicazione anche “desiderante”. Lo stesso autore non manca però di raccontarci come alla Biennale Arte accorrano Tg e giornalisti dell’ Unità, e che così avveniva ai tempi di Nono anche per la Biennale Musica; “adesso quella passione è svanita. Intorno, nei media, in Italia””. Come mai? Potrebbe esserci una risposta nella conversione post-moderna delle avanguardie? Del “postmoderno in musica” viene indicata una definizione rigorosa: “un certo uso corrente lo fa equivalere a concetti come questi: plurilinguismo, molteplicità dei richiami temporali, indifferenza alla coppia di opposti tonalismo-atonalismo, eclettismo, citazionismo. Autori che non confidano nel percorso rettilineo verso la sperimentazione sarebbero, secondo questo uso corrente, postmoderni. Meglio (molto meglio) dire che si tratta di autori non dogmatici e perciò squisitamente contemporanei”. Eppure eclettismo e citazionismo caratterizzarono una delle aperture di Stravinskij contro le regole di Schönberg. Ansermet, che le criticò cadendo purtroppo in una apologia del tonale, fu ignorato ed isolato pur avendo individuato proprio nelle ‘regole’ della dodecafonia la difficoltà del suo radicamento . Qui soccorre una bella intuizione di Gamba, quando suggerisce che al di là dell’edulcorato Schönberg da salotto, una componente ‘barbarica’ fosse presente anche nella sua produzione. E quando definisce Goebbels come il compositore più interessante della generazione post-moderna: “Lui propone in versione “radicale” il criterio dell’uso a tutto campo di una pluralità di linguaggi. Non sposa la “contaminazione” pensando che così ci si accomoda sul sofà …Si trovano nella sua musica richiami etnici, hard-rock e underground-rock, free-jazz, improvvisazione tonale, radiodramma, teatro, neoavanguardia europea e americana, musica da film, pop music… Richiami? Molto di più. Nei suoi lavori ci sono tutti questi idiomi nella pienezza del loro messaggio comunicativo dentro la miscela rigorosa da cui scaturisce un ulteriore linguaggio”.
Nel libro i ‘brutti’ sono forse Baricco, Sgalambro, alcuni critici ‘postmoderni’; ed i ‘cattivi’ i musicisti colti che non hanno compreso l’importanza del rock, tra cui Boulez. Una nube avvolge Nyman, Adams, Bryars. Qualche randellata per Glass e Mertens. Appare tra parentesi Brian Eno, ed una volta sola Giacinto Scelsi. Spesso c’è Gianni Emilio Simonetti ma non i radicalissimi Marchetti e Chiari. E proprio per questo è un volume stupendo, perché mai cerchiobottista, per la raffinatezza delle scelte critiche, per le intuizioni dirimenti non tanto tra autori diversi, quanto tra opere più o meno riuscite perché ‘rivoluzionarie’. Un libro che riesce nell’intento di occuparsi anche di “politica della musica” e che nella sua unicità è indispensabile davvero leggere in una sola notte, e tenere a lungo sul comodino.
– 23/05/2003
Mozart versione 2003
Ho un accordo tacitocol mio vicino di pagina, per cui non scrivo di libri in questa colonna. I libri, qui sono campo suo. Stavolta Corrado Augias non me ne vorrà se contravvengo. Ma Questa sera o mai, bel saggio di Mario Gamba, pone una questione, esposta con bella franchezza e gagliardia di stile, su cosa debba intendersi per”musica contemporanea”. Sulla questione vorrei intervenire.
Gamba pone un limite, giustamente, all’orgia di ibridazioni in cui la musica oggi versa. La musica, oggi, potrebbe sembrare la buia notte dei filosofi idealisti dove tutte le vacche erano nere. Il riuso di certi scadenti tonalismi che passa per rivoluzionario è, per Gamba, stancamente conservatore. Gamba non è preso dall’ossessione del nuovo per il nuovo: chiede che ogni autore esprima la sua novità senza maschere dottrinarie: è per l’avventura dello spirito; e non posso che essere d’accordo con lui, piché solo in questa chiave vanno ascoltati e messi sullo stesso corso, per esempio, l’ultimo Boulez o Battistelli, Gobbels o Coltrane. L’esperienza del linguaggio espressivo è esperienza di emozioni, passioni, idee che riescano a trovare campo e corpo di per sé. Il guaio non è pensare la musica in termini di “socializzazione del prodotto”, ma restando di qua dalla soglia d’una reale forma individua possibile. A Gamba obietterei che non si tratta di lasciare esaurire l’esperienza dell’arte al minuto secondo dell’oggi; ma di avvertire invece in essa una necessità nelle nostre esigenze conoscitive per cui, pure se segnata per data al passato, nella sua avventura, ancora non si è compiuta. Poi, certo, c’è l’arte che appartiene alla Storia e anch’essa non può che essere nostro patrimonio: ma questo è un discorso diverso. Anche l’esecuzione di un classico, senza che niente in esso sia stato adulterato o stravolto può apparire, in questa chiave, “contemporaneo”. Se ascoltate tre sonate di Mozart, più la fantasia in fa minore, incise di recente da Alfred Brendel (la sonate sono: k310, k311, k533/494), l’impressione che ne avrete è che quel tocco, quello staccato leggero e denso, quasi ritagliasse la nota da un originario e vergine silenzio, non sarebbe stato possibile senza che nella letteratura pianista fossero apparsi i pezzi per piano di Webern o Cecil Taylor, senza insomma un uso della tastiera propriamente “contemporaneo”.
– 22/05/2003
Freschi di stampa. Mario Gamba “Questa sera o mai”
Che si condividano o no i gusti di Mario Gamba, queste sue “storie di musica contemporanea” (così il sottotitolo) non possono non essere lette che con ammirazione e spasso. Ammirazione perché Gamba è un vero erudito in materia e come tale riesce a mettere in corto circuito esperienze e personalità anche molto diverse fra loro, facendole per così dire risuonare l’una nell’altra (o dell’altra). E si prova spasso perché dote essenziale dell’erudito è il suo sense of humour, la leggerezza del tratto e della notizia mai corriva. A lettura ultimata di questo catalogo che spazia da Nono a Cage a Frank Zappa e Patti Smith, si è tentati di insignire l’autore di un blasone ormai introvabile sulle pagine culturali dei nostri giornali: quello di autentico (e scapigliato) grand chroniqueur.