Stefano Chiodi

Una sensibile differenza

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Conversazioni con artisti italiani di oggi

Collana:
Numero collana:
137
Pagine:
408
Codice ISBN:
9788881127498
Prezzo cartaceo:
€ 35,00
Data pubblicazione:
23-06-2006

Venti artisti italiani raccontano l’arte dei nostri giorni attraverso ricordi, confidenze e riflessioni che comunicano in modo diretto la loro esperienza. Introdotto e curato da Stefano Chiodi, il volume raccoglie in ampie e approfondite interviste le parole di alcuni fra i maggiori protagonisti dell’arte italiana tra gli anni Novanta e Duemila, dai nomi più affermati ai talenti emergenti dell’ultima generazione, in modo da rappresentare la molteplicità di linguaggi, temi, interessi e scelte espressive originali che caratterizza il panorama delle arti visive nel nostro paese. Le interviste – in alcuni casi le prime in assoluto rilasciate dagli artisti – sono caratterizzate da un ritmo intenso e accattivante, di sorprendente qualità narrativa, e sono accompagnate da un ricco corredo di illustrazioni in bianco e nero nel testo che aiutano a visualizzare le opere di cui vengono via via svelati gli aspetti più riposti o i tratti più inconsueti e interessanti. Nel dare la parola agli artisti il libro offre così una testimonianza di prima mano sulla creatività contemporanea e insieme uno straordinario viatico per addentrarsi nei territori dell’arte più recente, rendendo il lettore partecipe dell’intensità poetica e dello spessore filosofico delle immagini, e stimolando uno sguardo più acuto, un rapporto più articolato e profondo con l’immaginario visivo del nostro tempo. Gli artisti intervistati: Mario Airò, Stefano Arienti, Elisabetta Benassi, Simone Berti, Rä di Martino, Christian Frosi, Giuseppe Gabellone, Stefania Galegati, Massimo Grimaldi, Marcello Maloberti, Domenico Mangano, Eva Marisaldi, Luca Pancrazzi, Diego Perrone, Gabriele Picco, Cesare Pietroiusti, Lorenzo Scotto di Luzio, Grazia Toderi, Vedovamazzei, Francesco Vezzoli, Luca Vitone, Tommaso Pincio.

UNA SENSIBILE DIFFERENZA – RECENSIONI

 

SPECCHIO
– 01/04/2008

 

Stefano Chiodi

 

 

 

Stefano Chiodi, FLASH ART
– 01/09/2007

 

Il cielo sopra Roma

 

 

 

ARTE
– 01/11/2006

 

Lo stato dell’arte

 

 

 

Irene Tedesco, TRECCANI.IT
– 05/11/2006

 

Stefano Chiodi, Una sensibile differenza.

 

a pag. XI: “mentre dichiarano la loro libertà da ogni vincolo, la loro necessità di un’individuazione imparziale e assoluta, gli artisti scoprono qualcosa che in effetti appartiene a tutti noi: la possibilità imprevedibile di una momentanea liberazione”.

l’idea: Stefano Chiodi critico e insegnante di storia d’arte contemporanea all’Accademia di Belle Arti di Macerata, ha scelto la formula dell’intervista per sondare il campo dell’arte contemporanea nell’Italia di oggi.
Senza dare un inquadramento singolo a ogni artista coinvolto, Chiodi porta sul palcoscenico direttamente gli autori, attraverso le risposte ai perché della loro arte e alle origini del ‘percorso di studi’ compiuto. Può così passare poi ai vari riferimenti che confluiscono nelle loro opere, provenendo dal personalissimo mare magnum culturale, mediatico, poetico e affettivo, che circonda l’artista, esautorandolo dalla mitica condizione di isolamento che la sua figura possiede, quasi fosse un’aura. Un dato caratterizza oggi l’operare dell’artista, così  come quello ognuno di noi; un dato che le generazioni precedenti non hanno conosciuto: la rete tesa di Internet e dei blog, la disponibilità/possibilità di condividere tutto il circuito e, quindi, la disponibilità di un’enorme quantità di informazioni fruibili, che induce il novello artifex “ad avere una relazione col mondo più diretta”.
I protagonisti del lavoro di Chiodi sono diciannove più la coppia Vedovamazzei, che vale chiaramente per due, sorpassando ma di poco, la definizione di ‘giovani’ all’anagrafe dello showbitz (ma il risvolto della medaglia è sapere quando nei fatti si oltrepassa la dicitura di ‘giovane’ per il sistema del mercato, della critica e delle gallerie).
Chiodi pone sul piatto della bilancia chi uscito dagli anni ’80 ha reciso ogni cordone con la scena artistica dei tre decenni post-bellici e ha invece intrecciato i fili dell’ironia di Piero Manzoni e Alighiero Boetti, domandandosi quale sia il senso dell’arte; e chi ha affrontato in presa diretta, con un interesse politico, la globalità straripante, contrapponendo la memoria ai passaggi veloci dei fatti, il valore emotivo delle immagini al tempo veloce della loro visione e metabolizzazione.

il commento: Il vero artista aiuta il mondo a rivelare le verità mistiche? Bruce Nauman, nella sua opera al neon The true artist helps the world by revealing mystic truths del ’67, non si pone la questione; piuttosto l’afferma, analizzando così il brulicante contesto dell’epoca. Come è cambiato il “fare arte” rispetto al passato? Gli artisti italiani sono bene informati, hanno studiato sui “Maestri del colore” del recente passato, ma, come ricorda Tommaso Pinto nella conversazione finale del testo, senza le esperienze innovative di Boetti, Ontani, De Dominicis l’individualità dell’artista non si sarebbe affermata, né si sarebbe affermato il nuovo linguaggio, filo diretto tra mente dell’artista e pubblico.
Soggettività artistica dunque, ma anche politica, sociale, come le immagini filmate dal palermitano Domenico Mangano che, amando l’occhio discreto del video, racconta ne La storia di Mimmo (1999) momenti del quotidiano nella vita di un uomo schizofrenico, dalla mente volta alla creazione di storie surreali. O anche i suoi più recenti Encastrolo, Too much Country e Too much NY,in cui l’esigenza di mostrare il dato reale, autentico e di denuncia sociale senza enfasi spettacolare, apre a un contesto ‘extra-sicilitudine’.
Pluralità di gusti e molteplicità di intenti: Francesco Vezzosi, con i suoi riferimenti cinematografici tra Dinasty e Pasolini, irride al senso del macabro e del cattivo gusto che la nostra società mette in prime time con gli infiniti reality,dando in pasto al pubblico i suoi Comizi di Non Amore del 2004. Il dentro e fuori nella vita di un artista, il rispecchiarsi nella coppia come nel caso Vedovamazzei e il continuare ad esserlo nella vita artistica, sono elementi che appaiono dietro la parete, in questo caso di alcune librerie, all’apparenza riempite di libri e in verità inframmezzate da frammenti di storie.
Gli artisti italiani nel complesso vivono la loro attualità contrapponendo attrazione e repulsione, rendendo “questa capacità di manifestare una densità in movimento, stratificata, incomprimibile, questa memoria lunga che gioca con la possibilità di preservarsi o di distruggersi definitivamente, la stessa inadattabilità sociale divenuta materiale da costruzione, la spinta a pensare al di fuori, la percezione di uno spessore memoriale nelle cose, l’acuta coscienza di essere in bilico, […] la sensibile differenza che l’arte italiana di questo inizio secolo manifesta in un itinerario artistico ormai vertiginosamente esteso a tutto il pianeta”.

 

Marco Vallora, SPECCHIO – LA STAMPA
– 28/10/2006

 

La finzione e il riflesso

 

 

 

Marco Belpoliti, STILOS
– 26/09/2006

 

Stilos

 

 

 

Federica Tammarazio, TEKNEMEDIA.NET

 

Intervista a Stefano Chiodi

 

Quattro chiacchiere con Stefano Chiodi, critico e curatore, autore del saggio Una sensibile differenza, che ci offre la sua visione del panorama dell’arte contemporanea in Italia.

Partiamo dalla recensione del volume pubblicata su Teknemedia?
Sì. Mi ha colpito l’affermazione che lo stile del volume sia più espositivo che “critico”, perché dal mio punto di vista le cose stanno esattamente al contrario. Il tono che ho scelto è in effetti frutto di una scelta ben precisa: chi fa le domande si defila non tanto perché non abbia niente da dire ma perché fa giustamente prevalere la modalità dell’ascolto. Le mie interviste tentano di penetrare all’interno al laboratorio dell’artista, dei suoi processi mentali, delle microscelte che alla fine contano di più: esplorano quindi consapevolmente le diverse attitudini creative, non si limitano a chiedere opinioni generiche ma cercano di illustrare la difficoltà, la diversità di scelte concrete degli artisti. L’operazione critica quindi c’è eccome, ed è tutta rivolta alla “apertura” di quella dimensione interna, spesso non verbalizzabile, che ha rare occasioni di venire in luce. Gli artisti raccontano ciò che sta dietro loro singole scelte creative, ciò che agita la loro mente, i modi con cui un lavoro emerge dallo sfondo buio, prende consistenza e durata. non lo È questa secondo me la qualità specifica del libro.
Perciò a suo parere l’approccio critico del libro sta nel offrire un mezzo all’artista per delineare il proprio profilo.
No, non esattamente: la valenza critica sta nella decisione di fare il libro con certi artisti e non altri e porre loro determinate domande, “tagliate” sulle singole personalità. Non mi interessava affermare il mio “gusto”, le mie preferenze, che ovviamente esistono, ma svolgere un’indagine approfondita sulla realtà dell’arte italiana degli ultimi quindici anni. All’interno di questo scenario ho cercato di cogliere sfumature e differenze anche perché sono convinto che proprio nella pluralità di direzioni e sensibilità sia una delle chiavi per la comprensione dell’arte italiana contemporanea. È un’operazione non tentata in Italia in tempi recenti, a quanto mi risulta. Il che ovviamente non vuol dire rinunciare alla possibilità di prendere una posizione critica vera e propria, di svolgere una necessaria selezione: questo è ciò che faccio quando scrivo sui giornali o sulle liste.
Mi permetto un paragone importante: è un’operazione simile a quella pensata da Carla Lonzi in Autoritratto.
Autoritratto è senz’altro un riferimento fondamentale, anche se rispetto a trentotto anni fa le cose sono ovviamente cambiate, la situazione politica, lo scenario culturale, i sistemi di valore, soprattutto il modo di porsi degli artisti. Era impensabile riprodurre quell’approccio.
Vogliamo parlare della scelta dei protagonisti? Con che criteri ha individuato i 21 artisti? Già la presenza/assenza di Cattelan nel dialogo con Tommaso Pincio è un segnale forte:
C’è da dire che ventuno artisti sono un campione necessariamente ristretto. Detto questo, ho cercato di sfuggire a criteri di scelta banalmente generazionali o formali, per puntare invece ad artisti il cui lavoro mi sembra in modi diversi caratterizzato da sottigliezza, intelligenza formale, risonanza filosofica e poetica, senso del rischio e così via. Tra di loro ci sono alcuni di cui ero curioso di conoscere il pensiero, altri su cui avevo già lavorato (come Diego Perrone e altri), altri ancora di cui mi aveva colpito l’opera ma che non avevo mai incontrato. Tutti compongono ovviamente dentro di me una certa idea dell’arte italiana, tutti sono necessari a definirne la geografia. Quanto a Cattelan, ho scelto di non intervistarlo, ma la sua figura è ovviamente fondamentale nel panorama degli ultimi quindici anni. Anche per questo ho scelto di impostare la conversazione con Tommaso Pincio sul tema dell’identità dell’artista, affrontando Cattelan come personalità cruciale che riassume i caratteri e le problematiche di tutta la recente fase storica e culturale.
Perciò per Lei questi 21 artisti rappresentano il panorama italiano…
Rappresentano una interpretazione parziale e possibile di questo panorama. E anche un tentativo, modesto, di andare in controtendenza. L’Italia sembra in questi anni colta da una specie di paralisi, di afasia, di sfiducia nella possibilità di creare qualcosa che abbia realmente un peso. Siamo un paese per molti versi in declino, incapace di scommettere sulle proprie possibilità, dominato da una logica superficiale, disattento e immemore. In un quadro in cui il paese perde peso e coscienza, l’arte rappresenta una delle rare eccezioni, e questo è forse il motivo che mi ha spinto a realizzare questo libro.
Gli artisti con cui Lei parla sono ormai considerati dei punti fermi della produzione artistica italiana: lavorano con prestigiose gallerie e musei, ma prima di raggiungere la meta delle istituzioni, il percorso è molto lungo. Questo problema di distanza tra musei  e arte giovane è una realtà solo italiana?
In Italia storicamente c’è un ritardo riguardo alla valorizzazione dell’arte contemporanea, soprattutto da parte delle istituzioni pubbliche. Spero che i nuovi musei in costruzione o quelli che verranno ampliati riusciranno almeno in parte a colmare questo gap. Certo è che si sente la mancanza, soprattutto in questi ultimi anni, di un confronto più regolare con la scena artistica internazionale, si avverte la necessità di moltiplicare di occasioni per mettere a confronto in modo più sistematico idee, opere, artisti. In Italia si fanno troppo poche mostre tematiche, c’è scarsa produzione teorica, le idee davvero nuove faticano a ottenere ascolto. Dominano le fiere, le inaugurazioni sfarzose, fenomeni certamente non solo italiani, ma a che rafforzano la sensazione che la “presa” dell’arte al di fuori del suo sistema sia davvero minima, la sua influenza trascurabile. Ecco, direi che in Italia c’è soprattutto necessità di investire sulla prospettiva culturale, sulla formazione, sugli scambi tra contesti diversi.
È per questo che gli artisti non parlano del mercato nel suo libro?
In effetti non mi sembrava particolarmente interessante che gli artisti parlassero di questioni di mercato, credo del resto che ci siano altre occasioni per farlo. Ciò non vuol dire ovviamente che questo aspetto non abbia la sua importanza: il mercato è immanente, diciamo così, al campo dell’arte. Semplicemente ritengo che il riconoscimento collezionistico non sia in sé sufficiente, che la “quotazione”, o meglio l’importanza di un’artista dipenda più ancora da fattori immateriali, culturali, dalla sua capacità di interpellare i nodi del nostro tempo, di elaborare immagini che diventano un patrimonio comune, che ci consentono di orientarci, di dare nome alla realtà che osserviamo tutti giorni, di suscitare pensieri nuovi, nuove aggregazioni simboliche, tutte cose insomma che riguardano più le idee che il denaro. Penso che le usuali spiegazioni sociologiche del successo degli artisti falliscano nel mancato rilevamento proprio di questa componente immateriale che è poi ciò che più mi interessa. I paesi dove il mercato è più forte come la Gran Bretagna o gli Stati Uniti non casualmente sono anche quelli dove la riflessione critica e storica sull’arte ha il massimo peso.
Pensavo a quanto ha chiesto-non chiesto agli artisti sul mercato: Lei conosce le politiche del GAI?
Sì, ma non mi interessano granché; non sono molto d’accordo nell’estendere all’arte una logica, mi passi il termine, sindacale. Con la sua struttura frammentata, mobile, fondamentalmente pluralista, il mercato è molto più elastico di quanto comunemente si creda. Benché ovviamente, come ho appena detto, non sia l’unico elemento attivo nell’attribuzione di valore alle opere d’arte, il mercato è di fatto uno strumento utile ancorché imperfetto per operare una selezione. Pensare di creare un circuito artistico totalmente indipendente mi sembra un’illusione, o peggio: se non è la “mano invisibile” del mercato sarà una burocrazia autonominatasi a gestire inevitabilmente carriere e occasioni per gli artisti. Francamente non mi sembra un grande guadagno di libertà. Ciò che manca in maniera drammatica agli artisti in Italia non sono le mostre ma una politica di sostegno alla creazione e alla produzione, atelier a prezzi accessibili, centri di ricerca e sperimentazione.
Tornando al volume, e su questo siamo d’accordo, esso copre una lacuna, poiché non c’è modo di conoscere le pratiche dei giovani artisti.
Certamente in Italia c’è un ritardo in questo senso solo in parte colmato in anni recenti. E questo è certamente l’effetto di un retaggio storico e di una tradizione intellettuale che guarda con diffidenza alla contemporaneità, soprattutto in quei campi come l’arte dove sono necessarie condizioni concrete per fare confronti – musei, collezioni, biblioteche, mediateche – di cui il nostro paese è storicamente carente. Va anche detto che se il futuro è quello di operazioni di marketing culturale su grande scala come quella portata avanti dalla Tate Modern al Londra, allora forse a nostra situazione arretrata può ancora offrire dei motivi di riflessione originale. Non so se lo star system applicato al mondo dell’arte sia una risposta interessante sempre e comunque. E credo che gli artisti per primi ne siano consapevoli.
E ora? Continuerà a tenere d’occhio i 21 o pensa di completare il panorama, con altro pezzo del puzzle?
Non lo so ancora! Per ora sto scrivendo un libro di saggi. Il progetto più a breve scadenza è una mostra di Vedovamazzei che inaugurerà al MADRE di Napoli nel mese di novembre. Credo ci sarà tempo per proseguire il lavoro iniziato con Una sensibile differenza.

 

Federica Tammarazio, PROGETTI.TEKNEMEDIA.NET
– 22/09/2006

 

Stefano Chiodi – Una sensibile differenza

 

A metà giugno di quest’anno, pubblicato dalla Fazi Editore, è uscito Una sensibile differenza , volume realizzato da Stefano Chiodi che indaga sugli aspetti dell’arte contemporanea in senso stretto, attraverso il dialogo con i suoi protagonisti.
Chiodi propone una selezione di 21 artisti, dalla formazione più o meno accademica, e lascia alle loro parole la descrizione della formazione, dei percorsi linguistici e formali, dell’evoluzione dei contenuti e delle modalità espressive.
Emerge un profilo dell’arte contemporanea italiana abbastanza omogeneo, in cui le sedi dell’eccellenza si identificano in un ristretto numero di associazioni e gallerie, in grado di sostenere in maniera appropriata l’arte giovane; di rimando la stessa produzione creativa riflette una compenetrazione di linguaggi e contenuti che contribuisce a dare l’immagine di un panorama piuttosto unitario.
L’impronta radiofonica delle interviste (matrice del progetto originale) è in alcuni tratti molto sentita: il volume diviene una vera e propria passeggiata accanto all’artista, che prende per mano il lettore per fargli comprendere appieno il proprio percorso, rendendolo (forse in modo eccessivo) acriticamente concorde.
Attraverso la formula del “parlami di te”, Chiodi realizza infatti un’importante raccolta di testimonianze, che approfondisce le dinamiche di accesso e sviluppo delle carriere dei giovani artisti italiani, limitando il giudizio critico alla costruzione di un percorso discorsivo in cui si intrecciano opere, gallerie e approfondimenti tecnici.
La parola all’artista, dunque, senza eccessive pressioni, ma con una costruzione sistematica dei contenuti e degli obiettivi che il volume si pone: riempire una lacuna divulgativa sull’attività dei giovani artisti italiani, finora documentati quasi esclusivamente attraverso la formula del catalogo delle mostre realizzate.
Se dal lato divulgativo le scelte di Chiodi raggiungono l’obiettivo che si propone, è tuttavia debole la posizione critica che offre compiutezza alla realizzazione del volume e alla scelta dei protagonisti.
La specificità linguistica degli artisti, il cammino personale e culturale, l’esperienza del proprio vissuto interiore costituiscono, poi, le peculiarità che caratterizzano la produzione e le modalità espressive dei singoli: questo è il tratto specifico che emerge dalle scelte critiche e contenutistiche proposte da Stefano Chiodi, a cui si riferisce la sensibile differenza del titolo.

 

Angela Vettese, IL SOLE 24 ORE
– 20/08/2006

 

L’Italia non dà spettacolo

 

 

 

Stella Cervasio, LA REPUBBLICA NAPOLI
– 05/08/2006

 

I giovani leoni si confessano

 

 

 

LEFT
– 27/07/2006

 

Una sensibile differenza

 

 

 

Elena Del Drago, IL MANIFESTO
– 12/07/2006

 

Voci di artisti nel segno di Alighiero e Boetti

 

 

 

Guido Curto, TTL – LA STAMPA
– 15/07/2006

 

Le nuove tendenze: né pittori, né scultori

 

 

 

Marco Enrico Giacomelli, WWW.EXIBART.COM
– 13/07/2006

 

PAROLA ALL’ARTISTA. GIOVANE E NON…

 

Stefano Chiodi intervista 20 artisti nostrani. In un volume appena dato alle stampe. Con particolare attenzione all’asse Bologna-Milano e con gli inevitabili fili rossi che ne emergono. Parliamo di forma, contenuto, impegno politico e grandi maestri. Non mancano gli esclusi eccellenti…
Un corposo volume inaugura la serie Le Terre/Arte curata dal teorico Stefano Chiodi. Imbeccati dal critico capitolino, 20 artisti italiani espongono la propria poetica e infine se ne discute con Tommaso Pincio, che col nome anagrafico ha diretto la galleria Sperone all’inizio degli Anni Novanta.
Ora, sappiamo che ogni domanda in-forma la “sua” risposta e che la scelta dell’oggetto influenza i risultati della ricerca. Di quest’ultimo aspetto diremo più avanti, mentre per il primo le insistite domande sulla politica conduce inevitabilmente a un certo quadro. Perciò è necessario comprendere il contesto del volume per poterlo apprezzare a fondo. Veniamo allora a quanto emerge dalle conversazioni.
Come sintetizza Eva Marisaldi, “c’è stato un intenso traffico fra le due città [Bologna e Milano] negli anni Ottanta e Novanta”. Gli intervistati hanno in massima parte gravitato in almeno uno dei due capoluoghi, prendendo parte a esperienze di tipo comunitario. Dapprima viene il consesso milanese di via Lazzaro Palazzi, che coinvolse Marisaldi, Mario Airò, Liliana Moro e Stefano Arienti, con la contemporanea presenza in città di Elisabetta Benassi, Maurizio Cattelan, Grazia Toderi e vedovamazzei, e poco dopo anche Massimo Bartolini e Vanessa Beecroft. In una seconda fase, gli allievi di Garutti lo seguirono da Bologna a Milano. Siamo a metà anni ‘90, con il Gruppo di Via Fiuggi, composto fra l’altro da Simone Berti, Sarah Ciracì, Giuseppe Gabellone, Stefania Galegati, Deborah Ligorio e Diego Perrone. Per chiudere il cerchio, va ricordato l’entourage costituito da Buvoli, Frosi, Grimaldi, Minuti, Previdi e Tuttofuoco, ancora con Garutti benevolo burattinaio.
Da questa girandola di nomi emerge la parzialità nella scelta degli interlocutori di cui si diceva. Per esempio, perché non considerare il “gruppo” individuabile in Caravaggio, Piscitelli, Gennari? E dove sono finiti i romani anni novanta come Salvino e Pontrelli? D’altro canto, l’opzione temporale non è sempre giustificata. L’esempio più palese è il dialogo con Pietroiusti, nato nel 1955.

Torniamo alle tematiche. Quella della storicità è una delle più stimolanti. Da un lato si riscontra un interesse per l’alterità che non necessariamente dev’essere “esotica”: lo rammenta Airò sostenendo che “per assurdo non so se sia più lontano da noi Marsilio Ficino o gli aborigeni australiani”. Gli fa eco Domenico Mangano, paragonando fossili e periferie. Il secondo ramo della riflessione concerne il passato prossimo. Simone Berti taglia netto sostenendo che la Transavaguardia “non mi ha lasciato molto”, mentre Luca Vitone la “accusa” di aver “fatto tabula rasa”. Un disagio che coinvolge l’Arte Povera risuona pure in Grimaldi: “Mi piacerebbe appartenere a quella generazione in almeno uno dei suoi grandi rappresentanti, comprendendo che il proprio lavoro non è più in grado di produrre degli spostamenti linguistici efficaci smetta di farlo [l’artista]”.
Il secondo grande tema è l’impegno politico. La posizione quasi unanime critica l’arte didascalicamente “impegnata”. Ciò non significa che latiti l’interesse per il contesto sociale e l’afflato etico, che però non diviene mai militanza.
Lo ribadiscono Simone Berti ed Elisabetta Benassi, fra coloro che resistono più strenuamente agli “assalti” di Chiodi. Questa posizione -che non credo si possa definire “debolista”, anche se gli anni ’80 si fanno sentire (“Politica per me vuol dire individuo. Politica non in senso sociale, ma di coscienza”, dice Perrone)- si riflette anche sulle valutazioni concernenti il sistema dell’arte e in specie il mercato.
Con naturalezza e insistenza emergono dunque i nomi dei “maestri”. In primis Boetti, colui che secondo Pincio “è stato il precursore di tutte le forme di microsoggettività emerse alla fine degli anni Ottanta”. Poi Pasolini, rievocato da Benassi e Vezzoli, ma pure da Maloberti, Mangano, Picco e Toderi. Ad appena un’incollatura segue De Dominicis, in una costellazione che è piuttosto facilmente interpretabile. D’altro canto, emergono pochi nomi di artisti visivi. Mentre si fa sentire l’influenza di altre discipline. Al primo posto il cinema, in videoartisti come Rä di Martino ma pure in una Marisaldi o in un Picco, con nomi ricorrenti come Lynch, Kubrick, Antonioni e Ciprì & Maresco. Il ruolo di Cenerentola spetta al teatro, mentre per quanto concerne la letteratura curiosamente svetta, oltre Sciascia per gli artisti meridionali, un interesse per la “fantascienza”, con Philip Dick e Lovecraft.
Un accenno almeno per le tecniche. Con alcune pratiche che in questi ultimi anni sono state riscoperte: dal bassorilievo di Gabellone -fra i più riflessivi degli intervistati- e dalle metope di Marisaldi, passando per un approccio peculiare alla performance in Maloberti, fino al ricamo di Vezzoli.
Giungiamo infine alle questioni più teoriche, ed è comprensibile che gli artisti di lungo corso riescano a comunicare in maniera migliore la propria posizione. Così è nel caso di Arienti, con la sua rivalutazione della decorazione in funzione post-modernista. Oppure la critica delle dinamiche espositive, che raggiunge l’apice con la mostra di Benassi a Base, con le opere che di giorno in giorno venivano disallestite. Il pubblico interessa Frosi, il quale sente la necessità di “limitare i colpi bassi dello sguardo, la sua spregiudicatezza”, mentre -solo apparentemente all’opposto- Galegati sostiene che, “anche se l’opera di fonda sull’incomunicabilità, il momento più importante è quello della comunicazione”.
Dichiarazioni che collassano nell’imperativo sottolineato da Marisaldi, ossia non annoiare i visitatori. In chiave difensiva od offensiva, la questione dell’altro torna nelle parole di quasi tutti gli artisti intervistati, a tal punto che si potrebbe accogliere la definizione di Pietroiusti come una sorta di vessillo di questa generazione e mezza di artisti italiani: “L’arte potrebbe essere concepita come la disciplina che ha al suo centro la pratica dello spostamento dello sguardo nel luogo dell’altro” (Pietroiusti). Eloquentemente vaga, come sarebbe piaciuta agli antichi viaggiatori in Italia.

 

Lea Mattarella, LA STAMPA
– 10/07/2006

 

Si confessa la giovane italia dell’arte

 

 

 

LA RIVISTERIA
– 01/06/2006

 

ARTE. La contemporaneità a portata d’occhio

 

 

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