Ogni saga familiare interpreta i rapporti a modo proprio: felice o infelice che sia, ogni famiglia ha il suo modo di relazionarsi con il mondo, esterno ed interno. La saga della famiglia Aubrey, tra le tante e ricche tematiche approfondite e sviluppate, offre una sua personale visione di ciò che un nucleo familiare può rappresentare.
Partendo dall’alto, si incontra la figura genitoriale. Mamma e papà dovrebbero essere scudo a difesa della prole, primo filtro interpretativo della realtà, metro di confronto per la crescita del figlio sia in senso positivo, con le proprie virtù, sia negativo, con le caratteristiche che il figlio rigetterà in fase di crescita. Le figure genitoriali e, più in generale, adulte del mondo Aubrey sono sì, sfaccettate e realistiche, ma fondamentalmente fallimentari. Partiamo dal nucleo familiare primario, Clare e Piers, i genitori di Rose.
La madre è la figura più presente. Pianista con un passato da concertista di successo (come la madre dell’autrice) è colei che si occupa in prima persona dell’educazione dei figli fornendo loro l’accesso alla musica che, oltre a essere l’auspicata carriera per le ragazze, è il filtro di interpretazione del mondo. Clare esorta Rose a non dubitare mai che il mondo sia meno che straordinario perché la musica così lo descrive loro. Forte del suo sangue scozzese ha inglobato in sé la concezione e la percezione che ci sia altro oltre la mera concretezza: un mondo di spiriti e preveggenza che però non va bene andare a disturbare, pena la caduta nel caos. Lei è il genitore più amato e supportato dai figli che ben sanno quanto il rapporto con il padre sia di difficile gestione. Pur con tutti i suoi elementi positivi nell’educazione delle figlie è una donna che fa fatica a rapportarsi con il mondo e la realtà; ciò si concretizza nella sua incapacità di vestirsi in maniera adeguata. La sua lisa e “stramorta”, come dice Richard Quin, giacca di foca è il suo biglietto da visita inadeguato e che espone al ridicolo lei e le figlie.
Il padre è uno scrittore politico con un lungo sguardo, al limite della preveggenza. Un valido editorialista con un buon seguito di sostenitori e che per le figlie è figura estranea. I figli sono entità che non rientrano nel raggio d’azione di Piers o ci rientrano solo quando si distinguono per guizzi d’intelligenza: Rose riconosce in lui uno straordinario pensatore, ma un papà scadente. L’unica che pare avere un parziale accesso al suo mondo è la cugina Rosamund, abbastanza intelligente per giocare a scacchi con lui e anche per batterlo. Piers, con la sua inettitudine nella gestione finanziaria e familiare, è quasi una meteora: passa, fa qualche danno, si allontana e si perde nello spazio siderale delle sue idee. Lascia, certo, qualche coccio, ma non intacca a fondo la vita della famiglia.
Le altre coppie attorno alla famiglia non fanno eccezione. I genitori di Rosamund sono apatica (lei) e maligno (lui, colpevole anche di suonare il flauto, come se avesse venduto l’anima al demonio); la famiglia di Nancy è sconvolta dalla lunga ombra dell’omicidio a opera della volgare madre nei confronti dell’infantile padre. La signorina Beever, insegnante e mentore di Cordelia, un surrogato dell’approvazione che la ragazza vorrebbe dalla madre, è una sciocca, che veste con cattivo gusto e non ha alcuna competenza musicale tanto da portare Cordelia a illusioni senza fondamento. Anche gli adulti di riferimento validi e forti non si salvano dalle critiche. Kate, la domestica dal piglio marinaio, ha a che fare con letture del futuro e cose sovrannaturali che Clare ritiene poco degne. Il signor Morpurgo, loro benefattore, viene sempre accompagnato dall’aggettivo “povero” come se fosse un titolo nobiliare e, quando arriva a casa Aubrey, non viene nemmeno riconosciuto da Clare che pure gli deve moltissimo. Se l’infanzia è un travestimento umiliante per Rose e le sue sorelle che si devono fare carico di responsabilità superiori alle loro forze, l’età adulta non offre comunque risposte o soluzioni. Gli adulti sono “vigliacchi” e “conigli”, incapaci di ogni azione decisiva e i genitori non sono esclusi da queste critiche senza pietà.
I rapporti tra sorelle non sono mai facili o idilliaci. Se anche le sorelle March con tutti i loro esempi di bontà e perfezione cedevano a litigate furiose, figuriamoci le Aubrey, ben più concrete. La musica rientra in questa dinamica come discrimine: se il pentagramma è filtro di interpretazione del mondo non può non imporsi anche nei rapporti di sangue. Da una parte abbiamo l’idra a due teste composta da Rose e Mary. Entrambe pianiste dotate, convinte che non potranno mai sposarsi, sono inseparabili. Anche se la voce narrante in prima persona è quella di Rose, non si fatica a intuire che rispecchia anche i pensieri di Mary rendendole affini ai gemelli della città di K. I pensieri di una confluiscono nell’altra, i loro intenti e i loro obiettivi sono gli stessi. Anche se Mary è quella che suona come un angelo, entrambe sono degne dell’attenzione e dell’affetto della madre che riconosce in loro il felice tratto genetico della musicista nata.
Dall’altro lato abbiamo Cordelia, la primogenita. Alle orecchie della madre e delle sorelle è una suonatrice senza talento, quasi un’offesa per il DNA degli Aubrey. Suona il violino, strumento tradizionalmente attribuito al demonio nelle leggende del substrato celtico, ed è l’unica che, grazie all’interessamento della signorina Beever, si esibisce come professionista. Tutti gli spettatori la adorano e la esaltano, tanto da suscitare il dubbio nel lettore che forse il giudizio dato dalle sorelle e dalla madre sia frutto di normale gelosia, visto che Cordelia è anche la più bella della famiglia. Cordelia, presentata dal filtro di Rose, è ambigua: la sua “arte” è al servizio del denaro perché lei appare quella più preoccupata dalla mancanza di fondi della famiglia e vive come un pesante fardello da sopportare la condizione di outsiders degli Aubrey. Questa potrà farla apparire la meno simpatica della famiglia, come Susan delle “Cronache di Narnia”, ma solo perché è quella che più di tutti desidererebbe un’esistenza negli standard.
Chi è più “sorella” pur non essendolo per diritto di sangue, è la cugina Rosamund.
Rosamund è strana: non lo pensa il lettore generalizzando il giudizio sul suo personaggio, ma lo pensano tutte le sorelle Aubrey. Rosamund è strana perché non suona, ma vuole intraprendere una seriosa carriera come infermiera. Eppure è amata senza condizioni dagli Aubrey che quasi la adottano. Ha accesso al privilegiato mondo paterno giocando a scacchi ed è resa misteriosa dal suo contatto col sovrannaturale, con il Poltergeist che le infesta la casa. È oggetto di affetto incondizionato che suona sorprendente alle stesse sorelle tanto che Mary, a più riprese, le chiede se sia sicura di non saper suonare alcuno strumento.
Infine, si arriva all’ultimogenito della famiglia: Richard Quin che prende il nome dal fratello del padre ormai defunto. Il figlio maschio, se poi piccolo, è in genere oggetto delle attenzioni più sfrenate e dell’indulgenza di tutti. Piuttosto silente a inizio storia in virtù della sua giovane età, viene descritto come un bambino affettuoso, il più amato dalla madre agli occhi delle figlie e l’unico degno di attenzione da parte del padre in quanto erede del nome e del patrimonio (ce ne fosse uno). Crescendo diventa un ragazzino con uno spiccato senso dell’ironia che coglie i punti giusti come evidenzia la sua battuta sulla giacca di foca della madre che è così vecchia che la pelle non è solo morta, ma è anche “andata al funerale della foca, di aver ricevuto dei lasciti nel testamento, di aver venduto tutto e di essere andata a vivere con la madre. E di essere morta di nuovo”. Lui è un personaggio ancora in costruzione perché non si sa che strumento possa suonare (e di conseguenza che persona possa diventare). Ha talento, ma non si applica, come si diceva una volta a scuola, e ciò suscita amore e esasperazione in egual misura in Clara.
Ci sono momenti di coesione tra i fratelli come il rito del lavaggio dei capelli, quasi una celebrazione che coinvolge tutti, sia membri della famiglia che esterni accolti e presi a benvolere come Nancy. Il Natale è una festa importante che mette tutti d’accordo e avvicina la famiglia e ne smussa, momentaneamente, le tensioni e gli angoli. Come accade in ogni famiglia: anche in quelle in cui la musica non è occupante stabile della casa e non detta le regole con la precisione di una partitura come nel caso della famiglia Aubrey.
Giulia Pretta