In occasione dell’uscita di Sommersione, Sandro Frizziero ci racconta il suo nuovo romanzo.
Nella tradizione letteraria, al pescatore, soprattutto per il rapporto privilegiato che intrattiene con il mare, è spesso associata una certa saggezza popolare, una innata tendenza all’introspezione o, al contrario, una certa spavalderia piratesca. Il pescatore, in quanto navigante, sembra essere destinato a grandi imprese e a offrire profondissime verità ai vanesi uomini che stanno con i piedi piantati a terra. Tuttavia, come sa chiunque viva in un posto di mare, quello del pescatore è prima di tutto un mestiere che lascia poco spazio al romanticismo, uno dei più duri, fatto di sudore e fatica.
Il pescatore a cui si dà del tu nel mio romanzo non può raccontare di avventure straordinarie a bordo del Pequod, bensì di minutissime battaglie quotidiane, apparentemente senza valore. L’isola stessa in cui vive non lascia spazio alla grandezza dell’epica, alle imprese romanzesche.
Il protagonista di Sommersione, come schiacciato in una prospettiva ostinatamente orizzontale, si mostra per ciò che è veramente: un vecchio brontolone, un cinico, un misantropo disilluso; un uomo passivo che viene attraversato, sommerso per meglio dire, dalle forze di un passato di violenza che ritorna. La sua discesa agli inferi è del tutto involontaria e il male che vi trova non è consolato da alcuna tensione religiosa, verticale.
È un antieroe che non ama e che non può essere amato, la cui più grande virtù è dimostrarci che il male e i discorsi sul male sono sempre più autentici di quelli sul bene. Non che il bene non esista, perfino in un’isola infernale, né che non si possa esprimere con le parole della letteratura; ma di fronte a tante scritture artificialmente affettate, sentimentali, tutte protese a emozionare e a non disturbare il lettore, il male e la sua narrazione rappresentano una sorta di serbatoio di verità. Esiste, infatti, un’etichetta del bene, quella che ci rende pietosi, altruisti e caritatevoli in determinate situazioni, ma non esiste nulla del genere per il male, che è sempre sincero, come una paura da cui non ci si può nascondere.
Ciò che ho detto sul male come riserva di autenticità, però, non deve essere confuso con un’ingenua dichiarazione di poetica. Scrivere è fingere, lo diceva Manganelli, lo diceva Pessoa, e di questo sono convinto. Avrei gioco facile nel presentare il mio racconto come il frutto di una sincera pulsione dell’anima, ma sarebbe ingenuo, oltre che falso. Perché la scrittura tende sempre al calcolo, all’artificio, all’illusione, alla costruzione intellettuale, ed è proprio questa, a mio avviso, la sua qualità più grande in un’epoca nella quale si ricercano ossessivamente storie vere. Così continuo ad apprezzare maggiormente tutti quegli autori che riescono a non calarsi totalmente in loro stessi, nelle loro personali vicende, come avrebbero, forse, la tentazione di fare. Che trasfigurano le loro esperienze, o almeno ci provano.
Sommersione è la ricostruzione della vita di un vecchio pescatore, il recupero del suo tempo passato in un presente narrativo che è immobile. Un percorso a ritroso che mette il personaggio, e il lettore, con le spalle al muro, e dà corpo al male per dirci cose che altrimenti sarebbe meglio tacere. Tra queste, non vi è nessuna rivelazione: se il mare rappresenta l’infinità, il mistero dell’esistenza, la fonte della poesia, il protagonista lo guarda stoltamente: per lui è solo il luogo delle fatiche, del lavoro, una distesa d’acqua che lo separa dal mondo esterno.
Alla fine, del vecchio pescatore, privato dei suoi personalissimi odi e desideri di vendetta, rimane ben poco. E resta il lettore, quello sì vero, in carne e ossa, pieno di ansie, dubbi, ricordi scomodi e paure segrete; il lettore prigioniero di un’isola che assomiglia al mondo in cui viviamo.
Sandro Frizziero