Aspettando il 28 febbraio l’uscita de L’annusatrice di libri di Desy Icardi, l’autrice ha scritto un articolo d’approfondimento sull’enigma del manoscritto Voynich.
Immaginate di trovarvi nella cantina di un’anziana zia, magari per un motivo molto prosaico come la ricerca di un barattolo di conserva, e di imbattervi in un antico documento, scritto in una lingua a voi sconosciuta.
Cosa potreste fare per capire di cosa si tratta, senza interpellare la zietta che – resti tra noi – ormai non ha più tute le rotelle a posto?
Qualche decennio fa, venire a capo di un tal piccolo enigma sarebbe costato infinite ore di ricerche in biblioteca, ma ai giorni nostri vi basterebbe impugnare lo smartphone, collegarvi a internet – sempre che nella cantina della zietta vi sia campo – e digitare le prime parole del documento per svelarne la lingua; dopodiché, avvalendovi di un traduttore online, potreste comprendere, con buona approssimazione, l’argomento trattato.
Sono ormai pochissimi i misteri che hanno resistito allo sviluppo scientifico e tecnologico, ma alcuni ancora sfuggono sia alla comprensione umana che alle più moderne intelligenze artificiali, e uno di questi è l’enigmatico manoscritto Voynich, che ho voluto includere nella trama del mio romanzo, L’annusatrice di libri.
All’età di quattordici anni, Adelina, la protagonista del mio romanzo, perde misteriosamente la capacità di lettura ma, altrettanto inspiegabilmente, acquisisce il potere di leggere con l’olfatto. A contatto con un libro, Adelina percepisce aromi che proiettano nella sua mente storie e immagini; il suo olfatto è in grado di interpretare persino testi in lingue straniere e inespugnabili codici criptati. Nonostante Adelina cerchi di tenere nascoste le sue facoltà, qualcuno le scopre e intende avvalersene per scardinare uno degli ultimi segreti ancora insoluti, ovvero l’inesplicabile manoscritto Voynich, il libro più misterioso della storia dell’umanità.
Il manoscritto Voynich è un codice illustrato, rinvenuto nel 1912 nella biblioteca del collegio gesuita di Villa Mondragone nei pressi di Frascati, da Wilfrid Voynich, mercante di libri rari di origine polacca.
Il manoscritto è redatto in una lingua – o forse un codice – che nessuno è ancora riuscito a decifrare, né i più arguti studiosi, né le più sofisticate intelligenze artificiali.
Le poche informazioni certe sul manoscritto sono contenute in una lettera del 1665 di un certo Johannes Marcus Marci, rettore dell’università di Praga, nonché medico privato di Rodolfo II di Boemia; una missiva che lo stesso Voynich rinvenne all’interno del manoscritto. Marci aveva inviato il volume a Roma all’amico e studioso Athanasius Kircher, affinché provasse a decifrarlo. Nella lettera Marci dichiarava di aver avuto il libro da un amico farmacista, che a sua volta l’aveva ricevuto da Rodolfo II di Boemia.
Eccentrico e colto, Rodolfo II teneva in gran conto l’arte alchemica, tanto da mantenere alle sue dipendenze più di cento alchimisti, ai quali aveva dato alloggio in quella che ancor oggi è nota come “la via dell’oro di Praga”.
Una delle ipotesi più diffuse sul manoscritto Voynich, è quella che lo vorrebbe una sofisticata truffa ai danni di Rodolfo II di Boemia, messa in atto da un non meglio identificato esperto di arti alchemiche, che gli avrebbe venduto il volume, da lui stesso realizzato, spacciandolo per il diario di Ruggero Bacone, estorcendogli l’ingente somma di seicento ducati veneziani.
Tanti sono stati gli alchimisti ai quali fu attribuita la paternità del manoscritto: oltre al già menzionato Bacone, anche l’inglese John Dee e il suo collega Edward Kelley, noto, quest’ultimo, per la capacità di parlare con gli angeli grazie alla lingua enochiana.
Nel romanzo ho voluto rendere omaggio a questo affascinante alchimista, battezzando col suo nome uno dei personaggi principali, il reverendo Edward Kelley, insigne studioso di testi antichi e severissimo insegnante della giovane protagonista.
Dopo essere stato inviato a Roma, il manoscritto non tornò più a Praga nelle mani del suo legittimo proprietario – questo a sostegno della tesi di coloro che considerano un libro prestato come irrimediabilmente perduto – ma rimase per diversi anni nella biblioteca del Collegio Romano, per poi essere trasferito al collegio di Villa Mondragone, dove i padri gesuiti lo vendettero a Wilfred Voynich, per pagare delle opere di ristrutturazione.
Per una crudele ironia della sorte, quello che oggi è uno dei libri più preziosi al mondo, non portò molta fortuna al suo scopritore, che per tutta la vita tentò di venderlo senza riuscirvi.
Dopo la morte di Voynich, il manoscritto fu acquistato, a un prezzo assai modesto, da un altro mercante di libri antichi, che dopo aver cercato invano un acquirente, si risolse a donarlo alla biblioteca dell’università di Yale, dov’è tuttora conservato in attesa che qualcuno ne violi i segreti.
Mentre leggevate del misterioso manoscritto Voynich, con l’aiuto del mio smartphone ho indagato sull’antico incartamento rinvenuto nella cantina della zietta, scoprendo che la lingua nel quale è redatto è lo svedese, e che quasi certamente non si tratta di un documento antico, bensì di comuni fogli ingialliti dall’umidità; ipotesi confermata dal fatto che il testo riporta le istruzioni di montaggio di uno scafale, guarda caso proprio quello sul quale è riposta la conserva, oggetto della mia spedizione in cantina.
Desy Icardi