Dopo il fortunato Il lungo sguardo, proponiamo l’opera di maggior successo di Elizabeth Jane Howard: Gli anni della leggerezza, un romanzo raffinato ed emozionante che racconta le vicende della famiglia Cazalet alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale; una saga appassionante in cui le vite private dei protagonisti s’intrecciano con il destino di un paese sull’orlo di una crisi epocale. Di seguito pubblichiamo un estratto apparso su Libero il 15 settembre 2015.
La sera si era trasformata in una notte calda e senza vento. Falene impazzite continuavano a sbattere le ali contro il paralume di pergamena e a ogni urto una piccola pioggia di polvere argentea cadeva sul cucito di Sybil. Le era stato lasciato il divano tutt’intero. Cosicché potesse stendere le gambe. Il Generale e Edward giocavano a scacchi e fumavano sigari cubani. Il gioco procedeva assai lento, con occasionali grugniti d’ammirazione per le reciproche mosse. La Duchessa applicava le maniche a sbuffo all’abito di tussor che stava realizzando per Clary. La seta scarlatta era riccamente plissettata: la Duchessa era famosa per i suoi plissé. Zoë se ne stava accoccolata in una poltrona a leggere Via col vento. Hugh, assegnato al grammofono, aveva messo la Sonata in si bemolle, opera postuma di Schubert nota per essere la preferita della Duchessa, e ascoltava assorto, con gli occhi chiusi. Villy ricamava una delle sue enormi tovaglie di tela pesante, lavorando al punto croce con del filo nero fine. Rupert era seduto su una poltrona in fondo alla stanza, le gambe stese in avanti e le braccia abbandonate sui braccioli, intento ad ascoltare e a guardare gli altri. Notò quanto Edward somigliasse a loro padre: la stessa fronte, con i capelli che sembravano partire dal centro e poi proseguire – nel caso di Edward più che in quello del padre – lungo i lati, le stesse sopracciglia irsute, gli stessi occhi grigio-blu (quel modo di guardare negli occhi l’interlocutore però Edward lo aveva preso dalla Duchessa; era una parte importante del suo fascino, poteva conquistare una persona anche dicendo frasi come: «Non sono affatto d’accordo con te»), gli zigomi, i baffi di foggia militare. Quelli del Generale erano bianchi, ma anche più lunghi e rigogliosi; quelli di Edward erano della lunghezza di setole austere. Le loro mani si somigliavano molto, avevano dita lunghe e unghie piuttosto ricurve, quelle del Generale erano punteggiate di macchie, quelle di Edward avevano della peluria lungo il dorso. La cosa curiosa degli uomini coi baffi era che ci si dimenticava che avessero la bocca; diventava, questa, un accessorio di poco conto, un po’ come immaginava succedesse al mento di chi portava la barba. Del resto Edward possedeva un fascino che non pareva aver preso da nessuno dei genitori; era fuor di dubbio il più bello dei tre fratelli, ma gran parte della sua malia derivava dalla sua apparente inconsapevolezza del proprio aspetto e dell’effetto che aveva sugli altri. I vestiti, per dire, diventavano eleganti in virtù del fatto che era lui a indossarli: quella sera, per esempio, portava una camicia di seta bianca con un foulard verde bottiglia annodato intorno al collo e pantaloni di lino dello stesso colore. A pensarci bene, quegli abbinamenti dovevano essere stati studiati con attenzione, dunque dopotutto non doveva essere così inconsapevole e spontaneo. Di certo sapeva di piacere alle donne. Anche quelle che non erano attratte da lui tuttavia lo notavano immediatamente. Zoë, per esempio, gli aveva detto che, nonostante lui non fosse il suo tipo, capiva che molte donne lo trovassero attraente. Parte della magia era dovuta al fatto che Edward fosse sempre a suo agio, interamente assorbito dal momento che stava vivendo, senza lasciarsi distrarre da altro.
Rupert, che aveva sei e sette anni meno dei fratelli, era scampato alla guerra; mentre Hugh e Edward erano in Francia lui andava a scuola. Hugh era partito per primo – con le Coldstream Guards – mentre Edward, non potendo fare lo stesso perché troppo giovane, si era arruolato nei corpi dei mitraglieri pochi mesi dopo. Edward si guadagnò presto la prima croce di guerra e fu candidato alla Croce della Regina Vittoria. Quando Rupert, ansioso di avere uno scampolo di gloria per procura da esibire di fronte ai compagni, gli aveva chiesto con cosa si fosse guadagnato tanto onore, Edward gli aveva detto: «Ho pisciato sopra una mitragliatrice… per raffreddarla un po’. Si era riscaldata troppo e non sparava più». Era parso imbarazzato. «In mezzo agli spari?». Sì, Edward aveva ammesso che volavano molti proiettili. Poi aveva cambiato argomento. Quando compì ventun anni, era maggiore e c’era già un grado sulla sua croce al valor militare, mentre Hugh era capitano, aveva ottenuto la Croce ed era stato ferito. Quando finalmente tornarono dal fronte, nessuno dei due aveva molta voglia di parlarne; Hugh pareva soffrire al solo pensiero, mentre Edward aveva l’aria di averne avuto abbastanza e di voler pensare solo a ciò che gli riservava il futuro: l’ingresso nell’azienda di famiglia e le nozze con Villy. Hugh non era mai tornato quello di prima. La ferita al capo gli aveva lasciato ricorrenti emicranie, aveva perso una mano, digeriva male e spesso aveva incubi. Ma c’era anche dell’altro, Rupert lo aveva notato e lo notava ancora: qualcosa nell’espressione, negli occhi, la traccia di un tormento, di un’angoscia, di un’offesa subita. Se lo chiamavi, e lui ti guardava dritto negli occhi al modo che era anche di Edward e della loro madre, per un breve istante coglievi quell’espressione, prima che si attenuasse in un’ansia più tiepida per poi dissolversi nella sua consueta, affettuosa mitezza. Amava la sua famiglia, non cercava mai compagnia al di fuori di essa, non guardava mai le altre donne ed era molto affezionato ai bambini, soprattutto ai più piccoli. Quando guardava Hugh o pensava a lui, Rupert provava un irrazionale senso di colpa per non essersi preso la sua parte d’inferno.