Aspettando l’uscita, il 28 gennaio, del secondo volume della saga della famiglia Aubrey, Alessia Ragno ci racconta in anteprima gli aspetti fondamentali di Nel cuore della notte.
Nel primo romanzo della saga di Dame Rebecca West avevamo lasciato la famiglia Aubrey in acque relativamente tranquille: i problemi finanziari, causati in parte dal padre idealista e fuggiasco, Piers, risolti dalla vendita di quadri di valore. Il futuro delle sorelle pianiste, Mary e la narratrice Rose, così come quello del piccolo di casa, Richard Quin, garantiti dalla vendita. Più incerto il destino di Cordelia, la sorella più grande, una carriera di violinista stroncata sul nascere, e quello della cugina Rosamund, anche lei abbandonata dal padre geniale e “malvagio”. Con Nel cuore della notte ritroviamo gli Aubrey qualche anno dopo: Rose e Mary studiano musica grazie a due prestigiose borse di studio, Richard Quin vuole andare a Oxford, Rosamund ha trovato la sua musica, diventare infermiera, e Cordelia, orfana delle sue velleità di grandezza, è indecisa, priva di talento per Rose, quasi un corpo estraneo della famiglia. Più pacata e in secondo piano la madre Clare, placida nelle piccole certezze che ha costruito, ma al tempo stesso consumata dall’assenza dell’amato marito. Non si rassegnerà mai ad averlo perso e si sentirà per sempre colpevole.
Rebecca West torna in libreria col secondo volume della saga degli Aubrey, romanzo che fu pubblicato postumo quasi 30 anni dopo il primo. Una trilogia che, in fondo, era stata pensata come dedicata alla cugina Rosamund (il titolo nella mente dell’autrice sarebbe stato “Cousin Rosamund: A saga of the century”), ma che in questo secondo volume ha ancora Rose come figura centrale.
Fanciullezza e adolescenza secondo Rebecca West
Rose è narratrice onnisciente e giudice ferocissimo della vita che scorre per la famiglia e per il mondo che hanno intorno. È attraverso le sue riflessioni e racconti che Dame West completa questo ritratto fortemente atipico della fanciullezza nell’età edoardiana; atipico perché le sue ragazze Aubrey e la loro storia, in parte ispirata dalla sua personale, non sono perfettamente inserite nel tessuto sociale della loro comunità, hanno genitori anomali e sono tremendamente concentrate sui loro obiettivi e sul destino già deciso. Ma il tratto ancora più interessante di Rose è che dà voce, con disarmante logicità, a giudizi e pensieri fin troppo acuti e rivoluzionari per una adolescente, eppure il risultato non stride, anzi, ci si aspetta che abbia questa precisa visione della vita. Siamo ancora in una età di transito, da bambine ad adolescenti, e Rose conferma quello che già aveva affermato nel primo volume della saga. Per esempio il matrimonio per lei è
la discesa in una cripta dove, alla luce tremolante di torce fumanti, veniva celebrato un magnifico rito sacrificale
Cambierà poco idea, con gli anni, e quando Cordelia si sposerà, unico destino possibile per lei a suo giudizio, sarà comunque visto come una tradimento della famiglia, anche se meno grave perché, in fondo, la sorella non è mai stata parte integrante di quel nucleo con i suoi capricci, la sua testardaggine e la totale assenza di talento. Sono tutti giudizi di Rose stessa che, senza pietà alcuna, è diretta col lettore e mostra i suoi pensieri e il suo modo di vedere la vita.
Il mondo era pieno di opportunità, ed era necessario essere vigorosi per afferrarle.
Nella sua risolutezza e ferocia, Rose ragiona anche sul momento storico, la società che li circonda, i soldi necessari alla famiglia per sopravvivere e persino gli arredamenti delle case altrui. In questa onnipotenza giovanile Rose non ha paura di definire gli altri “insignificanti” o privi di talento – si veda la sorella Cordelia -, ma per lei non è semplice esercizio della libertà di opinione personale: quella che descrive è l’unica realtà possibile, in fondo evidente a tutti. Rose spiazza, ma è profonda e sveglia e sa cogliere le sfumature più remote della sua famiglia e delle dinamiche che la animano. E nonostante insista con la descrizione quasi ipnotica della bellezza delle donne che conosce, soprattutto di Rosamund, la cugina amatissima, degna di un dipinto di Tennyson, si fa portavoce di un pensiero importante della West:
Quando una donna era una grande donna non aveva bisogno di essere bella, poteva essere quello che voleva, perché aveva poteri magici superiori alla bellezza.
La fanciullezza edoardiana lascia spazio ad una adolescenza consapevole e altrettanto decisa: appare un accenno di ribellione al destino segnato di pianiste, ma poi prevale la voglia di riuscire, di guadagnare col proprio lavoro e mostrarsi capaci tanto quanto la madre, eccellente pianista che ha lasciato tutto per il marito e i figli. Anche Rose subirà l’impatto durissimo con la cultura elitaria che Dame West descrive così minuziosamente in questi romanzi, ma al contrario di Cordelia resisterà alla spietatezza della musica con convinzione e voglia di riscatto. Rose è una eroina per autoelezione, una femminista ancora in nuce, lo specchio feroce di una scrittrice, Dame West, che per tutta la sua vita ha lottato per il riconoscimento del suo talento di autrice e intellettuale. “Early Feminist e Literary Lioness”, come la definivano in una vecchia intervista concessa negli anni ’80 al giornalista americano Bill Moyers (https://vimeo.com/122464589), talmente talentuosa e caparbia da diventare, nella definizione del presidente americano Henry Truman, “the world’s greatest reporter”.
L’arrivo della guerra e il destino degli uomini
Il padre Piers e Richard Quin, di contro, sono figure lontane e idealizzate; l’uno, con la sua sparizione e le successive rivelazioni di questo romanzo, è un fantasma che non abbandona mai la moglie, la sua devozione è altissima e la dimostrerà anche nelle ultime dolenti pagine di Nel cuore della notte. Richard Quin, il fratello, è un guascone sveglio e intelligente che pianifica con convinzione il suo futuro ed è adorato da tutti, cosa che lo eleva sin dalla più tenera età ad uno status di icona.
La Grande Guerra, tanto profetizzata dal padre,
non ha attaccato e strangolato la vita dei civili con la stessa velocità della seconda
e quando arriva, Rose ammette che
la rovina fioriva e si diffondeva lentamente, simile a un fungo tra gli oggetti familiari in mezzo ai quali eravamo cresciute
ma poi la guerra si allunga per un tempo che sembrerà quasi infinito e il dolore prevale. Dame West racconta piccoli particolari, ma significativi: i giovani che partono per il fronte con zaini e animi pesantissimi, privati della loro volontà e costretti ad agire in nome della patria; gli addii struggenti a Victoria Station; l’assenza assordante dell’adorato Richard Quin nella casa di famiglia. Pare fosse una scelta consapevole quella di Rebecca West di far coincidere il trauma della crescita di Rose e Mary con quello della guerra (fonte: http://movies2.nytimes.com/books/00/09/10/specials/west-realnight.html) e il tono di questo romanzo è, in generale, più drammatico rispetto a “La famiglia Aubrey”. La differenza di intenti si vede anche nella scrittura, fitta e complessa, e un ritmo narrativo interrotto, volutamente, con frequenza soprattutto nella prima parte, quando ancora la spensieratezza e i bei ricordi prevalgono. Con la guerra, il lutto e il dolore, le parole stesse si adeguano e il romanzo si fa più diretto e focalizzato sul presente, tempo di cui le sorelle Aubrey sono ancora padrone e ben determinate a domare.
Alessia Ragno